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Sei piccoli dipinti devozionali e una Susanna al bagno di Nicola Grassi

 

 

 

1. Nicola Grassi, Susanna e i vecchioni, 1738-1740 ca.

 


Accade non di rado che opere di Nicola Grassi (Formeaso, Carnia, 1682 — Venezia 1748) o della sua bottega rimangano celate sotto il nome di artisti d'origine oltremontana: è il caso, a esempio, di un dipinto dei Musei Vaticani a lungo attribuito a Paul Troger, ma anche, a mio avviso, di due piccole tele gemelle raffiguranti l' Estasi di san Luigi Gonzaga e l' Estasi di san Stanislao Kotstka conservate nella pinacoteca del monastero premostratense di Strahov a Praga (figg. 3, 5).

 

3. Nicola Grassi, Estasi di san Luigi Gonzaga, 1710-1716 ca.

Praga, Galleria del Monastero di Strahov.

 

                          5. Nicola Grassi, Estasi di san Stanislao Kotstka, 1710-1716 ca.

                                                                       Praga, Galleria del Monastero di Strahov.

 

In quel museo, nonostante i dubbi espressi da una parte della critica, sono tuttora inventariate come di Anton Kern (Děčín, 1709 - Dresda 1747), valente allievo boemo di Giambattista Pittoni. Sono pitture realizzate con una pennellata energica e abbreviata, la cui rapidità ben si può esplicare pensando alla fase prodromica alla creazione di una coppia di pale d'altare di cui, a mia conoscenza, ai nostri giorni non v'è traccia. La congettura di Pavel Preiss, che ritiene di individuare la committenza del nostro pendant nella comunità gesuita del monastero di Bohosudov, è ingegnosa ma poco verosimile, in quanto basata sul presupposto che le tele fossero state eseguite durante il soggiorno boemo del Kern.
La datazione dei dipinti ora discussi presenta un certo margine d'approssimazione, anche in considerazione del carattere non finito, connaturato - come si è detto - alla loro qualità di probabili modelli per opere di maggiori dimensioni. Potrebbero, a mio avviso, essere stati eseguiti nella prima metà degli anni dieci del Settecento, in quella fase tuttora priva di certezze che sta tra la pala di Cabia d'Arta, firmata e datata 1710, da un lato, e gli Apostoli della chiesa di Santa Maria dei Derelitti a Venezia, del 1716 circa, come hanno dimostrato i penetranti approfondimenti di Giuseppe Maria Pilo, dall'altro. La mia ipotesi cronologica si basa sulla robustezza dei contrasti cromatici e luminosi, non immuni da reminiscenze di certa pittura della fine del secolo precedente, che ancora non sembrano conoscere le pacatezze tonali che, a partire dagli anni venti, il maestro affinerà sempre più. Il cromatismo affocato anche se non cupo, sapientemente ravvivato dal repentino bagliore delle creature celesti che si materializzano innanzi ai religiosi, dovrebbe a mio giudizio situare i dipinti cechi in un momento più precoce rispetto a quello a cui appartengono le tele agli stessi più affini per soggetto, ossia le quattro raffigurazioni delle estasi di altrettanti santi francescani (Antonio, Bonaventura, Francesco e Giovanni da Capistrano) appese alle pareti della sagrestia di San Francesco della Vigna a Venezia, rese note da Egidio Martini e dallo studioso correttamente fatte risalire al 1718 circa, ovvero in epoca di poco successiva ai citati pennacchi dell' Ospedaletto (fig. 4).

 

4. Nicola Grassi, San Bonaventura confortato dall'angelo, 1718 ca.

Venezia, chiesa di San Francesco della Vigna, sacrestia.


All'incirca del medesimo momento dei dipinti praghesi paiono piuttosto quattro telette ovali (la cui esistenza mi è stata anche segnalata, con grande premura, da Pietro Scarpa), ancora in attesa di una pulitura che, rimuovendo sporcizia e vernici ingiallite, le restituisca a migliore leggibilità. La piccola serie devozionale, pienamente riferibile al pittore carnico, comprende le immagini del Redentore, in atto di custodire il globo con la mano sinistra mentre la destra è sollevata in un gesto benedicente che rende esplicito il richiamo al dogma trinitario (fig. 6)della Vergine, effigiata nella movenza prediletta da Nicola Grassi, con le braccia incrociate sul petto (fig. 8); di San Francesco, assorto in meditazione su una nuda croce lignea e un teschio (fig. 7); di Sant'Antonio da Padova, reggente l'usuale attributo del giglio candido, in rapita preghiera (fig. 9).

 

6. Nicola Grassi, Cristo benedicente, 1710-1716 ca.

Venezia, convento di San Francesco della Vigna, cappella delle preghiere.

