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Zoran Music - la vita, i cavallini e i motivi dalmati     

Daniele D'Anza

Uno sguardo alle opere “veneziane” di Zoran Music

Daniele D'Anza


 

 

Il Carso nelle vene

 

Zoran Music (Gorizia 1909 – Venezia 2005)

 

 

Walter Abrami

 

 

 

    

 

Nel mese di maggio 2005 il novantaseienne artista goriziano ormai malato da tempo, ci ha lasciati. Caduto come una quercia sotto la forza del Tempo, provato dall’età e da una grave anemia che lo costringeva all’immobilità su una sedia a rotelle è stato assistito fino all’ultimo dalla moglie Ida Barbarigo Cadorin.

Gli abbiamo voluto bene perché  era uno di noi, uno di quegli uomini che ha il Carso nelle vene, che coglie la bellezza  di un gelso, che conosce la forza della roccia, l’odore delle stalle, il ginepro, il viola delle sterpaglie e il grigio-azzurro delle pietre, l’ocra della terra e  il rosso dei campi coltivati a vigneti.

Pure lui un po’aspro come il vino Terrano e forte come la brigna (sligoviz) delle nostre terre  e soprattutto convincente, apprezzato, persino esaltato dagli intenditori, come i decantati vini del Collio.

Similmente a Spacal e a Brumatti è stato uomo di misurate  parole, scontroso più che severo, schivo forse, ma di gran sensibilità.

Pochi, sobri elementi lo condussero sulla strada della semplicità, la più difficile.

La chiarezza del suo intendimento è quella che costringeva Morandi a ripetere le sue bottiglie.

Nella semplicità, nella sofferenza da lui vissuta, nell’originalità, nell’unicità, nella bellezza primitiva dei suoi cavallini, nello stile personale, inconfondibile sta in fondo la chiave del suo successo: ineccepibile.

Il suo animo è stato sempre ruvido così com’è  stato poetico il paesaggio contemplato dalla sua mente sia a Venezia, a Curzola o a Siena.

Visioni delicatissime che una volta trasportate sulle carte e sulle tele sono solo l’ultimo passo di un percorso interiore.

In Music tutto nasce prima, ha una matrice, un senso nella terra.

Testimoniava: “ Spesso mi domandano come lavoro. Mattina? Pomeriggio? Ore fisse? Come rispondere? Come spiegare, quando per me stesso non è chiaro. So soltanto che devo arrivare a un certo stato di tensione, che devo avere una necessità interiore assoluta per cominciare.

Il timore che la luce scura vada e che avrò quindi poco tempo per realizzare un minimo; che perfino l’emozione e lo slancio che sento mi possano sfuggire; tutto ciò crea un’atmosfera favorevole al lavoro. Comincia con una strana lotta perché questo stato d’animo persista. Questa disposizione positiva può durare anche settimane. L’immagine che mi possiede è per me una sorgente che non devo lasciarmi sfuggire. Comincio il primo quadro, mi fermo perché non trovo la soluzione, ne comincio un secondo, un terzo e molti altri che poi risolverò forse tutti assieme”.

Music è fuor d’ogni dubbio uno dei maggiori pittori vissuti nella nostra regione e con la Fini, ritengo, il più originale.

Egli dosa sempre i colori magri, opachi  con parsimonia, con gusto: le sue superfici sono scarne come un fazzoletto di terra arida, carsica appunto.

 

Di Anton Zoran Music, classe 1909, si è parlato molto e a ragione tanto è stato scritto, soprattutto in questi ultimi decenni, sulla sua figura d’artista.

Nel settembre del 2000 la Rai ha trasmesso un avvincente documentario sul pittore realizzato con grande sensibilità da  Giampaolo Penco.

Testimonianza decisiva e irripetibile che pure ha consentito alcune osservazioni di questo articolo.

La definitiva, meritata consacrazione artistica di Zoran Music è  antecedente allo special televisivo; nel 1995  una rassegna di 149 opere su carta e 112 dipinti è stata presentata al Grand Palais di Parigi. Contemporaneamente altre mostre sono state inaugurate in Francia a Bordeaux ad Antibes e a Caen dopo un successo internazionale continuo e progressivo e moltissime mostre un po’ ovunque.

Le esposizioni più recenti alla Risiera di Trieste (1997) e presso il Palazzo Attems di Gorizia  (2003)  sono  state i meritati e doverosi omaggi della nostra regione ad uno dei più concreti artisti nati in questa terra di confine.

Poco prima della morte  il pittore  cosmopolita (abitava nell’ appartamento parigino di Boulevard Saint German ma aveva casa a Venezia e a Cortina e frequenti contatti con Lubiana dove vive suo fratello Ljuban), ricordava ancora la sua terra. “Quando ho ritrovato i paesaggi della mia infanzia ho ritrovato me stesso. Gorizia e Trieste, nella mia memoria, sono paesaggi “fantastici”.

