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Andrea Piai
Sottrazioni e addizioni al catalogo di Nicola Grassi; un'ipotesi
per Giovanni Battista Grassi
1. Nicola Grassi, Paride.
Collezione privata.
All'opera di Nicola Grassi (Formeaso 1682 - Venezia 1748), e
all'ambiente artistico che lo vide comprimario, Giuseppe Maria Pilo ha
dedicato molteplici e intense pagine: dalle capillari ricerche sul
patrimonio artistico dell' IRE di Venezia e della chiesa dell'
Ospedaletto in particolare, alla straordinaria identificazione della
Madonna Hodigitria di Este, sino alla recentissima vasta
ricognizione delle testimonianze che gli artisti veneti hanno lasciato
nei territori dalmati. È, quindi, per me un grande piacere poter
ritornare su di un argomento a lui così caro. Se l'arte del Grassi può
dirsi oggi tutto sommato indagata a sufficienza (pur con qualche
fraintendimento dovuto alla qualità variegata delle opere che gli
vengono riferite, davvero troppo discontinua per essere spiegata
esclusivamente in termini di maggiore o minore ispirazione), ancora a
uno stato embrionale appare lo studio di quello che fu il lavoro della
bottega, degli allievi e dei seguaci anche tardi, che non furono pochi.
I loro nomi (Giambattista Colussi, Francesco Pellizzotti, Paolo Schiavi,
Giambattista Tosolini, Francesco Unterberger, Angelo e Antonio Venturini
tra gli altri) sono noti da tempo, ma solo ora si comincia, almeno per
alcuni, ad avviare un catalogo di opere di qualche consistenza. In
generale, si può dire che furono tutti petits-maîtres di limitato
talento. Scopo di questi brevi cenni, però, non è tanto quello di
riesaminare la loro personalità, quanto di suggerire qualche congettura
sul modus operandi della bottega di Nicola, che forse, secondo
una consuetudine veneziana ricca di precedenti illustri, per qualche
tempo praticamente coincise con i suoi stretti congiunti. Larga parte
delle informazioni di cui disponiamo in merito alla vita di Nicola
Grassi e dei suoi familiari sono state reperite e divulgate grazie alle
ricerche archivistiche di Lino Moretti, preziosissime come sempre; in
definitiva, però, quanto ora conosciamo rende, se possibile, ancora più
intricata la questione circa la possibilità d'individuare l'eventuale
ruolo di alcuni dei parenti più prossimi nella sua bottega, tale è
l'ambiguità di quanto emerso.
Un primo motivo d'incertezza riguarda il padre di Nicola, Giacomo: egli
risulta aver esercitato la professione di sarto a Venezia almeno sin dal
1691 e, presumibilmente, fino al 1716, data in cui il suo nome compare
per l'ultima volta nei libri dell'Arte. Nel suo necrologio, però, egli
viene ricordato non come sarto ma come "pittor [...] di anni 79
in circa": che non si tratti di un caso di omonimia è certo, poiché fu
proprio Nicola ad accollarsi le spese della sua sepoltura.
Altra figura che rimane tuttora piuttosto sfuggente è quella di uno dei
fratelli, Giovanni Battista. Di due anni più giovane di Nicola, essendo
nato il 25 aprile 1684, costui nel 1711 lavorava, parimenti come sarto,
nella bottega del padre. Non sono, però, in grado di dire se egli abbia
continuato a esercitare quell'attività anche dopo il 1716, quando cioè,
come visto, Giacomo Grassi probabilmente abbandonò quella professione, o
almeno l'esercizio continuativo di essa. Sta di fatto che Federico
Montecuccoli degli Erri lo dice pittore anch'egli ("ignorato dalla
Fraglia e dai Rolli"), riferendo altresì che nel 1745 risultava abitare
una dimora piuttosto modesta (in gran parte, peraltro, sublocata –
guarda caso! – a un sarto), nella contrada di Santa Maria Formosa'.
A ingarbugliare le cose subentra una sorta di suo alter ego,
della cui esistenza ci ammonisce, ancora una volta, il Moretti: un
secondo Giovanni Battista Grassi, pure costui pittore (dilettante, e
come tale estraneo alle formalità burocratiche della Fraglia, che
qualche indicazione ulteriore avrebbero potuto tramandarci), pure costui
abitante a Santa Maria Formosa, dove a sua volta venne sepolto.
Da queste poche notizie, tutto men che univoche o risolutive,
sembrerebbe in ogni caso potersi dedurre che, a un certo momento, verso
la seconda metà degli anni dieci del Settecento, il padre e uno dei
fratelli di Nicola Grassi dovettero ritenere più redditizio abbandonare
la precedente professione di sarti per lavorare nella bottega di pittura
di quest'ultimo, ormai affrancatosi da oltre un lustro dal maestro
Nicolò Cassana e, forse, bisognoso di assistenti che lo aiutassero a
evadere le commissioni che cominciavano a farsi sempre più pressanti.
