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Giulio Carpioni (Venezia ? 1613 - Vicenza 1678)
Come assicura Orlandi
(1753), il giovane artista sotto il Padovanino “tanto avanzossi che in
breve tempo acquistò gran fama nel disegno nell’invenzione e nella
vaghezza del colorito [...], disposto dal genio a lavorare in piccolo si
applicò ad invenzioni ideali, come sogni, sacrifici, baccanali, trionfi
e balli di puttini, con i più belli capricci che mai abbia inventato
altro pittore”. “Aggregandosi al Varotari il Carpioni faceva subito una
scelta. Non che si trattasse di una scelta peregrina, giacché in quegli
anni militavano nella schiera del Padovanino anche il Vecchia, il
Liberi, il Forabosco, per non dire che dei maggiori: e il suo
insegnamento onesto benché senza volo godeva meritatamente del giusto
credito. Ma per il Carpioni l’accostamento al pittore padovano
significava, e lo attesta il corso della sua opera, puntare decisamente
in senso classico sulla tradizione veneziana” (Pilo 1961).
Tuttavia l’artista sembra sensibile anche alle influenze del cortonismo
di Ruschi e al naturalismo di Saraceni e Règnier. Recepito inoltre il
realismo della pittura lombarda durante il viaggio a Bergamo del 1631,
Carpioni accoglie di lì a poco “la lucidezza atmosferica e oggettiva dei
bamboccianti romani” (Longhi 1963).
Per farsi conoscere dalla nobiltà vicentina, il pittore inizialmente si
dedica a ritrarre le “belle dame della città” (Gualdo), ne sono un
esempio i dipinti della Pinacoteca Civica di Vicenza raffiguranti una
Suonatrice di chitarra e una Dama con il guanto. “Superata, in questo
gruppo di ritratti, la fase di maggior dipendenza dagli schemi
compositivi assimilati dal Régnier, rimane tuttavia traccia della
suggestione caravaggesca nel distaccarsi dal piano unito del fondale
delle figure e nel potere evocativo esercitato dalle allusioni
simboliche delle immagini. Viceversa, nell’impostazione piramidale delle
composizioni e nel taglio a mezza figura delle effigiate, trapelano una
solidità costruttiva una raffinatezza disegnativa risultanti da un
aggiornamento sulla cultura figurativa emiliana. [...] La Dama con il
guanto si chiude in un gesto di algido distacco, portando con moto
impercettibile il braccio destro verso il busto; l’impossibilità
di stabilire un rapporto con chi le sta di fronte è ribadita dallo
sguardo sfuggente e dalla smorfia di mal dissimulato corruccio,
percepibile nella lieve prominenza del labbro inferiore. Quanto più la
giovane si allontana, tanto più il pittore si sofferma ad analizzare,
con esiti di ammirevole naturalismo, il candore dell’epidermide
dell’austera ed enigmatica signora, esaltato dal rosa vinaccia della
tenda che ne incornicia magistralmente il volto e la figura, il verde
acido del manto sontuoso, profilato d’oro, e infine, la bianca peluria
che borda il rosso aranciato del manicotto” (Binotto 2000).
A Vicenza però Carpioni dovette vedersela con Francesco Maffei. La sua
asciutta pittura di valori, volta al recupero di una classicità ideale,
che s’identificava con la giovinezza di Tiziano, si poneva in aperta
polemica con lo stile sontuosamente barocco del suo rivale. “Ai due non
mancarono davvero le occasioni per lavorare spalla a spalla. Così fu nel
Palazzo del Podestà. E non poterono ignorarsi. Quanto al Carpioni,
basterebbe un documento come la Cacciata di Eliodoro di S. Giacomo e
Filippo a dire quanto lo abbia suggestionato la prossimità del compagno:
ma si trattava, è chiaro, d’imprestiti affatto esterni ed occasionali.
L’urto, a lungo dilazionato, non poteva non sopravvenire violento.
È facile immaginare che gli oratori delle Zitelle e di S. Nicola, sulla
metà del sesto decennio, ne sian stati teatro. Alle Zitelle il Carpioni,
nell’Adorazione dei Magi non piega affatto la testa. Il Maffei, non ne
parliamo nemmeno: e crea tre capolavori fra i suoi più alti. Ma a S.
Nicola la rottura è insanabile; e il seguito è drammatico. Il Maffei,
subito dopo, abbandona il campo, arroccandosi a Padova. Al rivale la
piazza vicentina resta libera. Ma si chiude, per intanto, nella sdegnosa
protesta di una ripresa anacronistica di caravaggismo. Proprio il quadro
di S. Nicola ne segna il punto più acutamente critico, non senza
sbandamenti in un tuono di oratoria melodrammatica” (Pilo 1961).
Carpioni continuò ad impegnarsi in grandi composizioni, talvolta anche
ad affresco come nella decorazione di villa Pagello Nordera a Caldogno,
tuttavia sono le numerose allegoriche di formato ridotto che meglio
rappresentano la sua arte e che oggi si possono ammirate in molte delle
principali quadrerie europee. Fra le più eccellenti ricordiamo quelle
giovanili dei Musei di Vienna e di Budapest, le diverse redazioni della
Morte di Leandro a Digione, Budapest, Firenze, Padova, le Pieridi di
Ancona o le mitologie di Dresda. “Degli innumerevoli baccanali, scherzi,
capricci, mitologie, in cui si liberò la sua vena fantastica
originalissima e arguta, spesso inclinante al grottesco”, il Trionfo di
Sileno delle Gallerie dell’Accademia di Venezia “costituisce uno
svolgimento maturo e pienamente raggiunto. L’appiattimento della forma
entro la scrittura sottile rabescata, che delinea le membra statuine e
piega sveltamente i panni leggeri, come il coerente disporsi della
composizione per linee e piani paralleli, dichiarano l’appartenenza agli
ultimi anni del settimo decennio” (Pilo 1959). Un’altro soggetto più
volte ripreso dall’artista fu Il Regno di Hypnos, fra tante, citiamo la
redazione del Kunsthistoriesches Museum di Vienna. In queste opere
un’attenzione costante rivolta al disegno è espressa con un colore
classicamente inteso (neotizianesco), ma immesso in una luce fredda e
vera, resa attuale dal realismo caravaggesco.
Difficile precisare cronologicamente la posizione di Giulio Carpioni,
essa infatti si presenta sempre molto coerente, non subisce mai profonde
trasformazioni se non un crescente appiattimento dei volumi, e,
nell’ultimo periodo, una più spiccata conquista atmosferica.
Daniele D'Anza