Quanto la
carriera di Nicola Grassi è nota e ricca di opere nella sua parte matura
e tarda, tanto invece essa manca di documenti e certezze, soprattutto
figurative, nella fase iniziale. Ben pochi, infatti, i dipinti a
disposizione, al punto che le sole opere cronologicamente sicure del suo
primo periodo sono la Madonna e santi della parrocchiale di Cabia d'Arta,
firmata e datata 1710, il quasi coevo Ritratto di Alessandro Pandolfo
dell'IRE
di Venezia, anteriore al 1712, e il Sant'Antonio di Padova col Bambino
dei Musei Civici di Udine, firmato e datato 1722.
Tuttavia, come è noto, un piccolo ma significativo gruppo di dipinti si
situa nell'intervallo tra il 1710 ed il 1722; esso comprende le coppie
degli Evangelisti Marco e Luca e Filippo e Giacomo nella
chiesa dell'Ospedaletto a Venezia, situabili tra il 1716 ed il 1720
circa – che sono molto probabilmente precedute dalla coppia dei Santi
Pietro e Paolo, sempre all'Ospedaletto, datata 1716, restituitagli
da Giuseppe Maria Pilo, la cui alternativa attribuzione al Tiepolo è
indice non irrilevante di un rapporto tra i due artisti – e la
Rebecca al pozzo della chiesa di San Francesco della Vigna a
Venezia, collocabile intorno al 1720, oltre che poche altre opere di
simile orientamento stilistico, presumibilmente coeve.
Una profonda differenza si avverte tra la pala di Cabia d'Arta e il
Ritratto di Alessandro Pandolfo – connessi con la prima educazione
dell' artista, presso Nicolò Cassana, e per il suo tramite con una
cultura di tardo Seicento che deferisce anche a Bernardo Strozzi – e le
opere del secondo gruppo, connotate da un vivace e intelligente
inserimento del Grassi nella cultura figurativa veneziana
protosettecentesca, in variegato rapporto con Sebastiano Ricci, con
Antonio Balestra, con il Pellegrini, con il Pittoni, con il Bencovich,
con il Piazzetta e con lo stesso Tiepolo; artisti ai quali il Grassi è
stato accostato in modo talvolta eccessivamente sussidiario, nonostante
la forte autonomia formale dei suoi dipinti sia giovanili che della
prima maturità, che lo qualificano come una delle personalità più
inconfondibili nel concerto della pittura veneziana agli inizi del
Settecento.
Tale autonomia appare, del resto, anche se in nuce, nella stessa
pala di Cabia d'Arta, nella quale la testa della Vergine presenta già
quella tipologia dolcemente bamboleggiante poi replicata dal Grassi
all'infinito nelle sue opere successive, in modi talvolta un poco
meccanici e leziosi. Ma essa è ancora più evidente in queste due suoi
inediti, che sono qui lieto di presentare.
Fig. 1
Fig. 2
Nati come coppia, oggi purtroppo solo idealmente ricostruibile, i due
dipinti, dimensionalmente tra i più grandi che si conoscano dell'
artista – solo la tela votiva del santuario della Madonna delle Grazie
di Este, brillantemente restituitagli dal Pilo, mi pare li superi –
raffigurano, nel quadro che era probabilmente collocato a sinistra –
David punisce gli uccisori di Ishbaal (fig. 1), e nel secondo,
collocato a destra,
Ulisse che approda all'isola dei Feaci, con sullo sfondo Nausica
e le ancelle che lavano le vesti (fig. 2), in obbedienza alla narrazione
di Omero, anch'essa largamente rimaneggiata.
Le grandi dimensioni
delle due opere, e la loro visione dal basso, le fanno pensare
originariamente collocate in un salone o in un "portego", forse di un
palazzo veneziano o friulano che purtroppo non è possibile identificare,
quali exempla virtutis, il cui significato è da sciogliersi
probabilmente in una allegoria della giustizia, nella storia di David, e
in una allegoria dell'ospitalità, in quella di Ulisse.