L'ipotesi dell'effettiva esistenza, anche nel caso dei Grassi, di quella
che al giorno d'oggi si potrebbe qualificare un'impresa familiare
(ovvero un'unica unità produttiva, la cui coesione è affidata al vincolo
di stretta parentela tra i prestatori d'opera, sotto la direzione
dell'"imprenditore" vero e proprio: nel nostro caso, ovviamente,
Nicola), che dovette costituire il nucleo di un atelier anche più
vasto, sembra oggi trovare un primo riscontro grazie a un rinvenimento
per molti versi inaspettato.
2. Giovanni Battista Grassi
(?), Il viaggio di Giacobbe. Pordenone, Museo Civico.
Nelle collezioni del Museo civico di Pordenone vi è un piccolo quadro
rappresentante il Viaggio di Giacobbe, già catalogato come lavoro
di un anonimo seguace di Giovanni Benedetto Castiglione (Genova 1609 -
Mantova 1664): attribuzione evidentemente dovuta, oltre che al soggetto,
alla sigla "GB" che si legge sulla soma di cui è onusto l'animale sulla
destra. Si tratta di un'opera la cui descrizione si può reperire in un
gradevole opuscolo divulgativo, curato da Gilberto Ganzer e Sara Berti,
pensato quale strumento di didattica museale a beneficio degli studenti
delle scuole elementari e medie inferiori.
Di qualità rispettabile ma certo non eccelsa, il dipinto sulle prime
richiama senz'altro le invenzioni del Grechetto (a loro volta
apertamente ispirate a quelle bassanesche); a un'analisi appena più
approfondita, tuttavia, esso dimostra al di là d'ogni dubbio di
appartenere a un artista dello stretto entourage di Nicola
Grassi, dal quale mutua tipologie e gamma cromatica, senza però saper
arrivare alle squisite finezze coloristiche che rendono così fascinose
le opere che si possono ritenere con certezza autografe. Se, dunque,
d'opera tanto debitrice dello stile di Nicola si tratta, mi sembra
ragionevole supporre che la sigla appostavi (di un'ambiguità forse
addirittura intenzionale) possa essere indicativa della paternità
proprio del suo fino a oggi sconosciuto fratello, del quale verrebbe
finalmente a rappresentare l'opera "pilota".
3. Bottega di Nicola Grassi,
Giacobbe impianta le verghe. Ascoli Piceno, Museo Civico.
A mio avviso, senz'altro lavori di qualche allievo del Grassi debbono
considerarsi anche le quattro storie bibliche già appartenenti alla
collezione Ceci e oggi al Museo di Ascoli Piceno (ma provenienti dal
territorio carnico), il cui inserimento nel corpus del
capobottega non è mai stato, del resto, privo di riserve. Se in esse la
fedeltà ai modi di Nicola appare ancora una volta lampante, altrettanto
si può dire dell'attenuazione della tenuta qualitativa rispetto ai
dipinti di sicura appartenenza: il colore risulta più sordo assumendo
talora una consistenza gessosa, la preparazione bruna affiora
sensibilmente, il disegno presenta una maggiore secchezza e, in
definitiva, l'effetto complessivo lascia la sensazione di qualcosa
d'irrisolto, ciò che talvolta si è tentato di spiegare qualificando le
tele picene come "bozzettoni". Personalmente non condivido
quest'ipotesi, e preferisco ritenere i quattro dipinti - i quali,
d'altro canto, non presentano neppure le caratteristiche precipue delle
copie - opera finita d'un membro della bottega del Grassi. Non posso
escludere, da quel poco che ne sappiamo (ma l'aleatorietà di questa
affermazione è evidentemente altissima), che spettino appunto a
Giambattista, qualora l'ipotesi poc'anzi espressa dovesse rivelarsi
centrata; ma la tavolozza, che in questo caso include l'uso di tinte
fredde quali non si riscontrano nella tela pordenonese, mi fa cautamente
propendere per una mano diversa.
Abbandonando un terreno così insidioso e passando finalmente a
considerare alcune opere da ricondursi non a qualcuno dei collaboratori
ma al maestro in persona, vorrei iniziare da uno dei rari dipinti
profani dell'artista friulano: un Paride di collezione privata,
fino a oggi attribuito a un non meglio identificato pittore della
cerchia di Antonio Bellucci. La forte evidenza plastica e il robusto
chiaroscuro indicano, a mio avviso, un'esecuzione tra il 1720 e il 1725.
Si tratta, allora, della più precoce delle tre variazioni sul medesimo
tema che a oggi si conoscono: di qualche anno successiva, risalente con
ogni verosimiglianza all'inizio del quarto decennio, deve ritenersi la
tela di identico soggetto un tempo nella collezione Calligaris di Terzo
d'Aquileia e ora al Museo civico di Pordenone, mentre il quadro
pubblicato - su questa stessa rivista - da Aldo Rizzi è sicuramente la
redazione più tarda, licenziata ormai negli anni quaranta, come palesa
il colore morbido e sensuale che annulla ogni disegno.
4. Nicola Grassi, Giacobbe
spartisce il gregge di Labano. Collezione privata.
