Ancora irrisolta si
presenta la questione relativa al suo luogo di nascita. “Nelle fonti
contemporanee l’Amigoni viene sempre ricordato come veneziano. «Herr
Amiconi, ein Venetianer», nota nel suo diario l’abate di Ottobeuren nel
1719; «Amiconi of Venice» lo chiama il Vertue nel 1730 e il giornale del
P. Franchini di Montecassino nel 1740 lo dice «Giacomo Amicone
Veneziano». Il suo primo biografo, A. Longhi, scrive distintamente nel
suo Compendio del 1762 «nacque in Venezia Giacopo Amigoni». Questa
testimonianza unanime non era mai stata messa in dubbio, fino a quando
nel 1935 il Fiocco non pubblicò una notizia, pervenutagli per lettera da
F. J. Sanchez Canton di Madrid, secondo la quale nell’occasione del
ricevimento dell’ordine di Calatrava nel 1750 l’Amigoni avrebbe
dichiarato: «ser natural de Napoles y de sesanta y ocho años de edad».
Sulla base di questa notizia, per la letteratura artistica recente
l’Amigoni è diventato napoletano di origine passando solo in un secondo
tempo a Venezia. Nelle sue ultime ricerche sull’attività dell’Amigoni in
Spagna, R. Gualdaroni [1974] pubblicava un paio di documenti, e fra
questi il testamento del pittore, degli anni 1749 e 1750 dove il pittore
affermava: «... naturales que otros mis padres fueron e yo lo soy de la
ciudad de Venecia». Da tale espressione si deduce che anche suo padre
Pedro era veneziano. L’autore fa cenno del documento trovato già dal
Sanchez Canton sulla base della notizia del Fiocco – ed è dell’opinione
che la dichiarazione nei riguardi di Napoli fosse una considerazione
diplomatica. [...] Ad ogni modo la testimonianza d’una unica
comunicazione incontrollabile, d’un documento mai pubblicato per esteso
e che pare essere introvabile vale poco contro una serie di documenti
legali e autentici, quali sono le testimonianze unanimi di tutti i
contemporanei. E poiché non esiste la minima prova che l’Amigoni fosse
nato a Napoli, dobbiamo considerarlo, in concordanza con la tradizione,
come oriundo di Venezia” (Garas 1978).
Successivamente Pallucchini, ritornando sulla notizia riportata da
Fiocco, osserva che “il pittore si sarebbe dichiarato napoletano per
testimoniare a favore del suo protettore, il Farinelli, nativo di Andria
(Bari), che allora faceva parte del regno di Napoli: una curiosa
captatio bene volentiae in chiave «razzista» di cui non comprendiamo il
motivo. Che poi nel 1750 si dica sessantottenne, cioè nato nel 1682
anziché nel 1675, come proponeva lo Zanetti (1771), è confermato dal suo
aspetto fisico, quale appare nell’autoritratto inserito nel gruppo di
amici, attorno al Farinelli insignito dell’ordine di Calatrava,
conservato nella National Gallery of Victoria di Melbourne: dove anzi ne
mostra ancora di meno. Il sospetto che poi quella testimonianza non sia
soltanto un gesto di compiacenza viene da un’altra circostanza, che
difficilmente può essere smentita, cioè quella dell’accento napoletano,
e precisamente giordanesco, del suo gusto iniziale, come aveva indicato
il Longhi, fin dal 1920, recensendo il saggio fondamentale del Voss
(1918). Che l’Amigoni avesse rapporti con Napoli lo provano le sue due
tele per l’Abbazia di Montecassino, documentate dalle fonti e illustrate
dal Pilo (1958). Credo dunque non sia prudente prendere una posizione
precisa [...] prima del rinvenimento del suo atto di nascita” (Pallucchini
1994).
Griffin Hennessey (1983) però accenna ad una norma della Repubblica di
Venezia che proibiva a chiunque di autodefinirsi veneziano senza esserlo
effettivamente. Appare allora quantomeno singolare che a farlo fosse un
artista al tempo così noto e soprattutto in un documento così ufficiale
come il proprio testamento. allora quantomeno singolare che a farlo
fosse un artista al tempo così noto e soprattutto in un documento così
ufficiale come il proprio testamento.
Ad ogni modo, nel 1711 Jacopo Amigoni è ricordato nel libro della
Fraglia dei pittori veneziani con l’indicazione di “fora”, vale a dire
che in quel periodo, benché fosse maestro pittore con residenza a
Venezia, si trovava altrove, fuori dal territorio della Serenissima.
