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Bernardo Bellotto (Venezia 1722 – Varsavia 1780) - lo stile pittorico

 

 

 

Educato presso la rinomata bottega dello zio, Antonio Canal noto a tutti come il Canaletto, “prese ad imitarlo con tutto lo studio ed assiduità [...]; dipinse di quelle di Venezia così diligentemente e al naturale eseguite, che un grande intendimento ricercasi in chi vuole distinguerle da quelle del Zio” (Guarienti 1753). Da lui Bellotto imparò “a servirsi di una tecnica capace di evocare la profondità delle ombre e gli spiragli di luce sulle architetture, le screpolature e irregolarità di colore dei muri, l’esattezza del disegno delle architetture, la brillantezza e mutevolezza dell’acqua.
È la crescente capacità tecnica nel seguire i procedimenti di Canaletto – rendendoli gradualmente sempre più personali – che costituisce il criterio per il riconoscimento e la cronologia delle prime opere di Bellotto. Nel 1740 l’artista raggiunge una qualità talmente eccezionale di interpretazione della tecnica canalettiana, da far deviare, già con queste opere molto giovanili, l’attribuzione di alcuni dipinti a Canaletto, oppure creare incertezze, e questo non solo al tempo di Pietro Guarienti, ma ancora in anni molto recenti. Non si è finora individuato alcun altro pittore riuscito a rendere propria, con lo stesso grado di genialità, la tecnica del Canaletto; anche se è opportuno supporre la presenza nell’atelier di qualche altro collaboratore, nulla permette di riconoscerne la produzione pittorica” (Kowalczyk 2001).
Verso la metà del quinto decennio Bellotto, attivo in Lombardia, a Torino e forse a Verona, afferma la sua autentica inclinazione, affrancandosi definitivamente dal linguaggio pittorico dello zio. Sin dagli inizi infatti “egli aveva aderito alla visione che il Canaletto andava elaborando e pienamente realizzando [...]. Ma si deve aggiungere che il fondamento di quegli insegnamenti – e qui è il punto – consisteva soprattutto nella ferma fiducia che la realtà visiva corrispondesse a qualcosa di assoluto, di oggettivo, di «esistente in sé» e fosse quindi riconoscibile attraverso un’esperienza, non solo inequivocabilmente certa, ma anche unica, inconfondibile con le altre. [...] Qualcosa di più radicale quindi e, in un certo senso, qualcosa di più idoneo a condurre a risultati del tutto simili, che il semplice trasmettersi da maestro ad allievo dei modi soggettivi di una maniera pittorica. [...]Per questo egli poté, senza mai tradire tali premesse di ordine conoscitivo, trovare una via che lo condusse a conseguenze del tutto differenziate da quelle del Canaletto. [...] Le vedute di Dresda e di Pirna che il Bellotto eseguì durante il suo soggiorno in Sassonia dal 1747 al 1758 indicano forse il punto più alto toccato da quella ricerca di assoluta obiettività che era uno dei poli antitetici della figurativa del Settecento. La suggestione di vero che provocano nello spettatore ha qualcosa di magico, il loro potere evocativo sembra inesauribile” (Briganti 1955).
“La veduta della piazza del mercato di Pirna è tra le composizioni più felici di Bellotto, di cui esiste tutta una serie di repliche di suo pugno e di copie di altri pittori. [...] La fama del quadro è meritata. Bellotto deve aver contemplato il fitto tessuto di architetture medievali e moderne di questa cittadina della Sassonia con il piacere estetico che sprona anche gli esploratori di paesi esotici. Vi trovò infatti un luogo che gli offriva una dovizia di aspetti figurativi” (Weber 2001).        

Nelle opere del periodo viennese l’artista talvolta allude alla presenza fisica del committente all’interno della composizione. “La veduta del Palazzo Lobkowitz, con protagonista un edificio che da poco aveva cambiato proprietario, si distingue per un gruppo «animato» in primo piano a destra che si contrappone al vero protagonista del dipinto, cioè all’edificio patrizio situato sulla sinistra. In quel caso il «palco» è costruito dalla striscia in primo piano e l’attenzione è richiamata verso un gruppo di persone, le cui ombre si direzionano in senso opposto rispetto all’impostazione generale delle condizioni di luce. Questa tendenza a sottolineare l’importanza delle figure umane che, a partire da alcuni dipinti degli anni di Dresda, non sono più macchiette, come si è varie volte notato, raggiunge il suo apice durante il soggiorno viennese. Solo di questo periodo infatti sono documentati disegni di studi di figure, a testimoniare un definitivo cambiamento di impostazione, dovuto a precise richieste della committenza” (Frank 2001). 
Durante il “soggiorno viennese del 1759-1760 si ha l’impressione che il Bellotto abbia un po’ sforzato la vena descrittiva, cioè l’esteriorità della sua ispirazione, raggiungendo effetti d’una bravura eccezionale, ma forse meno ricchi di poesia di quelli ottenuti negli anni precedenti in Sassonia. La veduta si viene trasformando sempre più in documento, in narrazione di avvenimenti occasionali in determinati luoghi. L'interesse realistico che già puntualizzava il macchiettismo del Bellotto si inserisce in una nuova esigenza descrittiva, che assumerà nuovo equilibrio nell’ultimo periodo polacco” (Pallucchini 1995).
“A Varsavia l’artista si cimentò nella pittura a soggetto storico, che prima invece aveva sempre evitato. Le due versioni della Elezione e dell’Ingresso di Jerzy Ossoliński a Roma riscossero successo fra i contemporanei e possono essere definiti opere ben riuscite nel loro genere. Bellotto non partecipò ai due eventi, ma ne venne a conoscenza grazie a descrizioni e fonti iconografiche. Nei due dipinti ritrasse le scene nel loro significato politico. Per questo motivo utilizzò una struttura compositiva “arcaizzante”, che richiama le precedenti vedute delle elezioni dei re polacchi (Augusto II e Augusto III) e, nel caso dell’Ingresso di Ossoliński a Roma, alle incisioni e ai quadri di soggetto simile” (Rottermund 2001).
I tratti principali della pittura bellottiana “sono da un lato l’intima fusione di senso della realtà e malinconia poetica, e l’autentico interesse per gli insediamenti umani espressi nelle città e nei paesi coi loro edifici, per gli uomini che vi abitano e le loro occupazioni; dall’altro è la ricerca della bellezza nella concezione pittorica, al cui realizzarsi contribuiscono notevolmente l’ampiezza panoramica della veduta e l’armonia degli effetti cromatici e chiaroscurali. E infine è l’atmosfera cristallina, che racchiude tutte le forme chiaramente delineate e nella quale giuocano liberamente sia la tavolozza dalle tonalità prevalentemente fredde che i forti contrasti di luce ed ombra; da tutto questo deriva un’atmosfera tranquilla e lirica” (Kozakiewicz 1972).  

 

 

Daniele D'Anza

 

marzo 2005