Ripercorrere a distanza di anni la vicenda artistica di Carlo Cherubini
significa, innanzitutto, risvegliare l'interesse nei confronti di un artista di
cui esistono corpose testimonianze pittoriche disseminate in un arco temporale
decisamente vasto. Lungi dal formulare un'analisi testuale rigorosamente
filologica, ci attestiamo sul dato fondamentale che emerge dall'esame delle
opere di Carlo Cherubini: l'indubbia qualità di un talento e di una pratica
artistica conclamata negli anni.
Figlio di Giuseppe Cherubini, eccellente pittore morto nel 1960 e autore di
indimenticabili acquarelli dedicati a Piazza San Marco, Carlo Cherubini si
impone giovanissimo sulla scena veneziana, partecipando nel 1914, a soli 17
anni, all'ultima Biennale prima delle grande guerra, con un'opera, Bambino
pensoso, che contiene in modo emblematico un istinto pittorico segnato da
una pennellata decisa e vigorosa, segmentata in tratti cromatici densi, solidi,
quasi a imbrigliare la profondità di visione del soggetto ritratto. Tale opera
firmata "Car Cher" (Carlo Cherubini per un decennio dal 1911 al 1920 si firma
Car Cher) insieme ad altre realizzate nello stesso periodo come l'esemplare
Notturno del 1911 (p. 19) fanno emergere un carattere fondamentale
dell'intuizione e della formazione artistica di Carlo Cherubini, e cioè il
fascino verso una pittura che, pur rimanendo ancorata al dato oggettivo,
introduce ad ambiti più estesi, a campi di sottile mistero come se l'immagine
raffigurata funzionasse da agente di un articolato orizzonte di senso che
l'opera volutamente tace.
Siamo a conoscenza, secondo la testimonianza di Giuseppe Mugnone, autore della
prima importante monografia sull'artista, di una forte inclinazione del giovane
Carlo Cherubini verso studi classici ma ancor più di ambito esoterico e
frenologico, studi fortemente ostacolati dal padre profondamente religioso e
fedele ad atteggiamenti culturali e formali di matrice tradizionalista.
Indubbiamente nella Venezia dei primi decenni del Novecento, dove giungevano gli
echi delle rivoluzioni artistiche europee di fine secolo, e dove Gino Rossi e
Arturo Martini cominciavano a muovere i primi passi decisivi, era impensabile
che il curioso, ribelle e testardo Carlo Cherubini non accettasse di
confrontarsi con le coeve correnti simboliste ed espressioniste dentro un
milieu culturale legato agli stilemi ottocenteschi ma aperto a nuovi e
decisivi aggiornamenti (ricordiamo che l'istituzione dell'Esposizione
Internazionale d'Arte, con cadenza biennale, risale al 1895).
Da autodidatta convinto, dopo la prima guerra mondiale che lo vede impegnato al
fronte, Carlo Cherubini si presenta negli anni Venti con una serie di opere di
assoluto riguardo: i viaggi effettuati all'estero, lo studio della maniera
antica (non dimentichiamo l'attività paterna di restauratore di affreschi)
accanto alle moderne correnti, lo portano a maturare un personalissimo ductus
pittorico in cui emerge una linea audace, pura e coraggiosa, una straordinaria
abilità di coniugare la luce e il colore della tradizione veneta, in primis
settecentesca, con una sensibilità ricca di movenze e implicazioni estetiche
nuove.
