Non può sorprendere l'oblio in cui
era caduta nella storiografia dell'ultimo Settecento e in quella
ottocentesca la personalità artistica di Antonio (o Tonino) Stom, quando
si pone mente al suo carattere così estroverso, di un barocchismo
esasperato ed anacolutico, si direbbe di una sensibilità fauve
anzitempo.
È merito di Fabio Mauroner aver attirato l'attenzione sugli Stom (o Ston),
una famiglia di paesisti e di vedutisti, osservando: «Si sono finora
confusi questi artisti veneti, originari della Val Gardena, con quasi
omonimi fiamminghi italianizzati... » (Mauroner, 1947, p. 49). È l'Orlandi
ne1 1704 a scrivere che Matteo «figlio di Matteo pittore olandese [cioè
lo Stomer caravaggesco], abbandonato bambino dal padre, e cresciuto in
età, imparò il disegno da Orlandino Olandese pittore di paesi e di
battaglie... d'anni 53 divenne cieco, e di 59 morì ne1 1702 in Verona» (Orlandi,
1704, p. 284). Non è improbabile che a tale Matteo Stom (che è citato
nella Fraglia veneziana nel 1687, 1688 e 1700) spetti quella misera
Battaglia, firmata, che ebbi l'occasione di pubblicare nel 1960, e che
effettivamente non ha alcun rapporto con l'opera dell'altro gruppo degli
Stom, che fa capo a Tonino. Essa lega stilisticamente con le due di Ca'
Rezzonico, che il Pignatti (1960) ha opportunamente restituito a Matteo
(prima erano ritenute del Simonini) in base all'attribuzione
tradizionale. Altre due Battaglie di Matteo Stom di più ampio respiro
erano segnalate dal Bartoli (1793) in casa Silvestri a Rovigo, ed oggi
sono esposte alla Pinacoteca dell'Accademia dei Concordi.
Il Mauroner era d'opinione che il gruppo degli altri Stom iscritti alla
Fraglia veneziana (Zuane, 1707 [fuori], Giuseppe, 1707, Antonio, 1733)
facessero capo appunto a quel Giovanni (Zuane) che la Mariegola
dell'Arte dei Depentori cita come «nativo di Gardena, Teritorio del
Tirol, Capo Maestro Depentor» (Mauroner, 1947, p. 49). Mentre il Morassi
nel suo fondamentale saggio de1 1962, che ha riscoperto l'opera di
Antonio Stom, aderisce alla tesi del Mauroner di un'origine altoatesina
della famiglia degli Stom, il De Zucco (1976) vi si oppone accomunando i
vari Stom citati dalla Fraglia che facevano capo a Giovanni, a quel
Matteo che, secondo la testimonianza dell'Orlandi, era di origine
olandese. Ma evidentemente si trattava di omonimia, in quanto nel
registro dei morti compulsato dal De Zucco, due personaggi femminili
della famiglia Stom sono detti figlie di un quondam Matteo, che non è
detto sia lo stesso citato dall'Orlandi nel 1704 e ricordato come morto
a Verona. Il De Zucco ad ogni modo ha il merito di aver desunto dal
Libro dei morti di San Giuliano a Venezia che «A dì 15 febbraio 1734...
il signor Antonio fu Mattio Ston, Pittor di anni 46 c. Morì alle ore 12»
(De Zucco,1976, p. 49), fissando approssimativamente la sua data di
nascita al 1688. Il Mauroner (1947) citava un gruppo di sopraporte già
esistenti nel Palazzo Priuli a Piove di Sacco, documentate da un
inventario come di Zuane, Tonin e Matteo Stom. Tale citazione
inventariale nega evidentemente la possibilità che quel Matteo sia lo
stesso citato dall'Orlandi e morto a Verona nel 1702.
Scrivevo nel 1960 che mi era stato possibile vedere alcune sopraporte
«firmate a tergo da Antonio Stom, ora passate in una collezione privata
bolognese. Si tratta di un gruppo di sei scene di vita veneziana (`La
Regata', `Il ponte dei pugni', `La festa della Sensa in Piazzetta', `La
corsa dei tori', `Il Parlatorio' ed `Il Ridotto'), di grande interesse
nell'unire la tradizione vedutistica dello Heintz al gusto nuovo della
macchietta del Carlevarijs, realizzando brani vedutistici od interni
gustosissimi per l'estro indiavolato della pennellata di tocco, per la
mise en page prospetticamente anacolutica, ma fantasiosa e bizzarra, per
la caratterizzazione estrosa delle macchiette. Insomma un brio
narrativo, una spigliatezza nell'abbozzare situazioni inventive
specialmente negli interni (`Il Ridotto' ed `Il Parlatorio') da
costituire precedenti essenziali per il gusto guardesco» (Pallucchini,
1960, p. 42). Purtroppo non mi fu possibile avere delle fotografie di
tali opere, ora di ubicazione ignota. Ma si trattava di teleri
certamente della stessa mano che ha dipinto quel gruppo pubblicato dal
Morassi in «Pantheon» nel 1962 #con il titolo Preludio per Antonino Stom,
detto «il Tonino». La definizione critica che il Morassi dà del gusto
pittorico di Antonino Stom mi sembra ineccepibile: «fu pittore di
paesaggi, di vedute, di battaglie, di quadri di fantasia e `capricci',
ma soprattutto fu un grande `compositore' di scene storiche, un
evocatore incredibilmente dotato di avvenimenti, cerimonie, fatti
memorabili: insomma un `reporter' pittorico ante litteram e in grande
stile» (Morassi, 1962, p. 291).