I soggetti, rari nella storia della pittura italiana, la loro accentuata
caratura letteraria, le cospicue dimensioni dei dipinti fanno pensare a
una commissione prestigiosa, che il Grassi affronta con esiti formali
che coniugano drammaticità e grazia, a un livello del tutto inusitato
nel suo percorso.
Ma non è solo questo il fascino delle opere, che sembrano unire due
distinti momenti stilistici del Grassi in un risultato di perfetta
coesione formale.
3. Nicola Grassi, David punisce gli uccisori di Ishbaal, particolare.
Nel David punisce
gli uccisori di Ishbaal è del tutto immediato cogliere la diversità
di temperatura stilistica che intercorre tra le figure dei due soldati
in colloquio, nell'ultimo piano del dipinto (fig. 3), e quelle dei
personaggi principali che recitano sul proscenio, verso lo spettatore.
I soldati, infatti, bravamente sbozzati in grigio, giallo e verdino
sullo sfondo azzurro del cielo, hanno relazione con analoghe clausole
formali a più riprese utilizzate dall'artista – e in genere imputate a
suoi rapporti con il Pittoni – come nei coribanti similmente atteggiati
sullo sfondo della Nascita di Giove in collezione privata a
Udine, resa nota dal Martini con una datazione al 1730-1735 circa, che
il Rizzi ha preferito anticipare di circa un decennio. Soluzioni non
diverse si colgono anche nei soldati del Sacrificio di Ifigenia
della Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone – anch'esso pubblicato dal
Martini con datazione analoga a quella dell'opera precedente, che ancora
il Rizzi anticipa di circa dieci anni – esemplare omaggio del Grassi al
dipinto di Giovan Battista Tiepolo appartenente alla collezione
Giustinian Recanati. E simili appaiono, ancora, i due soldati sulla
sinistra della Prova dell'oro e del fuoco di Mosè in collezione
privata a Padova, resa nota dal Valcanover come un Giudizio di
Salomone, quando apparteneva alla collezione Pospisil di Venezia,
presumibilmente assegnabile al pieno del quarto decennio del secolo, e
cioè in un momento di ormai stabilizzata condivisione, da parte del
Grassi, della linguistica rocaille veneziana. L'esemplificazione
potrebbe continuare ad infinitum.
4. Nicola Grassi,Ulisse approda
nell'isola
dei Feaci, particolare.
Non dissimili considerazioni si possono avanzare a proposito dei
personaggi che animano il fondale dell' Ulisse accolto nell'isola dei
Feaci (fig. 4): in esso il particolare della nave, a sinistra, con i
compagni di Ulisse, trova calzante riscontro nella barca sulla destra
della Chiamata di sant'Andrea delle Bayerische
Staatsgemäldesammlungen di Monaco, restituita al Grassi dal Kultzen che
ne ha corretto precedenti attribuzioni a Johann E. Holzer, a Giovan
Battista Pittoni e ad Angelo Trevisani. Ancor più flagrante appare la
paternità grassiana delle figure delle ancelle che lavano i panni sullo
sfondo; tra esse, quella che regge un'anfora sul capo, che si intravede
dietro la prora della nave di Ulisse, combacia – e sembra quasi tratta
dallo stesso cartone o modello, solo leggermente modificato – con la
figura femminile all'estrema destra, in ultimo piano, nella Rebecca
al pozzo della parrocchiale di Sezza di Zuglio, del 1732-1735 circa,
le cui invenzioni di arcadia gentilmente contadina – «novelle bibliche,
galanterie pastorali, fidanzamenti rusticani», come felicemente chiosava
il Fiocco - trovano puntuale riscontro nel balletto elegante delle altre
ancelle e dei giovani che le accompagnano e aiutano, nel dipinto qui
illustrato.