 


7. Nicola Grassi, San Francesco in meditazione, 1710-1716 ca.

Venezia, convento di San Francesco della Vigna, cappella delle preghiere.

 


8. Nicola Grassi, Vergine in preghiera, 1710-1716 ca.

Venezia, convento di San Francesco della Vigna, cappella delle preghiere.

 


9. Nicola Grassi, Sant'Antonio da Padova orante, 1710-1716 ca.

Venezia, convento di San Francesco della Vigna, cappella delle preghiere.


Attualmente i quattro dipinti, privi di attribuzione, sono custoditi nella bella cappellina che si affaccia sul primo chiostro sempre del complesso conventuale di San Francesco della Vigna.
Nicola Grassi doveva essere molto legato, a quanto sembra non solo da rapporti di committenza, all'antica e illustre comunità francescana, la cui sede fra l'altro si trovava a pochi minuti di cammino dalla dimora del pittore, in corte Perina a San Zanipolo. Le opere qui presentate - per quanto ne so, non registrate da alcuna fonte antica - verosimilmente costituiscono ulteriore testimonianza della sua operosità per quella congregazione.
Ho infine il privilegio di rendere noto un dipinto di bellezza davvero non comune, con il quale il pittore di Formeaso entra in competizione, oso affermare anche vittoriosamente, con Giannantonio Pellegrini. La Susanna e i vecchioni che qui presento (fig. 1) palesa, infatti, una sapienza compositiva e coloristica affatto degna del suo ben più celebrato collega, ma non quella vacuità che in alcuni casi impedisce alle opere di quest'ultimo di sollevarsi dal livello di pur godibilissima decorazione: soavi quanto incorporei "quadri di paradiso", secondo la perfetta locuzione di Angela Carriera.

 

                    2. Giannantonio Pellegrini, Susanna e i vecchioni.

 

Il raffronto con un capolavoro di uguale soggetto, dipinto da Giannantonio in quello stesso torno d'anni e oggi conservato in collezione privata milanese (fig. 2), appare eloquente in merito ai diversi intendimenti stilistici dei due maestri, e alla qualità che entrambi hanno saputo raggiungere.
Nella Susanna ora discussa il carattere delle figure – colte dal Grassi in un close-up per lui relativamente inusuale – resta, al solito, robusto e sanguigno, ma nonostante ciò il dipinto mantiene in ogni sua parte una levità e una fragranza straordinarie; il manto candido che avvolge le nudità della donna sorpresa dai due vecchi concupiscenti nell'atto di bagnarsi alla fonte è un magistrale saggio di pura, venezianissima pittura tonale, particolarmente accurato anche nella resa dei riflessi che colorano delicatamente la trasparenza delle ombre; la tavolozza è, nel suo complesso, di raro equilibrio tra morbidezza e luminosità. Nel dipinto che qui si presenta, tra l'altro, Nicola rinuncia per una volta alla propria tipologia femminile prediletta, «stilizzata e inconfondibile», per raffigurare la protagonista-vittima con fattezze maggiormente realistiche e di certo più provocanti del consueto.
Direi che il parallelo più stringente per quello che per molti versi può considerarsi un vero e proprio hapax legomenon nella produzione grassesca possa esser fatto con l' Assunta di Jesenice, con la quale la tela qui resa nota ha in comune l'intensità cromatica, nel nostro caso fatta di carnosità rosacee, azzurri profondi e bianchi smaglianti che squillano sull'ovattata intonazione bruna di sottofondo. La datazione, di conseguenza, dovrebbe appartenere allo scorcio degli anni trenta del Settecento, ossia alla fase forse qualitativamente più alta della carriera del maestro. Una simile tesi pare confermata anche dal raffronto con il Daniele scagiona Susanna nelle collezioni della Banca Popolare Udinese (dal punto di vista iconografico quasi una ideale prosecuzione della vicenda narrata nella nuova tela qui discussa), convincentemente collocato dalla critica appunto attorno al 1738, ovvero con l'Adorazione dei pastori della Staatsgalerie di Stoccarda, anch'essa dello stesso momento assai felice e ispirato.
In conclusione, un dipinto eccellente che, oltre a farci rinnovare con ancor maggiore convinzione il bonario rammarico espresso dal Martini per la mancanza pressoché assoluta di opere di carattere erotico-profano del Grassi, spero possa contribuire a far finalmente guadagnare al maestro d'origine friulana il rango che gli compete nella storia della pittura non solo veneta del diciottesimo secolo.

 

 

Andrea Piai


 

ARTE Documento N°22                                                               © Edizioni della Laguna