Partendo dal gruppo di dipinti che il Mauroner aveva segnalato a Palazzo
Priuli, il Morassi raggruppa tutta una serie di opere caratterizzate da
un impianto pittorico ad impasto grasso, a pennellate larghe, quasi
usasse la spatola anziché il pennello. Le forme create dal pittore
mancano di nitidi contorni, mentre le figure sono macchie di colore; le
composizioni non hanno quella nitida struttura architettonica che
caratterizza il gusto del Carlevarijs. Anzitutto il Morassi restituisce
ad Antonio Stom alcune vedute veneziane che erano passate sotto altri
nomi (come il Carlevarijs, il «Maestro della Fiera degli Argentieri»
ecc.), quali appunto la Fiera degli Argentieri già della raccolta del
conte Cella di Broni, la Fiera in piazza San Marco della Galleria
Estense di Modena, una vasta Piazza San Marco con la Basilica Marciana e
il Palazzo Ducale sulla sinistra passata sul mercato antiquario romano.
Quest’ultima veduta, certo derivazione da impianti prospettici alla
Carlevarijs, è di un interesse particolare, essendo databile al 1723 in
quanto in tale anno si sta rifacendo la pavimentazione della piazza
(sostituendo ai mattoni a spina di pesce lastre di pietra a fasce
bianche). Il Morassi ha fatto conoscere una veduta dello Stom (Roma,
collezione privata) che abbandona la tematica ufficiale della piazza San
Marco e dintorni, per cogliere ed interpretare luoghi meno noti della
città. L'impostazione anacolutica rispetto alle regole prospettiche del
Carlevarijs, imprime un carattere gustoso alla Veduta del Canal Grande
con la Riva del Vin tanto nell'ammassarsi delle architetture sbilenche
sulla riva, quanto per il cumulo disordinato delle imbarcazioni. La
veduta è costruita con una materia pittorica grassa, che prelude a
quella che adotterà nella sua carriera Michele Marieschi. Anche nella
resa delle imbarcazioni, dove tra l'altro è venuto a sostare un
«burchiello», manca il senso dello spazio, sostituito dal gremirsi
senz'ordine di cose e figure. Lo Zampetti, nel 1954, dando notizia del
lascito da parte del conte Alvise Mocenigo al Comune di Venezia del
palazzo omonimo di San Stae, poneva l'accento sulla serie dei teleri
dove sono narrati eventi storici relativi alla famiglia sia all'aperto
come negli interni, mettendone in rilievo la scioltezza narrativa ed
avvicinandoli al «Maestro della Fiera degli Argentieri»; qualche anno
dopo il Morassi li restituiva ad Antonio Stom. La prima grande tela (300
x 500 cm) rappresenta l'Ingresso dell'ambasciatore Alvise II Mocenigo a
Costantinopoli. La sfilata del corteo di dignitari, soldati,
cavalleggeri turchi, accompagnato da cavalieri veneti che si svolge
lungo la costa del Bosforo si riferisce ad un avvenimento de1 1709.
Fa da pendant un'altra grande scena che dovrebbe rappresentare l'Arrivo
di un principe svedese a Chioggia, ma che è esemplato, con lievi
varianti, su quella di Luca Carlevarijs oggi alla Staatsgalerie di
Schleissheim raffigurante il Ricevimento degli ambasciatori veneziani
Nicolò Erizzo e Alvise Pisani alla Tower di Londra del 1707. È’ un fatto
inspiegabile che lo Stom abbia plagiato un telero del Carlevarijs in
modo così sfacciato.
Il De Zucco (1976), rettificando su basi storiche il tema proposto dal
Morassi (1962) per gli altri tre teleri, ritiene che il primo
rappresenti l'Entrata a Verona di Violante de' Medici avvenuta nel 1717.