Tale annotazione potrebbe riferirsi ad un soggiorno “a Napoli in quell’anno,
e quindi al relativo impegno all’Abbazia di Montecassino per
l’esecuzione di due tele, andate distrutte durante l’ultima guerra [...]
Il Pilo (1958) pubblicò la foto di uno di tali dipinti, la cui paternità
è documentata tanto da una fonte manoscritta (quella del p. Franchini),
quanto dal Della Marra nel 1751. L’aderenza del linguaggio dell’artista
ai modi del Solimena, che nel 1708 terminava il suo intervento
nell’abbazia, è piuttosto manifesta: si tratta semmai di
un'interpretazione più scolastica del barocchetto solimeniano” (Pallucchini
1994).
Garas (1978) invece, ricordando che “il trevisano Antonio Bellucci
lavorava almeno fin dal 1695 continuamente in Austria e dal 1705 alla
corte Palatina a Düsseldorf”, ipotizza che “l’Amigoni collaborasse con
lui tra il 1705 e il 1711, partecipando probabilmente ai grandi lavori
di Bellucci al castello di Bensberg”. Infatti “l’influenza distinta e
decisiva del maestro trevisano sull’Amigoni viene riconosciuta dalla
maggioranza degli studiosi, ma può essere attestata ancora più
direttamente da due opere firmate e datate [...] «Giacomo Amigone f.
1713»”, nelle quali “la composizione abbastanza affollata, le forme
molli un po’ pesanti, i visi ovali ed i profili marcati sono
distintamente in stretto rapporto colle opere del Bellucci” (Garas
1978). Della stessa idea Scarpa Sonino (1994), la quale aggiunge: “se un
incontro tra i due pittori fosse avvenuto a Venezia, proprio in quel
1705 in cui Antonio ripassando per l’Italia avrebbe potuto condurre con
sé il giovane circa ventenne, si potrebbe giustificare il silenzio
totale attorno ad Amigoni fino al 1711”.
Certo è che nel 1716, il principe elettore Max Emanuel invita Jacopo
Amigoni a Monaco. In questo periodo l’artista si trova occupato nella
decorazione del castello di Nymphenburg, dell’abbazia di Ottobeuren
(1719) e, tra il 1725 e il 1728, del soffitto della gran sala del
castello di Schleissheim. È probabile che in questi anni, soprattutto
durante l’inverno, il pittore rientrasse a Venezia più di una volta. Era
infatti “una cosa normale per i maestri italiani che viaggiavano,
scultori, architetti, stuccatori, o pittori, prendere congedo per
l’inverno e tornare in patria dove stava in molti casi la loro famiglia”
(Garas 1978).
All’inizio dell’inverno del 1728 è documentata la sua partenza per
Venezia, Roma, Napoli, così come il rientro, l’anno successivo, in
Baviera durante l’estate. “Può essere avvenuto in quest’epoca il primo
incontro di Jacopo con il Farinelli, figura che sarà per lui
fondamentale sia affettivamente che professionalmente. [...] Il
Farinelli cantò a Venezia nel carnevale 1729 al teatro di San Giovanni
Grisostomo nel Catone in Utica, ma a quell’epoca risulta difficile che
Jacopo possa esser stato in città; è molto più probabile che i due si
siano incontrati a Monaco, quando il 22 ottobre 1728 il Broschi cantò
nel Nicomede di Torri con libretto di Lalli” (Scarpa Sonino 1994).
Nel 1730 l’inglese Vertue, oltre a testimoniare l’arrivo del pittore in
terra britannica, ricorda il suo alunnato a Düsseldorf presso Bellucci:
“Lately arrived another Italian History painter, Amiconi [...] of Venice,
where he studied and afterwards for some time under Belluchi at the
Elector Palatins at Dusseldorp”. A Londra decora palazzi e ville fino al
1739, salvo un viaggio a Parigi, assieme al celebre cantante Farinelli,
nel 1736, dove ha occasione di conoscere Boucher e gli altri artisti
francesi di quel periodo. Nel 1739, in piena maturità artistica, torna a
Venezia, che abbandona definitivamente otto anni dopo per recarsi in
Spagna, dove viene nominato pittore di corte di Ferdinando VI.
Jacopo Amigoni muore il 14 settembre 1751 a Madrid. Alla vedova Antonia
Marchesini, Ferdinando assegna una pensione di 500 doble ed alle figlie
il rango di damigelle d’onore della regina.