Storia del Vetro
La nascita del vetro viene fatta risalire, nella "Storia Naturale"
di Plinio il Vecchio, a parecchi millenni prima della nascita di Cristo, quando
dei mercanti fenici, sbarcati su una spiaggia sabbiosa, avrebbero acceso il fuoco
su dei pani di natron (carbonato
idrato di sodio - utilizzato, per la sua proprietà di assorbire l'acqua,
nell'imbalsamazione), che facevano parte del carico delle loro navi.
Dalla fusione del natron e della sabbia (contenente l'anidride silicea), si
produsse una materia densa e viscosa, che raffreddando, diventava brillante alla luce del
sole. Nel processo, la silice è la materia prima,
mentre il carbonato di sodio è il fondente, cioè abbassa il punto di fusione della silice permettendole di
liquefare a 1200° C anziché a 2000.
Verità o leggenda, dal racconto di Plinio
si evince che
i Fenici, da navigatori e mercanti quali furono, hanno giocato un qualche
ruolo, se non nella scoperta, almeno nella divulgazione di questa meravigliosa
materia. In ogni caso, già dal VI° millennio a.C., l'uomo utilizzava un
materiale vetroso naturale, l'ossidiana - una roccia silicea di origine
vulcanica - dalla cui lavorazione si ottenevano oggetti molto resistenti e
taglienti.
I più antichi manufatti di vetro giunti a noi, sono delle
perline colorate prodotte in Mesopotamia (Siria e Iraq), intorno al 3000/4000
a.C., e altre egiziane di poco posteriori (in Egitto già veniva utilizzata la
tecnica dell'invetriatura), alle quali fecero seguito ricche e raffinate
produzioni in pasta di vetro, lavorate per fusione a stampo.
Gli egiziani vi realizzavano
monili, amuleti, ornamenti funerari, statuine colorate, spesso imitando
l'azzurro turchese.
I primi vasi in vetro colorato,
ottenuti
sempre mediante procedimenti di
modellazione e di fusione, risalgono al 1500 a.C.
Una grande svolta si ebbe verso
il I° secolo a.C.,
con l'invenzione della canna da soffio, in area siro-palestinese,
che permise una
produzione meno laboriosa, dando l'avvio ad una divulgazione di massa
dei manufatti in vetro.
Dalla Siria e dall'Egitto,
già prima del III° secolo a.C., l'arte di produrre il vetro si espande
in Grecia, a Roma, in Francia, in Spagna, fino all'Inghilterra, per arrivare in
Russia, e persino in India.
Nei secoli successivi,
vennero scoperti molti degli
effetti decorativi che si usano ancora al giorno d'oggi.
In Europa, la principale fonte di alcali a cenere vegetale, chiamata
"cenere siriana", "polverino" o "rocchetta del Levante", verrà
utilizzata fino alla fine del Settecento, quando il chimico francese
Nicolas Leblanc riuscirà a produrre il carbonato di sodio in
laboratorio.
In Germania e nel Nord Europa, al posto del carbonato di sodio, veniva utilizzato il carbonato di
potassio, estratto soprattutto dalle ceneri del faggio - in Francia dalle ceneri
di felce.
Gli Arabi, produssero vasi in vetro smaltato, decorati con figure di
animali stilizzati, mentre a Venezia, già dopo l'anno
Mille, vengono realizzate delle vetrate a mosaico per le chiese, e viene citato
nel 1090 un certo Petrus Flabianicus, maestro vetraio, fabbricante di
fiale e bottiglie. Nel 1268, poco più di un decennio dopo la costituzione della
"Corporazione" a Venezia, si ha il
trasferimento delle fornaci dalla città alla vicina isola di Murano, alla cui
produzione s'ispireranno per secoli tutti i concorrenti europei. Intorno al 1460, Angelo Barovier
di Murano, inventa un
vetro alla soda, più brillante e trasparente, chiamato "vetro cristallino".
Da questo periodo, si ha una emigrazione di maestri vetrai muranesi, che attratti da munifici produttori europei,
vanno a impiantare fornaci in Francia, Germania, Inghilterra, ecc..
