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Annalisa Scarpa Sonino
Considerazioni attorno a Marco Ricci
L'ultimo trentennio ha conosciuto un intensificarsi degli studi sul paesaggismo veneto settecentesco e su Marco Ricci che ha consentito di determinare un'immagine più definita del pittore e del suo cammino artistico-creativo. Il chiarirsi definitivo della dicotomia tra le figure del Ricci e di Antonio Maria Marini, si è avuto più di recente, grazie agli studi del Martini e del Moretti fino ai cataloghi ragionati di Muti-De Sarno Prignano e di Maria Silvia Proni che, ripercorrendo le tappe della storiografia del secondo, ampliandone e focalizzandone gli orizzonti, hanno contribuito indirettamente a sfrondare il catalogo del primo dalle inevitabili aggiunte del passato. Sull'onda infatti dell'entusiasmo suscitato dalla mostra bassanese, si era accreditato a Marco come autografo un numero di dipinti eccessivo, dipinti spesso discordanti con il suo stile più precipuo, ma talvolta tanto vicini al suo da rendere plausibile l'attribuzione. Ora molti di quei dipinti hanno trovato una paternità più definita e vanno ad arricchire il corpus di artisti come il citato Marini, non certo di qualità inferiore anche se più monocorde, come Pietro Brancaleone o Bartolomeo Pedon. Se lo stato attuale degli studi ha definito con maggior precisione il cammino della poetica di Marco Ricci non sarà inutile continuare ad approfondire la ricerca tenendo a mente che, pur non dovendo ritenere l'artista un esecutore numericamente troppo fertile, il computo delle incisioni dei suoi trascrittori rivela che non è stata a tutt'oggi reperita circa una cinquantina di opere, tra oli e tempere, eseguite dall'artista e a noi tuttora sconosciute.
1. Marco e Sebastiano Ricci, Paesaggio con pescatori. Genova, collezione privata (già).
Continuando una ricerca che non si può mai definire conclusa, con attenzione a quanto compare sul mercato o rivela l'affascinante mondo del collezionismo, tra le molte inevitabili delusioni a cui si va incontro, alcune opere meritano senz'altro di essere segnalate, come il Paesaggio con pescatori (fig. 1) già di collezione privata ligure frutto della collaborazione tra Sebastiano e Marco approssimativamente nel 1703-1704, negli anni attorno al soggiorno fiorentino. Il dipinto, giocato su un narrato assai particolare, si impone in modo alquanto suggestivo e anomalo, con le sue figure ora esagitate e convulse, ora tutte intente e concentrate nella propria attività, ora pigramente distese attorno a un fuoco. Sembrerebbe quasi di assistere a una versione, più prosaica e laica, di composizioni come il Paesaggio con monaci in preghiera di Edimburgo, dove un modo analogo di legare uomini e natura ci riconduce allo stesso pensiero. Una recente pulitura ha messo in evidenza nel paesaggio la suggestiva scansione dei piani, la resa morbida ed elegante delle alberature che, a sinistra, fanno la quinta laterale, vicine nella stesura a quelle sulle pareti di Palazzo Marucelli-Fenzi a Firenze. Il gioco incrociato delle diagonali divide lo spazio rappresentato scandendo ogni episodio e si apre sullo sfondo, come un sipario, su un orizzonte azzurrato dove la luce si riflette e si placa. Le figure di Sebastiano si inseriscono in questo paesaggio armonicamente e vi si fondono a riprova di un sodalizio irrevocabile.
2. Marco Ricci, Paesaggio veneto con strada lungo un fiume. Venezia, collezione privata.
La raggiunta autonomia di Marco si fa palese in un Paesaggio veneto con strada lungo un fiume (fig. 2) di collezione privata, che mostra contatti strettissimi con molti altri dipinti di Marco databili nel primo decennio del secolo, come a esempio il Paesaggio con lago sullo sfondo di Dresda o il Paesaggio con figure della Galleria degli Uffizi di Firenze, opere in cui l'artista definisce ormai chiaramente i termini del proprio linguaggio, con un uso accorto del colore, la vibrante stesura delle velature, dove improvvise macchie luminose costruiscono la forma, il torrione rosato a destra, i casolari sullo sfondo lumeggiati a piccoli tocchi, l'esuberante corposità delle macchiette che mostrano già quelle che saranno le caratteristiche tipiche delle sue figure, arricchite con una vivacità di pigmento pittorico inconfondibile.