La partecipazione alle Biennali del 1920, 1922, 1924 e 1926 nonché la
decorazione, purtroppo dispersa, di alcuni pannelli al Caffé Martini di Venezia
eseguiti all'incirca nel 1926, confermano un talento sottile, una predilezione
verso i soggetti legati alla figura, al ritratto e al nudo. Nel complesso
programma iconografico del citato Caffé Martini, che vede al centro la varie
fasi della "vita dell'uomo", Carlo Cherubini con grande maestria isola
atteggiamenti e sentimenti profondamente umani – la "melanconia", "la follia" –
su scenari classici, veste alcuni personaggi con abiti carnevaleschi: la
maschera incontra raffigurazioni mitologiche in una rara commistione di passato
e presente, in una composizione varia e movimentata di pose e atteggiamenti
profondamente indagati. Emerge un'attenzione particolare all'universo femminile,
all'interpretazione di stati emotivi ravvisabili nell'intensità degli sguardi e
nel delicato equilibrio delle tensioni dinamiche come avviene per il bellissimo
dipinto Donna in verde (p. 22) dove il taglio prospettico accentua il
contrappunto cromatico e il gioco di luce-ombra, a ricordo della raffinata
lezione veneta di Napoleone Nani, Giacomo Favretto e Pietro Selvatico.
Donna in verde. Olio su tela,
cm 45 x 35, 1926. Venezia, collezione privata Paolo Biasini.
Il sorprendente ciclo del Caffé Martini apre a Carlo Cherubini la proficua
stagione parigina con la grande decorazione del "Lido" degli Champs Elysées, il
locale più lussuoso di Parigi, il ritrovo del tout Paris e di tutta la
mondanità cosmopolita. Le cronache francesi dell'epoca, e siamo sul finire degli
anni Venti, concordano nel salutare Carlo Cherubini come l'insigne depositario
della maniera veneta, di Veronese e Tiepolo, e nello stesso tempo riconoscono la
vivacità e il brio del giovane artista, la freschezza e la leggerezza di una
composizione elegante, fragile e leggiadra come l'anima della città lagunare.
Un clima gioioso accompagna le sedute della folta compagnia di modelli che
sfilano nello studio del Maestro di Rue Henri Rochefort, lasciato libero
dall'allora notissima Josephine Baker. In un tempo brevissimo, soltanto otto
mesi, Cherubini esegue trenta pannelli (dispersi come il precedente ciclo del
Caffè Martini) che rievocano il Settecento veneziano: su uno sfondo oro di
bizantina, klimtiana e zecchiniana memoria, viene celebrato l'incontro di
Venezia con Parigi attraverso magnifiche donne in falpalà e tricorno. Un corteo
di dame incipriate munite di bautta si concede al fascino del flauto magico e i
ricchi costumi lasciano il posto a nudità esibite agli astanti cavalieri senza
malizia, senza rancore in un gioco di sottile erotismo, complici le molte figure
che portano facce di celebri attrici e attori dell'Olimpo parigino.
Cherubini mostra un senso quasi tattile del colore: la pasta vellutata, carnosa,
intrisa di riflessi e trasparenze, allude a precedenti esperienze impressioniste
ma non smarrisce la coscienza di un disegno sicuro, senza incertezze (lo
sottolinea anche lo scrittore Pierre Valdagne in una pregevole nota critica), le
pezzature cromatiche vibrano di note luminose, la macchia respira, si muove
sotto la sferzata delle pennellate che, pur rimanendo fedeli alla tradizionale
pittura "alla brava", appaiono rigorosamente non opache.
E' di questi anni, precisamente nel 1929, la prima personale dell'artista presso
la celebre "Galerie de La Renaissance" sempre nella capitale francese. Nel testo
di presentazione, il critico Paul Sentenac sottolinea la grande abilità di
Cherubini di operare su grandi superfici, come nei pannelli del Lido, e su tele
da cavalletto, evidenzia l'amore per i nudi femminili risolti con eccezionale
spontaneità e bellezza, indagati con tagli prospettici e soluzioni spaziali
decisamente emozionanti.
Nel chiuso di una stanza, sole o in compagnia, le donne di Cherubini verranno,
anche in futuro, prevalentemente colte nell'atto di togliersi i costumi della
danza o, più frequentemente, l'abito di Arlecchino, curiosa ossessione del
Maestro che spesso riveste una gamba sola, originando un gioco di contrasti
cromatici se pensiamo al rosa prorompente della gamba scoperta, al dorso
seminudo, ai toni brunastri degli interni. Viste dall'alto o di lato queste
donne, sedute al bordo di un letto o di una sedia, esibiscono movenze aggraziate
e gentili, difficilmente mostrano uno sguardo frontale in quanto gli occhi
scorrono sulla mano tesa a sciogliere i lacci delle scarpe da ballo e l'immagine
finale è una sorta di posa fotografica dove nulla è lasciato al caso, dove al
ritmo delle linee plastiche compositive segue l'eco di precise rispondenze
coloristiche.
