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I FUNERALI
FUNERALE DELL'ARCIDUCA
FERDINANDO
La tragica morte dell'arciduca Ferdinando e della sua consorte
Sofia Chotek, avvenuta a Sarajevo il 28 giugno 1914, commosse l'animo
sensibile dei Triestini, che accorsero alle esequie facendo ala lungo il
percorso.
(Coll. L. Susa)
Si nasceva e si
moriva in casa, un tempo; raramente all'ospedale. I funerali partivano
quindi dall'abitazione dell'estinto, sostavano nella chiesa parrocchiale
per le esequie, e poi via, verso il cimitero. E sino alla prima metà del
1800 il trasporto veniva fatto a spalla, il feretro era cioè portato dai
«pizzigamorti», mentre i carri si usavano solo se l'estinto era stato
una personalità.
Allorché qualcuno esalava l'ultimo respiro, era diffusa la tradizione
che un parente si recasse dal sacrestano o dal campanaro, il quale
annunciava l'avvenuto decesso col suono delle campane: 4 botti per una
donna, 5 per un carcerato, 6 per un uomo... normale e 7 per un
religioso, ripetuti tre volte.
Si moriva il più delle volte a casa, dunque, e la veglia funebre era
un'usanza che alle volte sconfinava... nell'allegria. Alla sera
convenivano nella casa dell'estinto parenti ed amici, «per far compagnia
al morto», ma per trascorrere la notte svegli si mangiava e beveva. La
mamma dell'estinto, se ancora viva, non partecipava alla cena, in quanto
la tradizione voleva che stesse accanto alla salma, mentre la vedova (se
il morto era sposato) doveva fare gli onori di casa e servire in tavola.
Quando invece moriva un bambino, si usava consolarsi dicendo che «si era
mandato in cielo un angioletto» ed alla veglia si offrivano vino bianco
e fritole (frittelle).
Osservando un funerale del passato, anche da notevole distanza si poteva
capire subito se si trattava di uomo o di donna. Nel primo caso infatti,
dietro al feretro, dopo i parenti seguivano tutti gli uomini ed in coda
c'erano le donne; se si trattava di una donna, l'ordine era inverso.
Al cimitero, dopo che la fossa era stata riempita di terra e dopo che
erano state versate abbondanti lacrime, tutti i partecipanti al funerale
si ritrovavano all'uscita, e prima di far ritorno a casa, si fermavano
in una osteria dei paraggi per la cena, perché «chi mori el mondo lassa
- e i vivi se la passa».
Nel 1876 veniva fondata a Trieste la ditta di pompe funebri Zimolo, che
per scopo pubblicitario organizzò un funerale di prima classe, con
battistrada a cavallo, fanali portati a mano, cavalli con guadrappe e
pennacchi. Allora i funerali erano veramente una «pompa funebre».
Furono numerosi nel passato i funerali che per le solenni onoranze
fecero ampiamente parlare le cronache. Ricorderemo nel 1867 il corteo
che accolse la salma di Massimiliano, che, giunta con la nave Novara, fu
accompagnata alla stazione ferroviaria.
E venne poi il funerale del barone Revoltella, il cui feretro era
seguito dal fido servitore cinese, che portava su un cuscino tutte le
decorazioni. Imponenti risultarono nel 1871 le onoranze funebri
all'artista Honson Thoure, l'uomo-mosca che si era sfracellato durante
il suo numero al teatro Mauroner. Otto cavalli trainarono nel 1874 il
carro funebre che trasportava la salma dell'Infanta di Spagna Maria
Teresa di Borbone-Braganza dalla casa di Via Lazzaretto Vecchio a S.
Giusto. Per i funerali di Felice Venezian, nel 1908, la città fu
addobbata a lutto ed i fanali furono accesi ed abbrunati.
Ancor vivo è il ricordo dei funerali che si svolsero nel 1914, quando
con la squadra navale giunse la Viribus Unitis che trasportava le salme
del principe ereditario e della consorte, assassinati a Sarajevo. Sulle
rive i due feretri furono collocati su ricchi carri a tiro sei: i
cavalli, i palafrenieri ed il carro della duchessa erano bardati
d'argento, mentre sul carro di Francesco Ferdinando abbondavano le
decorazioni in oro. Anche allora il mesto corteo attraversò la città per
terminare alla stazione ferroviaria.
TRIESTE ROMANTICA
©
Edizioni Italo Svevo,
via Battisti n.
6, Trieste.