I riscontri e i paragoni effettuati in rapporto alle figure di sfondo
dei due dipinti – che di per sé costituiscono una prova inequivocabile
della pertinenza grassiana delle opere – si sono focalizzati verso
esemplari che appartengono alla piena maturità dell'artista, il che
comporterebbe una datazione avanzata o addirittura tarda di questi suoi
nuovi reperti.
Ma un'analisi più completa invita a conclusioni diverse. Ho già
accennato alla complessità della struttura dei dipinti, con masse
figurali in primo piano che si affrontano in un articolato sistema di
corrispondenze dei personaggi, che fanno perno sulla figura di David,
all'estrema sinistra del primo, e su quelle dei Feaci all'estrema destra
del secondo, creando un ampio intervallo al centro di entrambe le opere,
mosso nel contrasto delle figure in primo piano e di quelle sullo
sfondo.
Per quanto composizioni così vastamente organate non manchino anche
nelle prove più mature del Grassi – come a esempio nella parte inferiore
della Assunzione della Vergine del Museo di Jesenice recentemente
pubblicata con pertinente datazione alla fine del quarto decennio – esse
sembrano, meglio e piuttosto, assegnabili agli anni della prima maturità
dell'artista, nel pieno o alla fine del secondo decennio del Settecento.
Soccorrono, in proposito, ampie possibilità di paragone. E innanzi tutto
quelle che consentono di individuare, nel sistema adottato, una
congiuntura protosettecentesca i cui termini di confronto, anche se
lati, oscillano da Sebastiano Ricci ad Antonio Balestra. Penso, per il
primo, a composizioni sul tipo di quelle dei dipinti dell'Ospedale degli
Esposti di Parma, quale il Giunio Bruto, databile verso la fine
del primo decennio del Settecento, o ancor prima al Ratto delle
Sabine di Palazzo Barbaro Curtis a Venezia, degli inizi del secolo,
mentre, per il secondo, la possibile assonanza è con gli smisurati
teleri del Martirio dei santi Cosma e Damiano e dei Santi
Cosma e Damiano salvati dall'angelo della basilica di Santa Giustina
a Padova, quest'ultimo firmato e datato 1718.
Devo dire però, che rispetto al sostrato studioso, anche e soprattutto
romano, tra Pietro da Cortona e Carlo Maratta, che caratterizza le opere
di questi due artisti, i dipinti del Grassi si presentano con una
selezione formale profondamente diversa, per la quale colgo vive
analogie non solo con Giovan Battista Pittoni, ma con lo stesso giovane
Tiepolo. Nel primo dei due dipinti, infatti, la figura di David
all'estrema sinistra, dalla volumetria scheggiata e scalare, pur vicina
al Pittoni, appare anche e forse più significativamente prossima alle
soluzioni adottate da Giovan Battista Tiepolo nei ritratti del Doge
Marco Cornaro, in collezione privata, e del Doge
5. Giovan Battista Tiepolo,Ritratto
del doge Giovanni II Cornaro.
Venezia, Ca' Rezzonico,
Pinacoteca Egidio Martini.
Giovanni II
Cornaro
(fig. 5), oggi esposto nella Pinacoteca Egidio Martini a Ca' Rezzonico,
dei quali sembra coniugare l'esito straordinario della manovra
pittorica, memore delle opere giovanili di Antonio Pellegrini nelle
lacche sontuose che la connotano, con l'impervio, flagrante scorcio
della figura, del quale il Grassi sembra aver tenuto il massimo conto.
La datazione circa il 1716 dei due Ritratti Cornaro, proposta dal
Martini nel suo saggio sull'artista, e ripresa nella letteratura
successiva, costituisce un importante termine di relazione cronologica
anche per queste opere del Grassi.
6/7. Nicola
Grassi.L'evangelista
san Marco -L'evangelista san Luca.
Venezia, chiesa dell' Ospedaletto.
