Articoli correlati:
CONSULENZE-STIME-EXPERTISE
Jacopo Amigoni (Venezia? 1682 - Madrid 1752)
- lo stile pittorico
“Bel pittore fu il
nostro Amigoni, facile molto nell’operare, fecondo di lieti pensamenti;
onde le di lui pitture fanno sentire insieme col diletto una certa
nobile allegrezza. Tenero molto e pastoso fu il suo dipingere; lasciando
in una gustosa dubbiezza i contorni, cui non si curava di purgare
affatto e decidere” (Zanetti 1771).
Egli operò sul piano di un Ricci e di un Pellegrini “ma con una voce
diversa, un atteggiamento più languido, più morbido e più frivolo, che
lo distingue nettamente dalle altre due personalità, tanto che il Voss
(1918) ha creduto di ravvisare in lui l’iniziatore del rococò veneziano”
(Pallucchini 1960). “La scala cromatica di Amigoni fin dall’inizio si
muove in una settecentesca successione tenue di toni chiari. È anzi in
gran parte da attribuire a lui, se il gusto per questa pittura di
chiari-su-chiari ha riscosso un consenso sempre maggiore; questo perché
le sue innovative e graziose composizioni di blu chiari e differenziati,
di toni rosso-lacca, di sfumature di leggerissimi verdi, viola e
bianco-giallognoli, con la loro originalissima dolcezza hanno fatto
scuola a Venezia e fuori. Una cosa analoga vale per l’impianto
pittorico-compositivo delle sue opere, costruito con complessi elementi
chiaroscurali dalle mille tonalità e dai contorni dolcemente ondulati” (Voss
1918).
“Il problema della formazione amigoniana è complesso: nella pala di San
Stae a Venezia con i «Santi Andrea e Caterina», che lo Zanetti dice
eseguita «prima di partirsi d’Italia», cioè anteriore al ‘17 (o allo
stesso ‘11, se si accetta la citazione della Fraglia come valida per un
viaggio fuori d’Italia), l’Arslan (1936) scorge l’«influenza della
pittura romana e del Balestra», aggiungendo che «forse l’artista fu
anch’egli in gioventù a Bologna». In ogni caso anche per l’Amigoni, come
già osservò il Longhi (1920), l’insegnamento della pittura chiara
giordanesca fu molto efficiente. Costanza Lorenzetti (1938) citò
l’Amigoni come esempio delle congiunture napoletano-veneziane nel
Settecento, dicendolo senz’altro un diffusore in Europa di «forme rococò
di carattere solimenesco»” (Pallucchini 1960). Il pittore diede
“un’interpretazione fra le più immediate e suggestive del Giordano
tardo, anche se apparentemente riflessa, rispetto a quella che il
Pellegrini veniva rendendo d’impeto e istinto”. Successivamente “ma
assai prima del momento parigino, e anche dell’approdo a Londra,
l’Amigoni doveva essersi inoltrato ben dentro nei sentieri d’Arcadia.
Gli era stato guida bastantemente sicura sull’inizio, ne siamo certi,
Antonio Bellucci, che a Venezia nel quadro immenso di S. Pietro di
Castello e nella Famiglia di Dario di Vicenza aveva lasciato prove non
dubbie d’intelligenza della lezione del Giordano al suo secondo tempo
veneziano” (Pilo 1958).
“Negli anni seguenti l’Amigoni, incline a ciò per la sua particolare
sensibilità, fa suo quello spirito di gradevole leziosità e di raffinata
eleganza ch’era uno dei caratteri predominanti dell’epoca. Tale
assimilazione di gusto, anziché corrompere la sua pittura, la rese più
ricca e matura senza ch’essa per questo perdesse nulla del suo singolare
timbro personale. Egli infatti riprendeva quelle forme, spesso vuote e
di moda, infondendovi una grazia e una dolcezza quasi femminea; dove i
colori, come ad esempio il «nero semplice» e il bianco, perdono quasi il
loro valore materiale di bianco e nero trasmutandosi in qualcosa di
diverso, cioè in altrettanta sostanza cromatica” (Martini 1982).