Segnalo poi un Giacobbe spartisce il gregge di Labano
appartenente alla collezione Franchi di Meduna di Livenza: nonostante la
sporcizia e alcune ridipinture ottocentesche (presenti specie nel volto
e nella mano destra del vegliardo) che tuttora ne ostacolano una lettura
compiuta, appare chiaro che si tratta di una seconda versione autografa,
su più larga scala, del piccolo quadro già reso noto, indipendentemente,
da Egidio Martini e Aldo Rizzi".
5. Nicola Grassi, Ritratto
di Elisabetta Rossi. Venezia, Istituzioni di Ricovero e di
Educazione.
Mi sembra, inoltre, una proficua addizione al catalogo di Nicola Grassi
anche il Ritratto di Elisabetta Rossi, oggi nella quadreria
dell'IRE di Venezia senza una precisa attribuzione. Il dipinto, che in
passato deve aver molto sofferto, presenta estese e fuorvianti
ripassature nella veste della donna ritratta; tuttavia l'intensità del
volto e la resa sensibile delle mani (ovvero le zone rimaste
fortunatamente più leggibili) paiono di per sé sufficienti ad avvalorare
la paternità grassesca qui suggerita. Ne propongo una datazione
approssimativa agli anni 1715-20, confortata anche dall'età apparente
della prima priora delle Penitenti, che era nata nel 1667.
Pubblico infine un esempio della non frequente produzione grafica di
Nicola, così spesso confusa con quella di altri pittori. Si tratta di
uno studio condotto nel medium più caro al maestro, la sanguigna.
Di forma irregolare, è stato ritagliato da un foglio originariamente più
ampio e quindi inserito in un album assieme ad altri disegni di autori
sei settecenteschi non solo veneti. Sebbene l'antica attribuzione a
Giovanni Battista Pittoni (dovuta a un collezionista tuttora anonimo che
soleva incorniciare i fogli con una linea a inchiostro nero interrotta
in corrispondenza del cognome del presunto autore) sia stata mantenuta
anche in tempi recentissimi, ritengo che il riconoscimento della mano di
Nicola non necessiti di particolari argomentazioni a suo sostegno:
basterà la comparazione con prove grafiche sicure quali la Scena con
Ercole di collezione privata e soprattutto con la Madonna con
angeli e un santo francescano dell'Ambrosiana di Milano. Suggestivo,
anche se non necessariamente implicante una relazione diretta tra le due
opere, il confronto con la figura in secondo piano a sinistra nel
Battesimo di Cristo della chiesa degli Zoccolanti ad Augusta.
6 Nicola Grassi, Studio di figura femminile semisdraiata e altra
figura. Londra, mercato antiquario (già).
Di qualche interesse potranno forse essere alcune osservazioni in merito
alla provenienza di questo nuovo foglio: l'album di cui faceva parte
apparteneva alla raccolta "Graf Giannazzai" di Udine, come faceva fede
l'ex libris appostovi. A quanto ne so, tale collezione non è
ancora stata oggetto di studi specifici, né è altrimenti conosciuta;
Fritz Lugt, però, parlando di un raccoglitore di rango quale Leopold
Zatzka, riferisce che egli attinse copiosamente dalle vendite "d'un
comte Gianazei" (sic) avvenute a Udine attorno al 1900 ("il
y a une vingtaine d 'années": il suo repertorio data al 1921). Si
tratta, quest'ultima, di una circostanza che, in considerazione
dell'identità del luogo di dispersione e della forte assonanza dei
rispettivi cognomi, m'induce a sospettare che vi possa essere stata
qualche reciproca confusione con la collezione della famiglia Cernazai,
la quale si fregiava, secondo Giuseppe Fiocco, dei due grandi album di
Sebastiano e Marco Ricci di cui Alessandro Bettagno ha scoperto l'antica
appartenenza ad Anton Maria Zanetti il Vecchio.
7. Nicola Grassi, San
Benedetto e due confratelli nutriti da un corvo. Collezione privata.
Anche molti dei beni
già Cernazai, pervenuti per legato al Seminario Arcivescovile di Udine,
furono alienati in quella città nel 1900, e tuttavia né in quel
catalogo, né in quello di una seconda asta organizzata qualche tempo
dopo a Milano, si trova alcuna traccia dei due volumi di disegni. Può
darsi benissimo che tale lacuna sia dovuta al fatto che «la biblioteca
non fu messa in vendita in quell'occasione, ma solo più tardi e alla
spicciolata», e che per quella via gli album ex Zanetti
entrassero nelle raccolte del commendator Antonio Dal Zotto, ma non è
nemmeno impossibile che essi fossero appartenuti in effetti non a
Francesco Maria, canonico del Seminario e ultimo dei Cernazai, ma al più
oscuro amatore, o forse mercante, che è stato proprietario anche del
taccuino racchiudente il foglio del Grassi appena discusso: le parole
del Lugt, che sembrerebbero aver operato un'involontaria commistione tra
due personaggi, potrebbero essere, banalmente, all'origine di un
equivoco non ancora dipanato.
Un grazie ad Armando Cattaneo,
Giorgio Fossaluzza, Luciano Franchi, Gilberto Ganzer, Marta Nadali.
Andrea Piai
ARTE Documento
N°16
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Edizioni della Laguna