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La ricerca sulle tecniche e metodologia di Amalric Walter

e successivi sviluppi

 

 

Max Stewart

 

 

 

     

 


Nell'agosto 2006, per la prima volta al mondo, nel Regno Unito - alla Broadfield House Glass Museum - si è tenuta una mostra personale delle pâte de verre dell'artista francese Amalric Walter (1870-1959). Una delle particolarità di questa mostra, è stata che essa comprendeva quasi nella sua interezza una collezione privata di 161 esemplari in vetro di Walter. Questa collezione unica, donata al museo, dove è ora esposta, è stata il punto di partenza di due ricerche sulle metodologie e tecniche utilizzate da Walter, che hanno condotto ad una maggiore comprensione dell'uomo e del suo lavoro.
La prima ricerca, a seguito della mostra alla Broadfield House, venne proposta del Professor Keith Cummings della University of Wolverhampton, di cui ero l'assistente, e fu finanziata dalla Arts and Humanities Research Council.

La seconda ricerca è stata realizzata sulla base di quella precedente, durante il mio dottorato di ricerca (PhD) presso l'Edinburgh College of Art e l'Università di Edimburgo, ed è stata un'indagine che ha visto un'accurata analisi chimica e la riproduzione dei colori realizzati chimicamente.

Questo articolo si concentra sui risultati di questa seconda ricerca. E' stato da subito chiaro, che al culmine del suo successo, nel 1925,  Walter era riconosciuto in Francia come il più grande vetraio della sua generazione (Vallaires 1925), ma alla sua morte era già quasi dimenticato, e il suo stile unico di lavoro in pâte de verre è andato perduto per due generazioni.
 

 

Fig. 1

 

Parte del mistero che circonda il lavoro di Walter consiste proprio nella mancanza di dati sulla tecnica utilizzata per realizzare i suoi pezzi. Dopo la sua morte e la perdita dei suoi taccuini, in alcuni ambienti, si era anche ipotizzato che alcuni dei suoi pezzi fossero stati realizzati in vetro smaltato, invece che in pâte de verre. Come si può vedere nella figura 1, il corpo principale del granchio ha l'aspetto non tanto di vetro, ma di qualcos'altro, ricordando lo smalto opaco della ceramica. La mia indagine con Keith Cummings, presso l'Università di Wolverhampton, durante il 2005-7, ha dimostrato che questa teoria non è vera. In questa indagine abbiamo mostrato i dettagli più minuti dei suoi vetri, realizzati nello stampo durante il processo di fusione in forno. I dettagli - modelli, linee, fiori, foglie, dettagli della massa - sono stati tutti dipinti nello stampo con vernici a base di vetro macinato colorato (in sostanza una glassa) e lasciato asciugare prima di essere riempito con parti più grandi di vetro, prima che il lavoro fosse terminato. Successivamente, la mia ricerca ha rivelato che, nonostante l'uso del vetro come mezzo di espressione, Walter nel suo processo ideativo era prima di tutto un ceramista.

 

Fig. 2

 

Sotto l'egida del dottor Andrea Hamilton, dell'Università di Edimburgo, ho avuto la fortuna di aver potuto esaminare, nei laboratori del National Museum of Scotland, 5 dei pezzi della collezione Walter, utilizzando un microscopio elettronico a scansione (SEM), una macchina per la fluorescenza a raggi X (XRF) e uno spettroscopio Raman. La Fig. 2 mostra una delle opere esaminate  con la macchina XRF. Queste indagini hanno rivelato tre risultati significativi.

Il primo è stato la presenza di zinco in vari settori opachi dei suoi pezzi, in particolare il rosso delle bacche. La seconda, la presenza di uranio e dei suoi composti associati, all'interno delle aree colorate di giallo, arancio e ocra. Il terzo elemento, il contenuto complessivo di piombo nel vetro di Walter.
Lo zinco non è conosciuto come un colorante per il vetro e non è normalmente associato alla sua formazione, anche se, per un breve periodo nel XIX° secolo, sono stati realizzati  vetri a base di zinco (Weyl 1999). Lo zinco (sotto forma di ossido) è normalmente associato agli smalti ceramici, in particolare con i fondenti di sali di ferro e i loro smalti (Hamer 1991).

