Varie furono le
vicende che subì la vetreria, fondata nel 1878, prima di prendere, nel
1942, la denominazione attuale di Barovier & Toso. Di proprietà della
famiglia Barovier, con soci che si alternarono negli anni, inizialmente
sotto la guida di Benvenuto e Giuseppe Barovier, prese il nome di
"Artisti Barovier" producendo soffiati di tipo classico e oggetti di
vaga ispirazione Art Nouveau con uso di murrine policrome.
Appartengono a questa serie i vasi presentati alla Mostra dei Fiori a
Palazzo Ducale nel 1914. Durante la Grande Guerra si trasferì a Livorno,
come molte altre fornaci, e al suo ritorno a Murano, nel 1919, si
trasformò in "Vetreria Artistica Barovier & C.", con a capo Ercole e
Nicolò Barovier. Partecipò nel 1923 alla Mostra Internazionale delle
Arti Decorative di Monza, dove, accanto a una serie di vasi a murrine e
soffiati classici, presentò una serie di "connubi di ferro e vetro". Le
parti in ferro battuto furono eseguite dalla ditta Cardin & Fontana di
Venezia. Anima creatrice fu Ercole Barovier, attivo dal 1922 al 1972.
Erede di una delle più vecchie famiglie di vetrai muranesi, creò oltre
23.000 modelli, inventando ex-novo tecniche di lavorazione che
contribuirono in maniera determinante al rinnovamento dell'arte
vetraria. Già negli anni '20 riscosse grandi successi, prima con i vasi
a murrine, su disegni di Zecchin e Wolf Ferrari, poi con creazioni del
tutto autonome, ampiamente lodate anche da Gio Ponti sulle pagine di
Domus. Quelle di maggior successo furono i vetri "primavera", una serie
limitata e non più ripetibile, esposta alla Biennale del 1930.
Negli anni '30, dedicandosi con passione alla ricerca nel settore dei
vetri pesanti, creò una serie di pezzi caratterizzati dall'uso di
materie molto spesse, con inclusioni di varie sostanze, provocando delle
reazioni policrome, definite in un suo brevetto: "colorazione a caldo
senza fusione" tecnica che con varie modifiche, utilizzò anche negli
anni '50. Le serie più significative di questa produzione furono:
"autunno gemmato", "marina gemmata" e "laguna gemmata". Partecipò con
successo alle principali mostre italiane ed estere, ottenendo ovunque
riconoscimenti e premi come il Grand Prix all'Esposizione Internazionale
di Parigi del 1937. Ercole Barovier fece un uso particolarmente sapiente
anche del vetro incolore di grosso spessore, arricchendolo con
applicazioni, iridescenze, inclusioni di bolle d'aria. Nel 1938 creò i
"rostrati", vetri con la superficie ricoperta di grosse punte regolari,
che rifrangono la luce. Tali modelli vennero molto imitati da altre
vetrerie e furono oggetto anche di lunghe dispute legali. Sempre a
questo genere di vetri appartengono le serie: "mugnoni", "medusa",
"bugnati", "lenti", "superbolle", apparse negli anni immediatamente
seguenti. Nel 1936 la fornace si fuse con la S.A.I.A.R. Ferro-Toso,
prendendo il nome di Ferro-Toso-Barovier, mantenendolo fino al 1939,
anno in cui si modificò in Barovier-Toso & C. per prendere poi, nel
1942, la ragione sociale attuale, Barovier & Toso.
Significativo fu il 1940, anno in cui, alla Triennale di Milano, furono
presentate alcune serie quali i vetri "rugiada", "groviglio", "Oriente",
"rilievi aurati", "rilievi argentati" e innumerevoli nuove
realizzazioni.
Nel dopoguerra Ercole Barovier, abbandonato a poco a poco l'uso di
materie spesse, rivolse il suo interesse alla ricerca nel campo delle
tecniche di decorazione. I pezzi di questi anni, se vogliamo cercare di
definire una linea comune, furono caratterizzati da forme piuttosto
semplici o arcaiche mentre tutto lo sforzo creativo mirò a sperimentare
nuovi usi di tecniche tradizionali, come le murrine, ottenendo però
effetti cromatici assolutamente inediti ed estremamente attuali.
Possiamo ricordare i suoi vasi a tessere, i vasi "Corinto" e "Damasco",
i "saturnei" presentati alla Triennale di Milano del 1951, e poi tutte
le altre varianti: "millefili", "Sidone", "parabolici", "moreschi",
"Micene", "a spina". Un'altra linea costante di questo periodo, fu
rappresentata dai vetri che sfruttarono la colorazione a caldo senza
fusione, come i "barbarici", presentati all'Esposizione Internazionale
del Vetro a Parigi, nel 1951, gli "eugenei", i "neolitici", gli
"aborigeni".
All'inizio degli anni '60, Ercole Barovier riprese in pieno la tecnica
delle murrine, proponendone alcune versioni completamente nuove, quali
"Argo", "dorici", "a intarsio" e "caccia", presentati questi ultimi alla
Biennale del 1962.
Tra le ultime creazioni di questo grande artista, possiamo ricordare i
vetri "siderei", "Athena", "rotellati" e "neomurrine" del 1972. Sul
finire degli anni '50, si affiancò al padre, in qualità di progettista,
il figlio Angelo. A lui si devono alcune creazioni presentate alla
Biennale del 1960, quali i "polivasi". L'attività di ricerca del figlio
si rivolse anche al campo della pittura, sempre però vista come
applicazione delle tecniche vetrarie.
Dagli anni '80 la Barovier & Toso si avvalse della collaborazione di
designer esterni quali Matteo Thun e Toni Zuccheri. La vetreria è
tuttora attiva sotto la direzione di Angelo Barovier, di suo figlio
Jacopo e di Giovanni Toso. Le creazioni della Barovier & Toso sono
presenti in tutti i più importanti musei del mondo e in molte collezioni
private.
Lorenzetti C., Vetri di
Murano, Bergamo 1940
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