E del resto, per esse
è inevitabile sottolineare anche la relazione profonda con le sue coppie
degli evangelisti San Marco (fig. 6) e San Luca (fig. 7) e
degli apostoli San Filippo
e San Giacomo il Minore nei pennacchi dell'Ospedaletto – che
presumibilmente vanno collocati nello stesso anno dei Ritratti dogali,
e per i quali il rapporto con le coppie tiepolesche degli apostoli
San Tommaso e San Giovanni, del 1715, è vivissimo — che
condividono con questi dipinti del Grassi la serica, morbidissima
conduzione dei panneggi, leggibile in particolare nelle vesti dello
sgherro intento a mozzare il piede, nel primo dipinto, e in quelle dei
Feaci elegantemente inturbantati, nel secondo.
Altre analogie confortano a una datazione simile. Così la somiglianza
tra la testa dello sgherro di destra e quella della corrispondente
figura in secondo piano nel Cristo deriso già in collezione
Barozzi a Venezia reso noto dal Fiocco, presumibilmente databile prima
del 1720. E ancora quella tra le figure in primo piano, in questi due
nuovi dipinti, e i Giuda e Thamar e Agar nel deserto in
collezione privata a Tricesimo, la cui datazione, usualmente collocata
intorno al 1720, si può forse anticipare di qualche tempo, per rapporto
con i pennacchi dell'Ospedaletto, dei quali condividono almeno in parte
la volumetria geometrizzata e semplificante, con tipici effetti di
cubismo, e la conduzione pittorica ricca e replicata nelle stesure dei
drappeggi.
Tiepolo, dunque, e sia pure un Tiepolo interpretato, fatto proprio,
interiorizzato in modo personale e autonomo. E a Tiepolo, ancora, mi
sembra rimandi anche il nudo classicamente venusto di Ulisse, che è
quasi il calco di una scultura adrianea, ma irrorato di una luce bionda,
teneramente solare; esso si bilancia, infatti, tra i portati, anch'essi
scultorei, delle accademie disegnative tiepolesche collocabili intorno
alla Scuola del nudo già nella collezione Rasini, resa nota dal
Morassi – quali lo studio di Nudo virile con corona d'alloro già
in collezione privata a Zurigo, il Nudo virile della collezione
Fantoni di Rovetta e il Nudo virile con clava degli Uffizi (fig.
8), da me individuati - e gli esiti di luminosità atmosfericamente
aperta che distinguono gli affreschi tiepoleschi di villa Baglioni a
Massanzago, verso il 1719-1720.
8.
Giovan Battista Tiepolo. Nudo
virile con clava. Firenze,
Uffizi.
Non so se l'attribuzione di quegli affreschi a Giovan Battista Pittoni,
poi emendata in quella definitiva al Tiepolo possa influire in qualche
modo anche sulla comprensione di queste nuove opere di Nicola Grassi.
Certo, il nome del Pittoni è tra quelli più frequentemente avanzati per
spiegare l'evoluzione del maestro dal timido cassanismo dei dipinti
iniziali ai suoi esiti ulteriori; valga, per tutti, il caso della
Rebecca al pozzo di San Francesco della Vigna, sul cui pittonismo,
peraltro, Franca Zava Boccazzi ha posto molti limiti. E non escludo che
il nome del Pittoni possa essere almeno parzialmente avanzato a
proposito del primo quadro della coppia, dove il concatenarsi
dell'azione e la postura di David richiamano opere quali il Cadavere
di Seneca mostrato a Nerone e la Morte di Agrippina già nella
Gemäldegalerie di Dresda, databili intorno al 1715. L'interpretazione,
peraltro, che il Grassi offre dell'evento appare, rispetto agli esiti
pittoniani, più sedata e diversa, e orientata in modi che attenuano
l'impervio, forzatissimo stilismo del Pittoni, e sembrano volgersi a un
recitativo più naturalmente atteggiato, pur nell'atrocità elisabettiana
dell' exemplum storico preso a materia del racconto figurativo.