L'uranio invece è stato utilizzato, dal 1840 fino al 1942 (quando la sua disponibilità al pubblico è stata interrotta), sia negli smalti ceramici, sia nei colori per vetro; il più noto dei quali è stato il vetro "Vaselina" delle nostre nonne (Skelcher 2007). Ciò nonostante, il suo utilizzo non è stato molto discusso nell'utilizzo che Walter ne fece nella realizzazione dei suoi esemplari. Alla spettroscopia Raman, tutti e 5 i pezzi di Walter hanno rivelato chiaramente che il piombo (PbO2) contenuto è di circa il 42%, e non il 50% come era stato precedentemente suggerito da Noël  Daum (Daum 1984). Questo spiega perché i pezzi di Walter vengono meno graffiati e danneggiati di quanto lo sarebbero stati con un contenuto di piombo superiore, il che avrebbe prodotto un vetro tanto morbido da poter essere quasi graffiato con l'unghia.
 

 

Fig. 3

 

La comparsa di uranio nei risultati degli esami era insolito. In Gran Bretagna non si era pensato che qualche artista delle pâte de verre del XX° secolo, potesse aver utilizzato dell'uranio per fare i propri colori. La fig. 3 mostra il contenuto di uranio di una piccola scatola quadrata di Walter, che durante l'esame ai raggi UV diviene luminosa. Con questa scoperta ora sappiamo con certezza dell'utilizzo di uranio; ci sono inoltre due ricette storiche contenute nei quaderni di appunti di Gabriel Argy Rousseau (1885-1953) e François Décorchemont (1880-1971) (Leperlier 1982). Entrambi gli artisti, contemporanei di Walter, elencano rispettivamente l'uranate ammonio (NH4)2U2O7 per la realizzazione di un colore giallo-oro e l'ossido di uranio (UO2), per il verde smeraldo. 

 

 

Fig. 4a

 

Fig. 4b

 

Questi due colori possono essere osservati in un pezzo famoso di Walter, Camaleonte (Fig. 4a, b) così come in altri pezzi da lui realizzati.
Come Walter sia giunto ad usare l'uranio, può solamente essere ipotizzato, ma è mia convinzione che sia stato introdotto al suo utilizzo già a Sèvres, e il suo uso è stato rafforzato quando è entrato nella Daum Frères.

Baccarat, Lalique, Daum e altre vetrerie della regione di Metz in Francia sono conosciuti per avere usato l'uranio come colorante nel loro vetro, sia soffiato che a stampo (Strahan 2001).

Walter ha utilizzato la stessa tavolozza di colori durante tutta la sua carriera, e soprattutto dopo la morte di Bergé, quando i suoi nuovi collaboratori cambiano stile per adeguarsi alla moda Art Deco. Questo elemento indicherebbe che Walter producesse dei colori propri. Si può supporre quindi che abbia usato l'uranio, e che questo fosse facilmente disponibile ai produttori e creatori di vetro. Il processo di introduzione dell'uranio nel vetro è abbastanza semplice, come in qualsiasi altra miscela da amalgamare alle materie prime, portate a fusione per riscaldamento a temperatura di circa 1270°C.
La scoperta dell'uranio nel vetro di Walter mi ha indotto a esaminare l'intera collezione dei 161 pezzi della Broadfield House, con un contatore di radiazioni Geiger. I risultati sono stati sorprendenti: tra i 161 pezzi, tutti quelli che contenevano il giallo, arancio o ocra - così come alcuni pezzi di colore rosso scuro (sangue di bue) o marrone - sono risultati radioattivi, a volte 25 volte i valori base (2-4 conteggi al secondo). Nessuno dei colori blu o verde hanno fatto rilevare sul monitor di radiazione una lettura di fondo superiore ai 2 conteggi al secondo, a volte anche meno.
 