In Boemia, dal 1667, si
sviluppa un procedimento calcico-potassico, mai usato nel vetro veneziano; nasce
il Cristallo, che presto verrà intagliato alla ruota in mille sfacettature. In Inghilterra, negli stessi anni, viene prodotto un vetro piombico,
chiamato flint glass, composto da silice, potassa, piombo (al 30%),
con l'aggiunta di carbonato di sodio, molto lucente e incolore. Nell'Ottocento i produttori di vetro europei riusciranno a
ridurre il contenuto di piombo (al 20%), dando vita a un semicristallo.
I Forni per la produzione del Vetro
La fusione
del vetro avviene ad una temperatura che varia dagli 800 ai 1500° C, a
seconda dei suoi componenti, quindi sia il forno che i crogioli
atti a contenere la miscela incandescente, devono essere realizzati con
materiale
refrattario in grado di resistere a queste elevate temperature. Agli inizi, essi
consistevano in un piccolo crogiolo riscaldato dal basso con fuoco di legna aerato
forzatamente con mantici.
Già nel VII°
secolo a.C., in Siria, si hanno notizie di un forno "a riverbero", le cui pareti
e soffitto a cupola dirigevano
il calore del fuoco direttamente sul crogiolo. Successivamente vennero
realizzati forni con una camera
separata, riscaldata a temperatura inferiore, dove i manufatti potevano
raffreddarsi
lentamente.
Con la crescente richiesta di prodotti di vetro, sia i forni che i
crogioli divennero sempre più sofisticati e ampi.
Dal Seicento, l'uso della legna come combustibile venne affiancato dal
carbone - successivamente verranno utilizzati l'olio e l'elettricità
- ai
giorni nostri la nafta e il metano.
Il vetro soffiato e gli stampi
Come già precedentemente accennato, intorno al
60 a.C., viene inventata la canna da soffio. Le prime canne erano lunghe dai
50 ai 90
centimetri e avevano un diametro che poteva raggiungere 15 mm., con l'imboccatura
per soffiare spesso isolata con del legno.
Al fine di poter manipolare masse considerevoli di vetro fuso, la lunghezza della canna
fu aumentata nel tempo, fino a 150 cm. Già nel I° secolo a.C., un gran numero di vasi
venne prodotto per soffiatura
entro stampi realizzati in terracotta e in legno,
successivamente in ghisa, tramandati gelosamente di padre in
figlio, insieme ai segreti della lavorazione.
Per produrre manufatti più complessi, si costruirono stampi a più sezioni
incernierate tra di loro.
Nel 1828, Deming Jarves, brevettò una macchina per lo stampaggio del
vetro, dando il via alla produzione di massa. Il vetro
usato era quello al piombo; in seguito
la percentuale di questo metallo venne diminuita e si introdusse il bario che solidificava più rapidamente, abbassando
ulteriormente i tempi di produzione.
Il vetro colorato
Il vetro nell'antichità fu
quasi sempre colorato o opaco. Ottenerlo incolore era molto difficile sia per la presenza delle
impurità contenute nelle sabbie poco raffinate, sia per la
temperatura dei forni che raggiungendo al massimo i 1100° C non riuscivano a
distruggerle. Con la colorazione, ottenuta aggiungendo alla massa vitrea
ossidi o sali metallici durante la fusione, si riuscivano a
correggere le tonalità ritenute poco piacevoli.
Per molto tempo la tecnica approssimativa di colorazione non ha consentito una costanza
del risultato finale, e talvolta risultati di grande pregio non potevano
essere duplicati.
Solo dopo la metà del Seicento vengono
riprodotte sistematicamente alcune colorazioni come il blu, ottenuto con ossido di
cobalto (già saltuariamente utilizzato dagli Egizi), e il rosso rubino dorato.
I coloranti per il vetro si raffinano considerevolmente nell'Ottocento,
con l'utilizzo di solfuri di cadmio e di selenio, raggiungendo livelli
qualitativi eccellenti e dalle
tonalità brillanti.
Giorgio
Catania
BIBLIOGRAFIA:
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AA.VV., Il vetro dall'antichità all'età contemporanea: aspetti
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