La danza della gitana.
Olio su tela, cm 35 x 24. Anni '30. Treviso collezione privata.
Fuori dagli ateliers, non è raro imbattersi in una donna che, dismessi gli abiti
della Commedia dell'Arte, si muove sulle note del flamenco (ricordo vivo del
viaggio in Spagna), in un ballo frenetico denso di allusioni gitane, di gonne
ampie e vistose – La danza della gitana (p. 36) – di richiami
popolareschi, di strumenti musicali suonati in cerchio attorno al fuoco, sullo
sfondo di carrozzoni vagamente circensi. Le braccia delle danzatrici
stupendamente rivolte verso l'alto, come i protagonisti del periodo rosa
picassiano, enfatizzano l'esuberante rotondità del seno esposto e nel contempo
proiettano un desiderio di libertà, di sogno, di evasione dalla scena abituale e
rituale della vita.
Insignito della "Menzione d'Onore" nel 1930 e della "Medaglia d'Argento"
all'esposizione del Salone degli Artisti di Parigi nel 1932, medaglia, questa,
ottenuta con l'opera Si jeunesse s'avait che narra con invincibile
realismo la morte per amore di una donna, raffigurata nuda, riversa sul
pavimento e circondata da un coro di vecchie signore attonite e oranti dentro
una sorta di pietà nordica, Carlo Cherubini negli anni Trenta, dopo il
fallimento della società del Lido conseguente al crack finanziario del 1929,
afferma il proprio talento oltre oceano, con significative presenze al Lido Club
di Long Island di New York e a Pittsburg negli Stati Uniti.
Continua la produzione di tele che, oltre a maschere e nudi femminili, a donne
colte in atteggiamenti pensosi di hayeziana memoria, contemplano paesaggi,
marine,
vedute delle città di Parigi e di Venezia con le architetture e i ponti
sull'acqua, col brulichio della gente al
mercato che si accalca intorno ai banchi, guarda, spinge e perfino
litiga. La passione per la corsa dei cavalli lo porta ad osservare da vicino il
mondo degli ippodromi e dei fantini: assistere alla gara significa tradurne in
immagini le fasi più significative comprese le pause e le attese. C'è un sapore
aneddottico, quasi bozzettistico in questa maniera di dipingere fresca,
riassuntiva dotata sempre di un impianto disegnativo solido e robusto. Cherubini
cattura l'immediatezza della scena attraverso una materia colore che si sfalda
sotto l'egida delle pennellate veloci capaci di restituire la
verosimiglianza del luogo e delle emozioni.
Il ritorno
definitivo a Venezia nel 1940, fatta eccezione la permanenza a Noventa Padovana negli anni del secondo
conflitto mondiale, coincide con la realizzazione di un ciclo di tele (ben
rappresentato in catalogo) destinate al ristorante "Al Colombo" della stessa
città. Su di uno scenario fisso, si succedono in gruppo generalmente di tre, gli
attori di una "commedia umana" dove vizi e
virtù generano trame di relazioni complesse legatealla storia e al presente, dove, ad esempio,
una moderna Santippe, moglie di Socrate, viene colta nell'atto di versare
dell'acqua
sopra la testa dell'inerme filosofo vestitoda Arlecchino, a riprova della sua conclamata"pazienza" o
dove capaci danzatrici, al ritmo di fisarmonica, invitano alla "lussuria" per
quel loro modo di mostrare le nudità del seno e della schiena.
