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CONSULENZE-STIME-EXPERTISE
Marco Ricci (Belluno 1676 – Venezia 1730)
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lo stile pittorico
Marco Ricci, “nipote
e scolaro di Sebastiano, si applicò a far paesi e a dipingere
architetture nel che riuscì eccellente maestro. Lavorò per Venezia,
Germania, Inghilterra, donde gli venivano grandi e frequenti
commissioni. Portatosi in età di anni trentasei in Londra si fece grande
credito, e servì que’ principali Signori, Mecenati delle virtù. Arrivato
colà anche il zio, ad olio e a fresco fecero unitamente di belle opere,
con soddisfazione della Regina Anna, e di tutta la corte. Dovendo il zio
ritornare in Italia, per dar compimento a molte sue opere già
cominciate, Marco il nipote si unì con lui e a Venezia fece ritorno dove
operò a tempra sopra pelle una quantità di paesi, di grandezza di due
palmi, che a gara dai signori di Europa gli venivano ricercati” (Orlandi-Guarienti
1753).
“Non si esagera a dire che pochi prima di lui han ritratto il paese con
tanta verità, e quei che gli succedettero non lo hanno in questa
uguagliato mai. Per conoscere il suo valore non basta vedere i paesi
ch’egli dipingeva per traffico e cedeva a’ mercanti; nè quegli che
faceva a tempera sopra pelli di capretto che pure son graziosi, ma di
meno forza; convien vedere quei che fece a olio, e con più studio, i
quali più facilmente si trovano in Inghilterra che in Italia. Ebbe gusto
più esteso che non mostrò in opera” (Lanzi 1795-96).
Sono certamente da annoverare tra le sue prime realizzazioni “i due
grandi Paesaggi (121,5 x 171,5 cm) del Muzeum Narodowe di Varsavia; il
primo con una strada che s’inerpica su un colle, partendo dalla riva di
un fiume, l’altro pure con una strada che costeggia la riva, scavalcando
un ponte al quale si addossa una torre. Si avverte un deciso contatto
con l’arte del Tempesta (a Venezia fino al 1697), resa più brutale da
una «intonazione generale cupa o corrusca, quasi ferrigna»” (Pilo 1963);
un’interpretazione drammatica del paesaggio montuoso che sarebbe
piaciuta al Rosa, ma in chiave pittorica veneta, soprattutto per quelle
chiariture del cielo. [...] È probabile che dopo aver lasciato Londra,
nella seconda metà del 1716, Marco abbia soggiornato per un periodo a
Roma, il che “spiegherebbe l’interesse per una nuova tematica, quella
dei «rottami antichi», che assumerà un’importanza nuova nell’ultimo
svolgimento del suo gusto, contemporaneamente all’uso di un nuovo mezzo
espressivo: la tempera su pelle di capretto. Evidentemente la pittura
tradizionale ad olio, ad impasti e velature, secondo la tecnica
veneziana, non bastava alla resa di una piena luminosità solare” (Pallucchini
1994).
“L’esperienza inglese è, dopo quella romana e fiorentina, la chiave di
volta della pittura del Ricci: la sua tavolozza ne torna schiarita ed
arricchita di luce. [...] Le grandi, delicate marine sfolgoranti di luce
che coprono buona parte della sua produzione nel secondo decennio, pur
senza mai sconfessare memorie tizianesche, aprono la strada alle luci
canalettiane non meno delle sue rovine. L’uso della tempera, che si
intensifica in questi anni, permettendo una vastissima modulazione
cromatica nella resa della luminosità atmosferica, consente a Marco, in
un tema o nell’altro, di risolvere di getto le varie soluzioni
ambientali, siano esse paesaggi morbidamente degradanti, scenografiche
rovine, brani di banale quotidianità, risolti con la tenerezza e
l’umiltà del vissuto” (Scarpa Sonino 1991).
Alcune gustosissime scenette come la Prova di canto di Yorkshire (Castle
Howard) sono frutto del soggiorno inglese nell’ambiente del teatro,
mentre la Veduta di fantasia con rovine del Museo Civico di Vicenza,
realizzata verso la metà del terzo decennio, appare in linea con la moda
del momento. Essa è “universalmente ritenuta opera di collaborazione con
Sebastiano, con l’attribuzione a Marco delle architetture e comunque del
taglio compositivo d’insieme”. L’intervento dello zio va comunque
limitato “alle figure in primissimo piano, mentre le altre ci paiono più
vicine allo stile del nipote. Il dipinto comunque risulta
indiscutibilmente uno dei capolavori dell’artista, di un’armonia
compositiva forse tra le più alte della prima metà del Settecento”
(Scarpa Sonino 1991).
Daniele D'Anza
giugno 2005