Nella pittura di Nora Carella, ciò che di primo acchito colpisce è il perfetto
rapporto tra la spinta emotiva che asseconda i moti dell’animo e l’opera
dell’intelletto, lucido filtro che conferisce forza ed equilibrio alle
composizioni. Equilibrio che ha caratterizzato anche le scelte di vita: Nora
Carella ha saputo, nonostante le vicissitudini, crescere tre figli mantenendo
sempre il non facile doppio ruolo di madre e di artista.
Anche negli anni in cui divenne molto nota come ritrattista e si trovò a
contatto con eminenti personalità della politica, della cultura e dello
spettacolo, quando espose e lavorò in ambito internazionale, tra Roma, Parigi e
New York, le sirene della facile fama non la distolsero mai dalla cura della
famiglia.
D’altronde oggi, superata la soglia dei novant’anni, l’energia e la
determinazione sono rimaste le stesse; certo, dice, “gli occhi non sono più
quelli di una volta”, di quando riusciva a cogliere e riprodurre in maniera
mirabile lo sguardo del soggetto, rendendo i ritratti vitali, unici e
inconfondibili. Ecco che allora ha saputo evolvere la sua pittura, dedicandosi
alle nature morte e ai paesaggi, ove ardono, sotto la superficie di un quieto
lirismo, le braci mai sopite delle avanguardie del Novecento, sorte dalla
rottura operata dagli Impressionisti e dalle spinte dell’inconscio alle quali
Freud diede voce.
Nelle tele a olio di Nora Carella percepiamo tutta la storia artistica del
secolo scorso, ma anche i linguaggi della contemporaneità, nel modo di
de-strutturare i volumi e la forma, di cogliere e rifrangere la luce, di portare
in primo piano i processi secondo i quali l’impressione visiva si lega al
vissuto dell’artista e fluisce nel gesto pittorico.
È una pittura che lega, attraverso la narrazione del colore, gli elementi reali
alla sfera spirituale, dando vita a una magia che cattura lo spettatore. Le
opere divengono soglie che si schiudono tra il mondo fenomenico e la dimensione
onirica: al sogno appartengono le atmosfere rarefatte, lo svaporare dei piani
prospettici, il colore che sussurra, narra e suggerisce, espandendosi oltre la
superficie bidimensionale del supporto.
Le vedute marine, per lo più della laguna di Venezia, rifuggono la retorica del
realismo integrale per aprirsi a uno spazio emozionato ed emozionante, in cui il
colore si dinamizza in volute e direttrici che si imbevono e vivono di luce. Lo
scorrere del tempo e delle stagioni scandisce il ritmo dei paesaggi: cieli
cangianti, tramonti guizzanti e albe soffuse, implosioni serotine di nebbia si
specchiano nell’acqua, con una poesia a tratti venata da accenti nostalgici. Di
opera in opera i cromatismi sono osati senza incertezze, col piglio volitivo
dato dall’esperienza e da un’acuta sensibilità.
Anche nelle nature morte, attraverso le magnetiche trasparenze dei vetri e nelle
dinamiche composizioni floreali, possiamo seguire lo scorrere della vita, quel
flusso incessante, così ben colto da Bergson: “Al di sotto di quei cristalli ben
tagliati e di quella superficie congelata, vi è un flusso continuo, non
comparabile a nulla di ciò che ho visto fluire. È una successione di stati,
ciascuno dei quali preannunzia quello che lo segue e contiene quello che lo
precede. [...] In realtà, nessuno di essi comincia o finisce, tutti si
prolungano gli uni negli altri.”1
La materia del vetro è resa con pochi tratti, stesi quasi d’impeto, resa
vibrante da sapienti tocchi chiari, impronte di luce che suggeriscono le forme,
senza per questo circoscriverle o trattenerle. Primo piano e sfondo si
intrecciano e si compenetrano, facendo propria la lezione del Cubismo Orfico di
Robert Delaunay, secondo cui non è solamente l’oggetto ad essere indagato nella
sua molteplicità percettiva, ma anche la realtà che lo circonda viene
analizzata, scomposta e riplasmata, fino a generare un tutt’uno mutevole e
dinamico.
Energia dunque e profonda spiritualità, percorrono le opere, ma scandiscono
anche il quotidiano di Nora Carella, esempio perfetto di come la giovinezza non
sia certo un dato anagrafico, ma una felice e feconda condizione dello spirito.