Carlo Cherubini sembra scegliere, per questi dipinti,
il meglio di un repertorio iconografico ormai consolidato
e pervaso da un lieve realismo magico, le figure sono descritte una per
una e quasi ritagliate nella plastica solidità degli atteggiamenti paludati,
degli sguardi bloccati nell'aureola di un tempo che ritorna e si ripete. I cesti
traboccanti di frutta e verdura che contraddistinguono
la tela intitolataL' operosità, raccontano di
un altro tema caro a
Carlo Cherubini: la natura morta.
Sono soprattutto vasi di fiori, nella fattispecie, rose,
a interessare il Maestro, forse a ricordo di quel lungo periodo, in gioventù,
trascorso in casa, quando per impratichirsi nel disegno dal vero copiò e ricopiò
foglie e boccioli di rosa, nell'estenuante
ricerca di una linea e di un segno efficaci.
Rose in vaso blu. Olio su tela,
cm 70 x 45. Anni '60. Venezia, collezione privata
I petali del fiore sono resi
con tocchi di colori saturi alternati a passaggi repentini di velature più
sommesse, di variazioni di tono che lo specchio retrostante talvolta propaga
sotto forma di eco sonora, di vibrazione cromatica, di palpabile affiato e
tensione poetica come nel quadro Rose in vaso blu
(p. 105). Gli anni '50, 60 e '70 vedono Carlo Cherubini attestarsi
sulle figurazioni note, sulla decifrazione di forme e modelli compositivi
abituali, in una posizione solitaria dentro il variegato e cosmopolita panorama
artistico lagunare fatto di ambiti pittorici estremamente diversi, di
individualità forti e catalizzatrici (pensiamo a Vedova, Pizzinato, Santomaso,
Viani) capaci di rivoluzionare i tradizionali stilemi espressivi a favore di un
linguaggio "nuovo ed europeo", aperto a soluzioni neocubiste e in seguito
decisamente astratte. Carlo Cherubini lavora intensamente con onestà e
determinazione, con passione e serietà, confermando le sue doti, ma il ruolo di
isolato, di estraneo a qualsivoglia corrente o atteggiamento artistico
conclamato, fatta eccezione per l'adesione al "Magnifico ordine della valigia",
autentico momento di aggregazione e di confronto per molti pittori che, come
Cherubini, esponevano alla Bevilacqua La Masa, causerà il disinteresse della
critica ufficiale e impegnata nonché l'esclusione dai i battiti e circuiti
culturali di rilievo.
Il Maestro Carlo Cherubini difende agli occhi dei contemporanei la sua fedeltà
ad un credo estetico che coniuga segno e colore, tradizione ed emozione,
virtuosismo tecnico e gioia compositiva, lontano da mode e tendenze effimere, da
improvvisazioni sterili destinate a eclissarsi nel tempo.
Il poeta e critico veneziano Mario Stefani, nel testo di presentazione per
l'importante retrospettiva del Maestro tenutasi nell'agosto del 1982 al Centro
d'Arte San Vidal di Venezia, scrive: "...Cherubini entra da protagonista nella
storia artistica del nostro Novecento veneziano, senza clamori, ma con passo
sicuro. La sua tavolozza è ricca di segreti e di una struggente poesia, per cui
il quadro suggerisce più che imporre, quasi fosse musica. Molte volte il quadro
diviene espressione di uno stato d'animo, di una sottile malinconia, di uno
spleen baudelairiano, di un abbandono, di un momento pensoso carico di
tristezza. Questa dolcezza che ritroviamo nei suoi quadri dopo tanti anni, ci
turba ancora e ci coinvolge, segno è che quella pennellata fu giusta e non fatta
invano, fu vera arte e non caduca espressione del momento (...). Per questo
Carlo Cherubini ha una sua fisionomia precisa ed è anche il cantore segreto del
nostro stesso tempo".
Ci sono forse parole migliori per raccontare la potenza dell'universo
immaginifico e creativo del genio pittorico di Carlo Cherubini? Oggi, quando
ancora le cerchiamo, ancora siamo ammirati da questo artista d'eccezione e senza
tempo.