Leandro Da Ponte detto Bassano (Bassano 1557 - Venezia 1622)
Leandro Bassano, Madonna con tre Avogadori, Venezia, Palazzo Ducale
Nato a Bassano nel 1557, Leandro fu il terzo dei figli di Jacopo. Accanto al
fratello maggiore Francesco, si distinse quale discepolo e valido collaboratore
del padre. Secondo Ridolfi si recò molto presto a Venezia al seguito del
genitore, probabilmente già nel 1577, quando Jacopo vi dipinse il ritratto del
doge Sebastiano Venier.
Lo stile pittorico
“Il terzo figlio di Jacopo, Leandro, era nato nel 1557 e, data la precoce
maturazione della prole nelle botteghe familiari, potrebbe aver iniziato poco
dopo il 1572 a dipingere qualche brano periferico dei dipinti paterni di grandi
dimensioni e a produrre repliche. Ma fu solo nel 1582 che gli venne concesso di
firmare una pala insieme al padre – il San Rocco in gloria con i santi Giobbe
e Sebastiano (Vicenza, palazzo della Provincia) – e pochi mesi dopo di
sottoscrivere da solo la Circoncisione (Rosà, parrocchiale), un dipinto
d’altare che era interamente opera sua. In entrambe le tele si osserva già la
sua attenzione scrupolosa per i particolari di superficie, per i colori
squillanti ma piuttosto freddi, e per le ombre nere che accentuano il gioco
chiaroscurale” (Rearick 2001). Ricorda Zanetti (1771) come egli fosse “degno
imitatore e discepolo del Padre, seguendo tuttavia piuttosto la prima che la
seconda maniera. Non fu tanto fervido il colorito né ardito il suo pennello
quant’era quel di Francesco; ma scelse le immagini più liete, e le più nobili
della paterna Scuola; dipingendo con bell’impasto, senza omettere il vigore
dovuto e la maestria necessaria al carattere d’un buon professore”. Già nelle
composizioni giovanili risalenti alla prima metà del nono decennio, come notato
da Arslan (196), si scorge qualcosa di “più
disegnato” e la sua “pennellata
filamentosa” viene differenziandosi “dal
colpeggiare franco e robusto” del padre e
da “quello sfarfallante di
Francesco”. Leandro inizia così ben presto a staccarsi dalla tradizione
familiare. Soprattutto dopo il 1595 il pittore rinuncia al dipingere di tocco e
di macchia, per puntare su mezzi espressivi diversi quali la stesura liscia e
bloccata, le superfici cromatiche smaltate in gamme chiare, talvolta squillanti,
definite da un segno netto e incisivo e avvolte da una luminosità fredda e
diffusa. Sia nella pala votiva del Podestà Capello (1590) del Museo Civico di
Bassano che nella Resurrezione di Lazzaro, oggi alle Gallerie
dell’Accademia di Venezia, Leandro abbandona l’intimità dei crepuscoli paterni
per imprimere al colore una nettezza di timbro affatto diversa.
Eccellente ritrattista, partì da una impostazione tintorettesca, accogliendo
successivamente stimoli derivati dagli esempi di Passarotti e di Pourbus,
conseguendo risultati di puntuale lucidità e di grandezza morale degna di
Moroni. Non fu estraneo alle esperienze tardomanieristiche centroitaliane
proposte da Federico Zuccari e da Abramo Bloemaert che lo spinsero a trasferire
“la tematica tradizionale delle vaste composizioni di storia sacra e civile,
come la produzione da cavalletto di pastorali bibliche più propria al repertorio
familiare, in un linguaggio spesso raffinato e prezioso, tendente ad una sempre
più spinta rarefazione formale: di cui sono buona testimonianza specialmente le
opere della tarda maturità, appartenenti ai primi due decenni del Seicento” (Binotto
1987). “La pittura di Leandro s’era andata schiarendo allo scopo di adeguarsi ad una narratività espressa in termini il più possibile ostensibili mediante un colore liscio, porcellanoso, segnato con minuzia quasi arcaicizzante. È tipico al riguardo il Festino di Cleopatra, firmato, del National Museum di Stoccolma, occasione per inscenare un suntuoso e pantagruelico banchetto all’aperto, nella campagna veneta” (Pallucchini 1981).
Daniele D'Anza
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