3. Marco Ricci, Paesaggio con ponte. Ginevra, collezione Guido Di Napoli.
Di pochi anni successivo è lo splendido scenario del Paesaggio con ponte (fig. 3) della collezione Guido Di Napoli di Ginevra, pubblicato recentemente dal Martini e dalla Proni che, nella ripresa tematica che deriva da Il ponte di Salvatore Rosa della Galleria Palatina di Firenze, mostra il pittore certamente ancora emotivamente legato al soggiorno toscano, ma già pronto alle soluzioni formali che vediamo prodursi nei dipinti di Castle Howard e di Chatsworth: l'uso del colore, caldo e vibrante, il rincorrersi continuo di elementi naturali, animali e piante, e di reperti archeologici, uno accanto all'altro in una necessità continua di riprodurre oggetti molteplici armonizzandoli in un unico contesto, rivela l'imprescindibile necessità di esprimere e comunicare attraverso innumerevoli immagini che è propria della prima maturità dell'artista, anche se già qui lo sfondo si apre agli scorci di assolata serenità che contraddistingueranno i suoi esiti più tardi. I pini marittimi sulla sinistra, talmente alti e sottili che sembrano voler toccare il cielo, sono la tranche che il pittore, in una zummata improvvisa, porterà in primo piano nel delicato Paesaggio veneto con monaco e lavandaie di collezione privata londinese.
4. Marco Ricci, Capriccio con ruderi romani. Montecarlo, Athenaeum.
A una incisione di Giacomo Leonardis è ricollegabile il piccolo olio di collezione privata, Capriccio con ruderi romani (fig. 4); fino a ora l'acquaforte veniva messa in rapporto solo con una tempera della collezione Campori del Museo Civico di Modena reinterpretata poi da Francesco Guardi, ugualmente a tempera e nello stesso senso dell'esemplare riccesco, in una "copia" estremamente puntuale. Il ritrovamento di questa versione ad olio di Marco è un'ulteriore prova del suo interesse per questa tematica; l'immagine degli "archeologi" intenti a studiare le rovine e le statue, le due figurine paludate alla romana, sottolineano il particolare mélange culturale di Marco che, laddove a posteriori è stato visto quasi protoromantico, trattiene in sé indubbie suggestioni illuministe.
5. Marco Ricci, Paesaggio con cavaliere e armenti all'abbeverata. Londra, collezione privata.
La delicatissima tempera di collezione privata raffigurante un Paesaggio con cavaliere e armenti all'abbeverata (fig. 5), è compositivamente molto vicina a tutto un gruppo d'immagini d'analogo tema e pensiero, come i Paesaggi con abbeverata di Windsor Castle e di collezione privata svizzera, databili nei primi anni venti sia per la morbidezza del tocco pittorico, sia soprattutto per la plastica eleganza delle forme; i giochi di luce che Marco crea riflettendo le masse sull'acqua, le pennellate che sfumano la facciata degli edifici del vecchio borgo, rendono ogni elemento nuovo, pur nel reiterarsi dei temi adottati dall'artista, e mostrano ormai una sua piena maturità stilistica. Purtroppo la recente mostra di Belluno, Marco Ricci e il paesaggio veneto del Settecento, pur sorretta da un buon battage pubblicitario teso tra l'altro a metterne in ombra le carenze, non ha certo ulteriormente chiarito i contorni ricceschi. A trent'anni esatti dalla memorabile esposizione bassanese, dove probabilmente con minori mezzi economici e minor sostegno dei media, ma con una concezione espositiva maggiormente scientifica, Giuseppe Maria Pilo e Rodolfo Pallucchini erano riusciti a costruire, pur nella linea degli studi del tempo, un completo excursus sull'evoluzione artistica del pittore, la nuova versione si rivela un'occasione mancata e sostanzialmente inutile, se non fosse per l'incantevole saletta dedicata ai dipinti di Castle Howard, unica vera attrattiva dell'esposizione, che da sola meritava la visita. È un peccato comunque che, essendo presente in questa sala la Prova di un'opera, non si sia pensato di dare più spazio a questa particolare attività dell'artista come pittore di interni, soprattutto sottolineando ulteriormente lo stretto legame che corre tra l'uso di questo tema da parte del pittore e il suo amore per la caricatura e per il mondo musicale, testimoniato abbondantemente da numerosi fogli custoditi nelle Collezioni Reali inglesi, purtroppo non esposti. A questo proposito mi sento in dovere di aggiungere una puntualizzazione riguardo alla cronologia dei cosiddetti "concertini" di Marco, specie alla luce di confronti tipologici con gli illuminanti dipinti appena restaurati di Castle Howard.