Del resto il lume, davvero solivo, che inonda la figura di David appare
identico a quello che cade sul corpo di Ulisse, in tutto analoghi sono i
colori adottati, dai verdi brunastri ai bianchi setosi delle vesti;
simili risultano anche i due cani che commentano l'azione in entrambe le
opere, nella seconda delle quali l'inserimento, assai curioso, dei due
volatili in primo piano può rimandare a ricordi dell'animalistica dei
Cassana, secondo un rapporto attestato dalle fonti e provato dalla sua
versione del Giobbe rimproverato dalla moglie della Staatsgalerie
di Stoccarda, tratta dall'analogo dipinto cassanesco delle Staatliche
Kunstsammlungen di Kassel, da me pubblicata con una datazione
piuttosto tarda, che potrebbe essere alquanto arretrata, e posta forse
agli inizi della carriera dell'artista, come qui ora è proposta.
Le due opere, quindi, nascono all'unisono, e per esse, lo ribadisco,
risulta essenziale la relazione con il primo Tiepolo. Al quale, in un
momento molto giovanile, confesso di avere pensato direttamente, in
un'ipotesi attributiva poi caduta di fronte all'evidenza della paternità
grassiana dei due dipinti, palese tanto nei fondali trasparenti e
perlacei, che sono assolutamente tipici di Nicola, quanto nelle figure
maestosamente luminose in primo piano, che ora gli si devono riferire
con eguale certezza. Infine, è affatto tiepolesca anche la testa del
giovane paggio che, all'estrema destra dell' Ulisse, estrae dal
canestro di vimini una veste rossa, per coprire e proteggere il povero
naufrago: una testa che potrebbe essere un ritratto, così simile a tanti
volti – come questo di Giovinetto, già presso Colnaghi a Londra (fig. 9)
– che appaiono, anch'essi tratti dal vero, nel quaderno giovanile di
disegni del Tiepolo che ho potuto ricostruire.
9.
Giovan Battista Tiepolo. Studio
di testa. Londra, Colnaghi (già).
Un ritratto che
sarebbe bello poter identificare, magari con quello stesso di Nicola,
che però sarebbe qui raffigurato in età troppo giovanile, o in quello
stesso del Tiepolo, con cui in effetti non mancano analogie, come si
ricava dal confronto con i suoi autoritratti inseriti nell' Agar che
nasconde gli idoli dell'Arcivescovado di Udine e nell' Apelle che
dipinge Campaspe del Museum of Fine Arts di Montreal, che appaiono
però morfologicamente troppo diversi per consentire l'esatto
riconoscimento. Non so se abbia ragione Aikema nel proporre che la
Scuola del nudo
già nella collezione Rasini rappresenti non l'accademia di Gregorio
Lazzarini, o di Giovan Battista Piazzetta, ma quella dello stesso
Tiepolo che, secondo la testimonianza del pittore Johann Balthasar
Bullinger, ma a distanza di parecchi anni, nel 1733, teneva aperta una
scuola di pittura frequentata da dieci persone, anche di molto più
anziane del maestro.
Se tale ipotesi fosse corretta, si potrebbe pensare a una frequentazione
tra i due pittori all'interno di tale scuola del nudo; ma anche se ciò
non fosse vero, mi sembra del tutto legittimo supporre un rapporto
personale tra i due artisti, che è reso possibile dalla loro presenza,
pressoché contemporanea, nell'ambiente dell'Ospedaletto. In ogni caso,
la conoscenza di queste due nuove opere giovanili di Nicola Grassi, più
vecchio di quattordici anni del Tiepolo, più vecchio di cinque anni del
Pittoni, contribuisce a qualificarlo come un artista non al traino dei
suoi più giovani colleghi, ma piuttosto come un loro comprimario solo
anagraficamente più anziano, e però autonomamente e magistralmente
operoso, nei termini di una cultura figurativa comune – nella varietà e
nell'intreccio delle singole interpretazioni – quale è quella veneziana
del secondo decennio del Settecento, splendidamente documentata dai
dipinti qui pubblicati.