“Tra il ‘39 ed il ‘47 l’Amigoni è a Venezia: ormai le ultime velleità
della corrente patetico-chiaroscurale Piazzetta-Bencovich sono cadute ed
il Tiepolo, dopo aver rinnegato quelle sue origini, è nel pieno del suo
fastoso gusto decorativo. A Venezia non c’è più posto per un altro
decoratore di soffitti. L’Amigoni svolge la sua vena arcadico-galante,
non trascurando il ritratto e le commissioni di carattere sacro e
qualche volta perfino affrontando la decorazione di soffitti. Di questo
periodo sono il «Ritratto di Sigismondo Streit», la «Rebecca al pozzo»,
il «Salomone che adora gli idoli» del Gymnasium zum grauen Kloster di
Berlino, il «Ritratto di dama veneziana nelle sembianze di Diana» del
Museo di Berlino, «Venere e Adone» delle Gallerie di Venezia” (Pallucchini
1960).
Amigoni fu inoltre abile ritrattista. Uno dei primi esempi è forse il
ritratto ufficiale di «Rodolfo di Colloredo di Mels a cavallo» dei
Civici Musei di Udine, mentre in quello del mercante tedesco Sigmund
Streit, realizzato poco dopo il rientro a Venezia nel 1740, vi si trova
“un tono colloquiale, supportato da una calda pastosità di toni
cromatici, dove emerge con particolare evidenza la psicologia del
modello, il suo orgoglio rattenuto e modesto, quasi ironico, per la
posizione sociale raggiunta. Il sorriso appena accennato si confonde nel
velo che il pittore sembra stendere tutt’intorno, quasi a non definire
in modo netto le forme e rendere più delicato e onirico il rapporto del
modello con il fruitore” (Scarpa Sonino 1994).
A tal proposito va ricordato che “quando, nel tardo 1747, Amigoni
raggiunse la Spagna chiamato da Ferdinado VI e da Maria Barbara di
Braganza, su pressione quasi certa dell’amico Farinelli, è probabilmente
soprattutto la fama di ritrattista che spinge i reali ad assumerlo come
«primer pintor de camara». Certo non dovevano essere ignoti i suoi
interventi nei palazzi inglesi, né le «galanterie mitologiche» per cui
andava famoso, né le opere religiose che aveva realizzato negli anni
veneziani, ma è sicuro che la sua fama di ritrattista doveva aver
colpito la corte spagnola. [...] In questo scorcio finale della
ritrattistica amigoniana, le due prove più alte sono forse quelle
dedicate al grande amico Farinelli” (Scarpa Sonino 1994). Ne Il cantante
Farinelli e i suoi amici della National Gallery of Victoria di Melbourne
“si concentrano gli affetti di tutta una vita: vi compare l’Amigoni
stesso, all’estrema destra, con il pennello in mano e un turbante sul
capo, simile a quello del primo autoritratto che conosciamo, quello di
Salisburgo; egli si ritrae nell’atto di poggiare amichevolmente una mano
sulla spalla del Broschi, a cui è seduta accanto Teresa Castellini,
famosa cantante del tempo che il Metastasio gli aveva affidato: i due
tengono entrambi tra le mani un testo musicale dal titolo Canzonetta. Il
poeta Pietro Trapassi, che si trovava a Vienna, è immortalato in un
busto all’estrema sinistra, presenza di amicizia e tutela insieme, la
cui effige venne realizzata da Jacopo grazie ad alcuni ritratti che il
poeta aveva inviato in Spagna su sollecitazione del Farinelli stesso,
tra il 1748 e il 1751.
Forse è la suggestione di sapere che questa potrebbe essere l’opera
estrema dell’artista, ma sembra di poterne desumere un afflato di
istintiva familiarità, lontana da ogni orpello di corte, quasi una
mediterranea pièce de conversation, dove gli animi si placano da ogni
tormento esterno ed emergono solo i lati migliori degli uomini: senza
abbandonare l’attenzione massima, che gli è così tipica nei ritratti,
per ogni particolare, sia un nastro o un pizzo, o anche il collare
preziosamente inciso di un cane, l’Amigoni esprime qui uno dei più
autentici ed affatto insistiti momenti lirici della sua creatività”
(Scarpa Sonino 1994).
Daniele D'Anza
marzo 2005