6. Marco Ricci, Riunione musicale. Firenze, Collezione privata
Il raffronto con le silhouettes femminili della Residenza Orléans a Twickenham rende oltremodo probabile affrontare un'anticipazione cronologica della Riunione musicale (fig. 6) di collezione privata fiorentina, su cui non avevo in passato preso netta posizione. A revisione dell'opinione da me espressa in passato, mi sono ora convinta che il dipinto fiorentino sia cronologicamente da ritenere la prima manifestazione di una categoria espressiva che Marco non tarderà a riprodurre e replicare poco dopo esser giunto in Inghilterra: l'alto livello formativo degli anni fiorentini rispetto all'evoluzione della poetica riccesca trova quindi un'ulteriore conferma; dal cenacolo di Ferdinando, dove la musica e l'ambiente circostante occupano uno spazio di notevole importanza, il Ricci trae una volta di più arricchimento delle proprie possibilità, inaugurando una tematica che avrebbe avuto molta fortuna oltre-manica e che si aggancia in modo perfettamente conseguente a quell'interesse per la caricatura, vagamente elitario e in linea con il suo estroso temperamento, che il pittore non abbandonerà mai. E in effetti la vicinanza della Riunione musicale di Firenze con La residenza Orléans e l'attività di Marco a Castle Howard – approssimativamente una distanza di tre anni, dal 1706 al 1709 –, viene sottolineata anche da un'analoga vicinanza dei due ovali che compaiono sullo sfondo di quel dipinto con il Paesaggio fluviale al chiaro di luna e il Naufragio presso una costa rocciosa del castello stesso (inv. rispettivamente nn. 663 e 39), tema quest'ultimo che l'artista aveva già realizzato per lo stesso Ferdinando. Indubbiamente i dipinti inediti di Castle Howard, come ugualmente quelli già noti, ma ora restaurati e quindi leggibili in una diversa accezione cromatica e creativa, forniscono una chiave di lettura estremamente ricca del periodo inglese dell'artista. Non altrettanto chiara emergeva dalla mostra la visione globale dell'opera di Marco. Numerose le carenze, l'assenza in blocco dei dipinti, delle tempere e dei disegni già dello Smith e ora custoditi nelle Collezioni Reali inglesi, delle tele delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, di quelle della Fondazione Querini Stampalia di Venezia, dei grandi oli tardi come quello della collezione Barilla di Ginevra, impediva la comprensione totale di lunghi e fondamentali momenti dell'attività riccesca; due soltanto, di collezione privata, i disegni esposti, e più che discutibili, anzi eseguiti con fare tanto dilettantesco e appesantito da escludere l'autografia riccesca: avrebbe giovato assai più alla conoscenza del suo corpus graphicum l'esposizione di ben altri fogli sicuri del pittore, accanto ai quali, dalla resa del segno, dal ductus, dall'uso misurato delle lumeggiature e delle acquarellature, questi due esemplari di Bergamo avrebbero suggerito una mano e un pensiero assai diverso e lontano. Trent'anni fa era stata esposta a Bassano, accanto a 97 dipinti, tra oli e tempere, riferiti a Marco, una campionatura di 96 disegni (per non parlare della sezione dedicata alle incisioni), che offriva al visitatore un equo spaccato di questo campo dell'attività riccesca, dato che l'artista fu un disegnatore ben abile ed elegante, e anche particolarmente prolifico e versatile, utilizzando la sua penna non solo per disegni preparatori o appunti di viaggio, ma anche nella veste di scenografo e di caricaturista, tanto che alcuni dei suoi fogli sono tra quelli artisticamente più elevati e poetici del secolo, desiderati dai più raffinati collezionisti, come lo Zanetti, il Mariette e il Vertue. Basti solo ricordare l'eleganza e l'armonia di quei disegni finiti e riquadrati, conservati con tanto amore in passato dallo Smith e con altrettanto amore ora nelle Collezioni Reali di Windsor. Ben rappresentato invece, anche se con esemplari non di altissimo livello per quanto riguarda l'edizione Orsolini, il corpus incisorio che, analizzato con perizia dal Succi, fa rimpiangere gli anni in cui lo studioso, allora magistrato e amateur si dedicava quasi essenzialmente allo studio della