La Sala costruttivista del Ventisette

 

Un momento irripetibile nell'Arte del Novecento

 

 

Carlo Milic

 

 

 

 

 

 

Di Augusto Cernigoj tempo fa scrivevo: "...è un autentico viandante fine secolo, una guida ed un vate per chi gli è cenobita (è da uno di questi incroci quello con il poeta Srecko Kossovel, nascono per il poeta i radicali, per il pittore i collages): è a Lubiana, poi alla Bauhaus, poi ancora a Lubiana, infine a Trieste. Per Cernigoj negli anni Venti rivoluzione nell'arte non si traduce con Futurismo e tuttavia, per opportunità, accetta per il suo lavoro quell'etichetta. Assieme ai suoi compagni di strada, che leggono come lui il progresso del visivo nella lezione costruttivista (da El Lissitskij a Tatlin), crea la "Sala costruttivista" per la prima esposizione del Sindacato di Belle Arti al Padiglione municipale del Giardino Pubblico nel '27: nello spazio isolato, che si stacca rudemente dalle prove novecentiste degli assertori del sistema, segni materiali emergono nei loro colori puri per divenire pura sensazione estetica, ma anche forma d'oggetto utile. Straordinaria ed atipica corruzione germinale di metodologie espressive apparentemente in opposizione ( interpretazione soggettiva e perciò ancor più affascinante del far per gli altri della Bauhaus,dell'imporre la pura sensibilità plastica suprematista e del desiderio di emancipare la massa con l'arte), che da dei frutti inattesi - ed assolutamente ignorati o malintesi dalle gerarchie culturali del tempo - mercé l'etichetta futurista, genericamente appioppatale".

"La mostra del '27 d'altronde, destinata ad ospitare tale epifania aliena, è la più innocente parata delle migliori qualità degli iscritti al Sindacato, strumento sin d'allora di governo (e di controllo), previsto e sancito per gli artisti locali e della Regione Giulla. Ciò che ci offre la documentazione fotografica del tempo, sulla rivista slovena Nas Glas, è poca cosa, ma la ricostruzione effettuata in base a ricerche d'archivio (e per più lontane testimonianze dello stesso Cernigoj), ricostruzione avvenuta nel '91 in occasione della mostra Il mito sottile presso il Museo Revoltella, svela l'esemplarità di un avvenimento, che non ha pari nel nostro paese nel primo quarto di secolo. E che non poteva realizzarsi che a Trieste per quell'incrocio culturale d'esperienze, probabilmente irripetibile...".

Il testo, non pubblicato allora per varie vicissitudini editoriali, ora risulta di stretta attualità: Trieste e Lubiana celebrano a pochi giorni di distanza la figura di Cernigoj, con due rassegne destinate non foss'altro a riportare in primo piano il lavoro creativo di un artista, spesso sottovalutato in vita per lo straordinario eclettismo della sua ricerca e per la dichiarata intenzione di far intendere l'arte, come il momento di massima esaltazione dello spirito ludico dell'uomo.

Proprio il suo carattere ironico e spesso iconoclasta hanno condotto anche molti esponenti della cultura slovena al di qua ed al di là del confine a giudicarlo personaggio minore. Intento nell'eccellente missione del maestro, in grado di far apprendere tecniche e segreti strutturali del meccanismo creativo dell'arte al suoi allievi sul banchi di scuola, ma poco qualificato invece nell'assumere un ruolo di livello nella storia dell'arte triestina e internazionale.

Maggior attenzione merita poi il brano riportato, perché dalla mostra triestina, aperta or ora al Revoltella, non risulta documentata in alcun modo quella Sala costruttivista, che rimane uno straordinario trait d'union tra gli insegnamenti assunti da Cernigoj alla Bauhaus da Moholy Nagy e Kandinskij e l'attenzione rivolta dall'artista triestino al costruttivismo russo, anche attraverso i rapporti epistolari con El Lissitskij: e ciò meraviglia non poco in particolare perché al Museo Revoltella si era proceduto nel '91 ad una ricostruzione efficace e fedele della stessa Sala, portando innanzi del pari anche la verifica del Padiglione Comunale del Giardino Pubblico (ora sede ricreativa del dipendenti dell'ente) dello spazio realmente occupato in quel sito dalla stessa Sala costruttivista (la ricerca, con esito favorevole, fu condotta allora da Piero Conestabo, poi uno dei ricostruttori della stessa struttura per Il mito sottile.