 

Fig 5

 

In alcuni pezzi di Walter, nella collezione della Broadfield House, che contengono blù, giallo e verde assieme, si rileva radioattività soprattutto nelle aree di giallo, e non nelle aree di blu o verde. La figura 5 mostra come le radiazioni vengano emesse nello spettro dei colori di nove esemplari della suddetta collezione di Walter.
Accanto a questo studio sull'uranio nelle opere di Walter ho avuto la fortuna di procurarmi dell'ossido di uranio, e sotto la guida del mio supervisore, il dottor Andrea Hamilton, una parte di questo è stato utilizzato per sintetizzare ammonio uranate. Utilizzando le indicazioni di Argy-Rousseau e
François Décorchemont (sopra citate) l'ossido di uranio è stato collocato nel vetro cristallo Gaffer, in crogioli di ceramica e riscaldato alla temperatura di fusione.
 

 

Fig 6

 

Fig 7

 

A 1270° C il contenuto dei crogioli è stato versato in secchi di acqua fredda (Fig. 6) ottenendo i colori che si vedono nella Fig. 7. Questi colori corrispondono esattamente ai due colori usati da Walter nel suo esemplare con Lucertola della collezione Broadfield House Fig. 8 - di giallo dorato e verde scuro.

 

 

Fig 8

 

Il fatto che sia stato usato, nelle opere di Walter, l'uranio (così come lo zinco) può fornire agli esperti maggiori elementi per valutare quello che è autentico e quello che non lo è. L'ossido di uranio e i suoi composti sono strettamente controllati da licenze in tutta Europa e in America, ed è difficile da reperire, come ho potuto constatare nel mio lavoro. L'uso dello zinco è complesso, e anche nella metodologia di Walter, si è dimostrato difficile da replicare esattamente. Nel frattempo sarebbe auspicabile una catalogazione generale delle opere di Walter, per accertarne la produzione e collocarla cronologicamente, come potrebbe essere di aiuto la scoperta dei suoi stampi, che esistono ancora da qualche parte.
 

           

Fig. 9  and  10

 

Dal 2006, con certezza, ora possiamo dire come Walter realizzava le sue pâte de verre.

A volte è stato chiesto "perché preoccuparsi di far rivivere una tecnica perduta?", ed è vero che il lavoro di Walter si trova oramai in un passato glorioso. Ma scoprire il passato può avere enormi implicazioni per il futuro. I risultati del mio dottorato di ricerca e, infine, nel mio lavoro sulla pâte de verre hanno dimostrato che la metodologia di Walter può anche essere facilmente applicabile da un artista moderno nel suo studio - come si vede nella fig. 9 e 10. Si tratta di due maschere, a grandezza naturale, che ho realizzato utilizzando le tecniche di Walter. Nel corso degli ultimi quattro anni è stato incoraggiante vedere come alcuni studenti, nei dipartimenti del vetro, presso le Università di Wolverhampton ed Edimburgo, utilizzano elementi della sua tecnica nel proprio lavoro. Esiste, naturalmente, il pericolo che attraverso la diffusione della sua metodologia i falsari avranno uno strumento in più per ingannare, e  che alcune riproduzioni riusciranno ad eludere le indagini. Per contro, il comprendere come le tecniche di Walter possano essere usate, apre un nuovo capitolo nella storia del collezionismo, facendo rivivere le tecniche perdute. Non solo per mero interesse accademico, ma come un poeta ha detto: alle imbarcazioni, nuove forme di ingresso nel mondo.

 

 

Max Stewart

 

 



Bibiography:


Vallieres, J. (April 1925) Un grand Verrier francais: M.A. Walter. Le Verre: Revue mensuelle des industries et du commerce du verre, vol. 5, no. No.4, pp. 76.

Weyl, W.A. (1999) Coloured glasses. UK, Society of Glass Technology.

Hamer, F.a.J. (1991) The Potter's Dictionary of Materials and Techniques. 3rd ed. London, A and C Black Ltd.

Skelcher, B. (2007) The Big Book of Vaseline Glass. Atglen, PA, USA, Schiffer Publishing Ltd.

Daum, N. (1984) La pate de verre. Paris, France, Denoel.

Lerperlier, A.e.E. (1982) Technique de la pâte de verre. La Revue de la Céramique et du Verre, pp. 22-23.

Strahan, D. (2001) Uranium in Glass, Glazes and Enamels: History, Identification and Handling. Studies in Conservation, vol. 46, no. 3, pp. 181-195.

 

 


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