grafica. Un'analoga perizia il Succi la dimostra nella ricerca archivistica offrendo del materiale sicuramente utile e proficuo; peccato quindi che comparissero poi in mostra, come autografi, dipinti scadenti come la Baia con rovine classiche e torri medievali della collezione Salamon di Milano, frutto più che di esperienze riccesche, di lontane, anche nel tempo, reminiscenze alla Claude Lorrain, esposto subito accanto agli stupefacenti dipinti di Castle Howard; o tele sofferte e pasticciate come il Paesaggio con fiume, torre e lavandaia di collezione privata romana, o, più incredibilmente come l'Apparizione dell'orso, dipinto passato e ripassato per il mercato alla ricerca di un estimatore, opera di un copista fiammingheggiante dove ogni elemento rivela, più che "una delle prime sperimentazioni sul tema dei pericoli della foresta", come si legge nel catalogo, una ripresa tardiva di immagini riccesche: basti confrontare L'assalto dei briganti di Castle Howard per averne la certezza o, per restare nel tema, le più tarde tempere con Apparizioni dell'orso delle Collezioni Reali di Windsor. Se il Grande paesaggio fluviale con ponte e pescatori della collezione Salamon di Milano deve essere letto come "il capolavoro assoluto dell'artista" e "ascritto ai primi anni del terzo decennio" come si evince dal catalogo, dovrebbe probabilmente essere riletta anche l'intera produzione artistica riccesca: si creano infatti, a voler accettare quell'assunto, delle discrepanze notevoli con le opere note dell'artista databili tra il 1720 e il 1729/30. Discrepanze timbriche innanzitutto, che la gamma cromatica di Marco in quegli anni non si avvale certo di quei verdi, di quei bruni e di quei blu carichi, in un certo senso volgarizzati; se le capacità di resa scenografica, di tensione plastica, di sintesi poetica di Marco si esprimono, a voler restare tra i quadri esposti a Belluno, nell'incantevole Paesaggio con marina, torre antica e cavalieri di collezione privata londinese "databile alla fine del secondo decennio del secolo" secondo i curatori della mostra, bisogna arguire che una ben strana evoluzione si era prodotta nell'artista nel volgere di quei pochi mesi che portano "all'inizio del terzo decennio"; decennio in cui il Ricci si esprimeva paesaggisticamente con dipinti come il Paesaggio con donna, uomo seduto e bestiame della Royal Collection di Windsor o il Paesaggio con villaggio sullo sfondo già nella collezione Necchi di Gambolò: dipinti compositivamente perfetti, dove la plasticità di ogni elemento si sposa in modo sintatticamente corretto con il morbido cromatismo delle velature. Al confronto il grande paesaggio milanese, presentato come quello di maggior dimensioni mai dipinto da Marco e accompagnato da una dotta, lunga scheda, mal si inserisce non solo in quegli anni maturi dell'artista, ma in tutta la sua produzione, pur recando in sé elementi chiaramente ricceschi, tranches de vie talmente evidenti da divenire fuorvianti, come l'uomo inginocchiato sulla barca, la coppia seduta a destra, o, nel paesaggio, l'arroccamento della torre rotonda con i casolari. Rimane una constatazione finale riguardo alla deduzione che porta gli autori a identificare il dipinto con uno dei due grandi oli posseduti dallo Schulenburg, il vizio di metodo che sta alla base nel voler forzare elementi oggettivi a giovamento di una propria tesi: i curatori sostengono l'identificazione del quadro con la corrispondenza delle misure (espresse in quarte negli Inventari dello Schulenburg), pro domo propria: essi infatti calcolano il valore di una quarta uguale agli attuali 20 cm circa e, dato che il dipinto in questione misurava 10x14 quarte, desumono una misura approssimativa di cm 200x280, assai vicina a quella del grande Paesaggio milanese (cm 204x293). Ma, come assai correttamente annota la Binion, la 'quarta' che era parte del 'braccio', unità di misura mercantile di base a Venezia e nel Veneto, calcolabile attorno ai 68 cm per la lana e 63 per la seta, si può oggi quantificare attorno ai 17 cm scarsi. Ora, se calcoliamo le misure di quei due quadri "Grandi compagni' trasmesse dagli inventari Schulenburg, usando il