Ancor adesso – raccontava a novant’anni - mi capita di rivederle con l’occhio del bambino che arrivava a Trieste in visita agli zii alla vigilia della prima guerra mondiale. Per giungere da Gorizia in riva all’Adriatico il treno percorreva l’altipiano passando da Divaccia e Sesana (Slovenia) fra le rocce, sassi doline e cespugli che diventavano rossi ed ocra nel tardo autunno. Durante l’estate andavo a Capodistria ed era un grande divertimento prendere la piccola nave che partiva da Trieste. Anche il Collio è un ricordo magico come lo è il fiume Isonzo, con le sue acque così chiare, verdi, lattiginose…”.

 

 

Biografia

 

Music trascorre la sua prima infanzia a Bukovizza presso Gorizia dove suo padre insegna. Nel 1915 all’inizio nella guerra, mentre il padre si trova sul fronte in Galizia, la famiglia è evacuata in Stiria. Al termine del conflitto il padre è smobilitato e inviato ad insegnare nel Collio dove rimane un breve periodo. Successivamente è trasferito a Völkermarkt in Corinzia.

Qui Zoran comincia a frequentare il liceo che finirà a Maribor.

Prima di iscriversi all’Accademia di Belle Arti a Zagabria, trascorre brevi periodi a Vienna dove ha vari contatti artistici.

Ha pure  effettivi incontri con la pittura: conosce le opere di Klimt e di Schiele e più tardi, a Praga, vede gli impressionisti francesi.

A Zagabria il suo maestro è Babic.

Allievo di Von Stuck a Monaco, Babic è considerato il maggiore tra i pittori croati: egli è spesso presente alla Biennale di Venezia ed è amico di Cadorin. Fa conoscere i grandi pittori spagnoli a Music e lo consiglia di andare a Madrid. In Spagna Zoran rimane un anno: studia El Greco Goya e Velàsquez.

La Castiglia risveglia in lui il ricordo della terra dalmata che lo attrae sempre: anche negli anni accademici vi si reca durante le vacanze estive e coglie il paesaggio in schizzi e disegni.

All’inizio della guerra civile Music lascia la Spagna e raggiunge la terra arida e brulla, contornata dal mare blu che istintivamente ama.

Guarda gli asinelli, le donne che si recano ai mercati riparandosi dal sole cocente con gli ombrelli, le pietre accecanti, il terreno scosceso, sterrato, polveroso.

L’isola sulla quale rimane più a lungo è Curzola.

Il paesaggio carsico è determinante per la sua pittura, come lo è per Spacal, per Brumatti e Hlavaty che sono i suoi cantori più schietti dell’area giuliana.

Non è casuale la loro reciproca stima e la pur saltuaria frequentazione. E’ Kobdilj uno dei punti di ritrovo. Jasbez il nome della trattoria.

Quel  “paesaggio spoglio, quasi desertico, pietrificato si direbbe, dove spunta ogni tanto tra i muretti una minuscola oasi di terra rossa,  con un vigneto, oppure cespugli di lavanda viola” attrae anche Music.

Ma vuole il desino il percorso di Music sia diverso.

Tra il 1941-1942 espone a Zagabria con Babic e due ex allievi dell’Accademia: Stupica e Simunovic.

Con il gruppo degli indipendenti partecipa a mostre collettive a Lubiana.

In seguito rinnegherà alcuni acquerelli di quel periodo ed io stesso ho avuto modo di vederne uno tanti anni fa in casa di Marianka Hlavaty figlia del caricaturista e acquerellista sloveno: rappresentava una giostra periferica per certo di Music.

Un giorno Music scrisse sul dipinto che gli era stato messo davanti affinché lo firmasse di non esserne l’autore. Lo scrisse alla base con una penna biro!

Allo scoppio della Seconda Guerra Music torna a Gorizia; con il pittore Cernigoj esegue pitture murali in alcune chiese presso Tolmino e Caporetto.

Nel 1943 si reca per la prima volta a Venezia dove incontra numerosi artisti. Espone motivi dalmati e preziosi acquerelli con aspetti della città lagunare. De Pisis introduce la sua mostra in una monografia. Nello stesso anno è presente a Trieste nella galleria Decrescenzio e conosce Cadorin.

E’ arrestato dalla ghestapo con l’accusa di amicizie e collaborazione con gruppi antitedeschi  ed è deportato a Dachau dove “vive in un quotidiano paesaggio di morti, di moribondi in un’apatica attesa (..) Eravamo nel fango, esposti al freddo. I cadaveri ammucchiati dappertutto. riesce a disegnare di nascosto con incredibile frenesia servendosi degli scarsi mezzi che ha in un indescrivibile odore di decomposizione e di sporcizia che lo spinge a farlo.

“Disegnando,- testimonia – mi aggrappavo a mille particolari. Quanta tragica eleganza in questi fragili corpi. I dettagli così precisi.(…) Le mani, le dita sottili, i piedi, le bocche aperte all’ultimo tentativo di aspirare ancora un po’ d’aria, i mucchi di cadaveri uno sull’altro in una sorta di torre umana babelica restano temi assillanti e replicati  per tutta la sua vita.

