L'impegno è delicato: modellare un lume atmosferico, interiore e pittorico a un
tempo. Cose viste attraverso gli occhi, l'emozione e l'esempio dei Maestri: il
'terzo occhio' di Nora Carella presiede a fondere le sollecitazioni in un
repertorio formale di inesauribile originalità. Nei suoi paesaggi si compongono
allora la trama ottica del vero, la sua trasfigurazione sentimentale e la
mediazione attraverso la quale l'elemento di natura (acqua, vento, aria,
riflesso) si è fatto archetipo universale della cultura e della coscienza
visiva. Ecco che, ad esempio, un'inquadratura veneziana del Canal Grande con la
cupola della Salute sullo sfondo, dove alita tutto lo struggimento di un
Romanticismo vissuto come eterna categoria dello spirito, riassorbe le
suggestioni 'storiche' delle vampe turneriane più brucianti e visionarie
accordandole ai palpitanti ideogrammi della prima "Impressione" di Monet entro
una tensione lirica del cui segreto d'intimità l'autrice è esclusiva
depositaria. Non diversamente, una grande "Venezia settecentesca" converte il
rondò capriccioso della gestualità di un Guardi in un modernissimo madrigale
intriso di un onirismo perlaceo, stilizzato, guizzante di sospiri e rimembranze
ermetiche. Come non si escludono casi ove l'interiorizzazione del motivo
paesaggistico si sublima nell'allusività quasi astratta di campiture e colature
ormai remote dalla loro fonte e impegnate a intessere il 'fondo' musicale,
svaporante, di una melodia le cui note giungano riverberate e impalpabili. Il
conforto della visione antica si rende traslucido a un aggiornamento poetico in
cui pare di afferrare il fluido di tutte le emancipazioni e i segnali d'allarme
osati dalle avanguardie da oltre un secolo in questa parte. Così, l'artista dà
vita a una congerie di soluzioni pittoriche dove il ricordo dei luoghi e dei
loro umori meteorologici suscitano di volta in volta l'ascesi adamantina di una
stenografia orientaleggiante (i litorali olandesi essenzializzati con un
trattamento spaziale quasi giapponese), la patina d'una temperatura che tutto
scompone e tutto raddensa in placide raffiche di materia dorata (plaghe
nordafricane – la Tunisia – sulle quali ella ritrova le più sontuose eredità del
cromatismo 'mediterraneo' degli Impressionisti viaggiatori e dei loro
precursori, da Renoir a Delacroix), l'apparente paradosso di un tassellato
equoreo che esalta la tavolozza in un saldarsi di strati e stati atmosferici
come nella sublime lezione provenzale dell'ultimo Cézanne, che sembra rivivere
in alcune emozionanti tempestosità lagunari (sia venete sia gradesi); il tutto
passato al filtro di una vitalità espressiva che non conosce cedimenti.
2 – Nature morte
Nelle celebrate "Trasparenze" Nora Carella tocca il vertice del suo magistero.
Le risorse pittoriche allestiscono un'autentica avventura polifonica (nella
quale non manca neppure il coraggio della dissonanza) di iridescenze,
rifrazioni, barbagli, ispessimenti e illimpidimenti, modulazioni mercuriali di
tono e di tocco; tinte ora diafane ora temporalesche si affoltano in impasti
pronti a dissolversi nell'effusione incorporea o nello sdrucciolo diluvio della
sgocciolatura; griglie smerigliate schermano e riflettono le teorie dei
cristalli; cocci di colore puro si approssimano alla disintegrazione senza però
abbandonare l'infrangibile volontà del costrutto armonico, quasi rimpianto
tutelare di contro la tentazione dello sfacelo. Difficile concepire 'nature
morte' meno inerti di queste, trascorse da fremiti e accensioni, tutte vibranti
di liberatorio furore luministico, trasfigurate dalle più ardite alchimie del
'corpo' e dello 'spettro' cromatico. Clamorose accensioni di blu e di rosso
stingono nei cangianti, porzioni di tela vergine sgusciano tra stesure
improvvisamente liquefatte, folate di pennellessa minacciano la percettibilità
volumetrica dei vetri salvo poi placare di colpo la frenesia per farsi quasi
riassorbire nella grana del supporto. In queste composizioni "scorre e si agita
la vita senza posa", per citare Baudelaire; e se nel linguaggio della pittura
periodicizzata, ammansita al gergo delle dispute professorali, sarebbe possibile
parlare di una strutturalità 'orfista' - o postcubista che dir si voglia –
intaccata dai demoni della deformazione espressionista o del disfacimento
informel, alla fine l'incanto di quei bagliori che trafiggono il tumulto o
l'opacità della materia (ottenuti con tocchi di bianco puro applicati
direttamente con le dita), offre allo spettatore una consegna spirituale più
alta nella sua valenza metaforica: la luce che trionfa in un canto
inestinguibile di gioia e purezza.