coefficiente corrente (cm 17 circa), le dimensioni ottenute (cm 170x238) son ben diverse da quelle che vuole suggerire la scheda del catalogo bellunese e ben più vicine alle medie dei quadri "grandi" di Marco. Pur non negando quindi il "riccismo" endemico del Paesaggio milanese, la forzatura storico documentaria su cui fa perno l'analisi del dipinto esulando da annotazioni stilistiche più corrette incrina la credibilità stessa dell'assunto.Tra le tempere meraviglia che accanto a piccoli capolavori come il Paesaggio con viandanti in riposo e cavalieri, il Paesaggio con armenti, viandanti e cavalieri, la Fattoria con cavaliere al galoppo e Veduta classica di collezione privata padovana, compaiano in mostra esemplari rigidi e stanchi come la Veduta di una piazza con giocatori di bocce, dove, se l'attribuzione è influenzata dal tema, in verità inusuale, comparso in acqueforti del Fossati da Ricci e da altri replicate non vi è più nulla della delicatezza costruttiva di Marco, del suo morbido plasticismo che crea nel contempo profondità di spazio e corposità di forme; più palese ancora è l'impropria attribuzione di tempere come il Paesaggio con viandante e lavandaia e il Paesaggio fluviale con boscaioli di collezione privata bellunese, opere tardo settecentesche/proto ottocentesche, di indubbia memoria riccesca, ma storicamente lontane dal pensiero dell'artista. Poiché la presunzione della mostra era quella di "imprimere il sigillo su un lungo lavoro filologico di recupero della statura" di Marco Ricci, sarebbe stato forse il caso, date le dimensioni dell'esposizione non particolarmente ampie, di affidare questo imprimatur irrevocabile a esemplari assoluti ed altrettanto irrevocabili, senza voler scivolare, per un'eccessiva ricerca dell'inedito, in una sovrabbondanza di materiale di attribuzione quanto meno dubbia.
7. Marco Ricci, Paesaggio con mandriano e cavaliere. Milano, collezione privata.
Ripubblico qui invece per dovere di precisione la deliziosa tempera di collezione milanese Paesaggio con mandriano e cavaliere (fig. 7) penalizzata nel catalogo della mostra dall'essere riprodotta in controparte, il che ne altera una corretta lettura. La delicatezza dei toni, la luce tremula e serotina che accarezza la stesura delle masse, il morbido digradare dei piani in un rincorrersi all'infinito, mostra la notevole maturità compositiva dell'artista e la sua capacità di dilatare lo spazio in una visione più che grandangolare, alle spalle del narrato episodico prescelto: la scansione ritmica dei vari elementi viene sottolineata poi dal ripetersi di pause a cui l'osservatore viene inconsciamente coartato: l'uomo appoggiato alla balaustra, l'arroccamento degli edifici, il lento scorrere dell'acqua, un orizzonte basso ed inafferrabile. In contrasto a questa quiete impalpabile e totale che rallenta lo svolgersi del tempo reale, la poliedricità del carattere riccesco realizza immagini catalizzanti in senso opposto, convulse e "drammatiche", dove il pittore gioca con la mutabilità degli agenti atmosferici e traduce in colore e luce i loro effetti, come nella Burrasca di vento con frate e carrozza (fig. 8) di collezione privata veneziana.
8. Marco Ricci, Burrasca di vento con frate e carrozza. Venezia, collezione privata.
Il dipinto, in stretto contatto con la tempera di Windsor Paesaggio con burrasca di vento riprende una tematica cara all'artista che partendo dalla Burrasca di vento con contadini e cavalieri al galoppo di Castle Howard, giunge a queste realizzazioni a tempera più tarde, su cui si sofferma anche l'attenzione del Vertue cui era ben nota l'abilità di Marco quando parla dei suoi land-storms. La ricerca sulla fenomenologia atmosferica approfondita anche in taluni disegni, già appartenuti allo Smith', diventa per l'artista un gioco estetico e al tempo stesso una sfida nel tradurre il variare della luce della realtà nella luce virtuale che si trasferisce sulla pittura.
Annalisa Scarpa Sonino
P.S.: Nel testo corrente sono state omesse, per questioni di spazio, le note dell'autore.
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N°7
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