Oggi è indimenticabile una sua osservazione: “ho frequentato due scuole l’Accademia di Zagabria e Dachau.

A Dachau - aggiunge - ho imparato a vedere le cose in un altro modo. Anche nella pittura più tardi non è che sia cambiato tutto. Non è che per reazione agli orrori abbia riscoperto la felice infanzia. Dopo le visioni di cadaveri, spogli di tutti i requisiti esterni, di tutto il superfluo, privi di maschera dell’ipocrisia, delle distinzioni di cui si coprono gli uomini e la società, credo di aver scoperto la verità, di aver capito la verità, la terribile e tragica verità che mi è stato dato di toccare. I paesaggi dalmati sono ritornati, hanno perso tutto quello che era di troppo e di pettegolo. Si sono aggiunti i paesaggi senesi, cadaveri spogli, martorizzati dalle intemperie. Mi ci voleva, per la pittura almeno, questa grande lezione”.

Alla fine del conflitto Music torna malandato a Gorizia e a Venezia dove Guido Cadorin e Ida, sua futura sposa, lo aiutano e gli offrono uno studio. Qui dipinge i primi autoritratti e i cavallini.

Nel 1946 dopo aver aiutato Cadorin nell’esecuzione di alcuni affreschi a Ponte nelle Alpi, di ritorno a Venezia comincia con una serie di acquerelli alle Zattere e a San Marco. Music ritrova improvvisamente la luce, il sole il cielo enorme fino all’orizzonte basso della laguna, la gioia della libertà.. in fondo!

Scopre l’oro di San Marco, le icone orientali. Cambia alcuni ambienti, alcuni studi e finisce a Santo Stefano nell’alto di Palazzo Pisani.

Dalle finestre vede tutta Venezia e in un piccolo vano in cima alle scale dipinge sui muri e tra le travi che gli ricordano le coperture delle case carsiche, i suoi motivi dalmati.

Nel 1948 è per la prima volta alla Biennale Internazionale di Venezia.

Kokoschka, Campigli, altri colleghi, collezionisti onerosi e galleristi noti lo incontrano nella sede del Conservatorio dove lavora.

Nei suoi viaggi a Roma è attirato dalle colline intorno a Siena. La serie dei paesaggi senesi nasce inizialmente da appunti tracciati guardando fuori dal finestrino del treno.

Music soggiorna in Svizzera, spesso a Zurigo dove esegue le prime litografie, ma trova difficoltà a vendere le sue opere. Per  sopravvivere dipinge paesaggi convenzionali, pannelli e qualche pittura murale.

Lo accompagna Ida che nel 1949 diviene sua moglie. A Venezia esegue le prime puntesecche tirate da lui stesso sui torchi dell’Accademia. Nel 1951 organizza a Cortina, complice il mecenate Mario Rimoldi, il Premio Parigi.

Chi non conosce ancora la collezione Rimoldi non perda occasione di visitarla: capirà come ha operato intelligentemente il sindaco-collezionista che in quegli anni ha fatto di Cortina un centro di pittori e intellettuali. Un bel mondo artistico di primissimo piano.

L’esposizione di Music alla Galerie de France l’anno seguente e un repentino contratto stipulato con i proprietari, dà al goriziano la possibilità di stabilirsi a Parigi.

E’ la svolta della sua carriera, ma anche un periodo di solitudine interiore.

Scrive: “Arrivato a Parigi con il modesto bagaglio dei cavallini dalmati mi sentivo inutile a me stesso e quasi mi vergognavo di far vedere i miei Cavallini che passano al Salon de Maj”.

Il pittore vive turbamenti intellettuali e psicologici, ma realizza opere di altissima poesia.

Nel frattempo occupa lo studio del  fotografo Brassaî a Montparnasse.

Quando è in Italia continua a lavorare a Venezia e a Chioggia.

Espone a New York, a Londra e alla Quadriennale di Venezia.

A metà degli anni Cinquanta è nuovamente in Dalmazia dove dipinge e disegna, poi ancora a Cortina. Ripeterà tali soggiorni per più di un decennio.

Incomincia un accordo con la Galleria di Ugo Meneghini a Venezia e anche per merito di Giuseppe Mazzariol diventa  sempre più noto in Italia.

Ha grandi estimatori a Trieste e in altre città italiane. Nel 1970 comincia il ciclo Non siamo gli ultimi e due anni dopo è il primo pittore vivente ad avere una mostra nel Museo d’Arte Moderna della città di Parigi.

A Ravenna invece, si dedica  ad un mosaico di 30 mq commissionatogli dall’architetto Sep Ruff di Monaco che oggi decora il cortile interno dell’Albergo Hilton.

Si susseguono importanti retrospettive in Germania, in Svizzera e in Francia.

A metà degli anni Ottanta comincia il ciclo di interni delle cattedrali e il ciclo delle chiese veneziane attraverso i quali intende trasmettere il profondo silenzio, l’atmosfera e la grandiosità delle stesse.

 

 

 

Walter Abrami