 

 

 

 

Piero Conestabo durante le fasi della ricostruzione

 

 

Ora ci dicono che la Sala fa bella mostra del suoi significati nell'ambito della rassegna dedicata a Cernigoj dalla città di Lubiana. Non riteniamo tuttavia che l'aver esposto nel '91 la ricostruzione della struttura sia giustificazione sufficiente per privare tutti coloro, che desiderino conoscere a fondo l'importanza della ricerca condotta innanzi dall'artista triestino, di uno degli elementi fondamentali del suo lavoro creativo.

Anche perché Cernigoj realizzò la Sala con la collaborazione di altri tre artisti locali, Giorgio Carmelich, Edoardo Stepancich e Giuseppe Vlah, ad avvalorare la tesi che l'operazione dimostrava dopo la metà dei Venti l'attenzione per i fermenti culturali, promanati dalla rivoluzione bolscevica, da parte del cote sloveno, in particolare tra i giovani studenti pronti a testimoniare che anche attraverso l'arte la rivoluzione sociale e del costume doveva giungere a buon esito. Perciò la Sala è documento essenziale, non soltanto nell'opera di Cernigoj, ma anche per poter registrare la temperatura di quegli anni Venti, periodo che segna Trieste con non indifferenti momenti di crisi politica e sociale tra italiani e sloveni.

Ma, al di là di tale increscioso incidente di percorso nell'omaggio a Cernigoj da parte del massimo istituto locale per l'arte contemporanea, resta la magia di una storia, quella che ci parla dell'identificazione dello spazio, originariamente dedicato all'invenzione di Cernigoj e dei suoi compagni, e dei termini espressivi impegnati dagli stessi artisti nel far materia di quei segni, lanciati nello spazio.

Dalla pianta del vecchio Padiglione, quella degli anni Venti, Conestabo localizza tra la sala dell' "orchestra"' ed altri vani di servizio, un locale indicato come "magazzino": ebbene la sua sagomatura corrisponde perfettamente a quanto risulta dalle mal distinguibili fotografìe dell'epoca. Per quanto attiene invece alle struttura, il Gruppo costruttivista di Trieste (lo riporta il manifesto-comunicazione che accompagna la Sala, firmato dallo stesso Cernigoj) "presenta elementi del tutto nuovi all'ambiente locale, cosicché tutte le nuove forze dell'arte vivono- combattono" e conclude affermando perentoriamente "L'arte è distintamente il prodotto collettivo-multiplo = sintesi perfetta di tempo e spazio" contemporaneità. Non più arte riproduttiva. Non più arte figurativa. Bensì arte sintetica costruttiva. Bensì arte oggettiva tattile. Bensì arte utile collettiva".

La stessa sintesi, che regola la definizione del moduli strutturali, che marchiano le bianche pareti della Sala, è illustrata con puntuale rigore: "...la formazione degli oggetti esposti consiste di materiali + colore + forma = assieme tattile nel tempo e nello spazio, contribuendo con ciò lo stato sintetico = espressione vera e pura dell'Arte oggettiva (e non come per la pittura fino ad oggi "L'art pour l'art" soggettivistica)".

Cernigoj poco più tardi (prima di andare nei Trenta verso il realismo magico) guarderà, cogliendone il fascino asettico e rituale, all'olandese De Sii fi, elaborando tuttavia i nessi formali secondo un suo personale concetto di pura sensibilità plastica; nel '27 peraltro la sua devozione per El Lissitskij fa sì che nella stessa Sala i suoi segni, richiamino da vicino il modello del PROUN (sigla che l'artista russo creò per "progetti per l'affermazione del nuovo"), accanto allo schema per il "progetto per il Palazzo delle Legazioni a Ginevra", mentre più in là un disegno, intitolato "El" rappresenta un ritratto-omaggio per il maestro lontano, vergato in rigorosi termini geometrici.

La Sala presenta queste ed altre suggestioni: va riletta momento per momento, opera per opera, nella fusione d'intenti che allora conduceva quei giovani artisti ad immaginare "il mondo nuovo". Ed ancora va tenuta in debito conto perché si collega (anche se molto singolarmente) al rapporto che legò Marinetti al mondo della cultura russa all'inizio del Secolo. Peccato la sua visione sia stata preclusa a quanti intendono comprendere oggi la grandezza visionarla di Cernigoj e dei suoi compagni di strada.

 

 

Testo di Carlo Milic, da "IL MASSIMILIANO" gennaio 1999

 

 

 

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