Lo Stom non ha certo le preoccupazioni del Carlevarijs, che, impaginando
le sue vedute su basi prospettiche, è tenuto a rispettare la realtà
topografica dei luoghi: cosicché, eliminando edifici che non interessano
il suo assunto, assembla piazza delle Erbe, Porta dei Borsari e Palazzo
Carlotti (dove venne appunto alloggiata l'ospite), e qui ambienta il
corteo, che, tra ali di folla, scorta la principessa. Gli altri due
teleri sono intonati sul notturno l'uno, alla luce delle fiaccole, che a
destra sotto ai porticati imprime un aspetto fantastico all'arrivo del
corteo nel cortile di Palazzo Carlotti, mentre l'altro, un interno,
assume un aspetto, féerique per i candelabri splendenti appesi al
soffitto, che si divarica in modo assurdo dal pavimento. La precisazione
cronologica del 1717 offerta dal De Zucco in merito ai teleri Mocenigo
(almeno quelli relativi all'accoglienza veronese della principessa
medicea) è certo notevole, anche perché nello stesso anno il maresciallo
von der Schulenburg acquista due prospettive di Stom, l'una raffigurante
l'Attacco di Prenesa e Vonizza, l'altra l'Attacco di Dolcigno (Morassi,
1962, p. 291), che varrebbe la pena di rintracciare. Nato nel 1688, è
probabile che Antonio, forse avviato all'arte nell'ambito della bottega
artigianale di famiglia, inizi la sua attività nel primo decennio del
Settecento nel campo della veduta, come nel genere documentario,
sentendo l'ascendente del Carlevarijs e dello Eismann. Il Morassi
ipotizzava anche un contatto con il Marieschi, per subito dichiarare:
«Ma resta da provare se la somiglianza delle opere stomiane con quelle
di Michele Marieschi risalga all'influsso del veneziano
sull'alto-atesino o non sia invece il contrario, come io, di fatto, non
dubito sia» (Morassi, 1962, p. 294). E le ricerche del De Zucco gli han
dato ragione, dovendosi anticipare l'attività dello Stom, che chiude la
sua esistenza quando il Marieschi inizia la sua, cioè agli inizi del
quarto decennio. Non mi pare dubbio che Antonio Stom per quanto riguarda
il paesaggio di fantasia, cioè la veduta ideata, per lo più con porti di
mare, con rive costiere cosparse di reperti monumentali romani, si
appoggi a Johann Anton Eismann, che apre bottega a Venezia tra il 1685
ed il 1700; mentre invece per quanto riguarda la veduta relativa agli
aspetti della città, o documentaria, abbia tratto il massimo vantaggio
dall'insegnamento del Carlevarijs. Tranne quanto proveniva dalla
fantasia incisoria callottiana, che è un dato di cultura presente anche
nella formazione del Carlevarijs, è inutile scomodare pittori di altre
tradizioni per spiegare il gusto estroso di Antonio Stom nel montaggio
delle sue fantasie vedutistiche. Come ha osservato il Morassi: «Quel che
è certo è che anche nel campo del Paesaggio di fantasia Tonino presenta
una sua individualità, un suo carattere inconfondibile» (Morassi, 1962,
p. 294). Ecco la Veduta ideata o Capriccio con monumenti, una fontana a
sinistra nell'interno di un anfiteatro (che il Morassi, 1962, fig. 9,
diceva firmato), con il suo pendant non meno gustoso, anche questo con
un edificio romano a pianta centrale ed un obelisco in primo piano, con
attorno ruderi classici, ambedue oggi di ubicazione ignota. In alcuni
casi il motivo dei ruderi si accoppia a quello dei porti di mare, ma
senza mai un ordine prospettico, rasentando talvolta il grottesco; come
denota la Veduta ideata di un porto di mare, già della collezione Galli
a Carate Brianza, che, pur ricordando esempi del Carlevarijs, del
Canaletto e del Marieschi, riesce ad assumere una personale fisionomia
di stile per il senso decorativo che ha l'immagine nel suo complesso.
Anche la macchietta stomiana, realizzata a segmenti e a spigoli di luci,
partecipa a tale esasperata stilizzazione formale. In altri casi prevale
il taglio pittoresco della baia marina, costeggiata da rive con ruderi,
animata da imbarcazioni e macchiette, dove spesso al concitato
chiaroscuro degli elementi architettonici, si contrappongono sfondi di
cieli luminosi. Di questo tipo di immaginazione, dove il rudere si
assottiglia per divenire semplice décor, è il Mercato del pesce, di
ubicazione ignota (pubblicato dal De Zucco, 1976), pittorescamente
inscenato sulla riva, dove la veduta ideata confina con la scena di
genere. Agli inizi della sua carriera, il Canaletto, dopo il ritorno da
Roma, cioè verso o dopo il 1720, dopo aver « sconfessato la
scenografia», viene realizzando tutta una tematica ispirata al
rovinismo, inscenando monumenti classici, cioè una tematica affine a
quella che viene realizzando, con un istinto più violento e disordinato,
Antonio Stom e che più tardi verrà ripresa non solo dal Marieschi, ma da
Francesco Guardi: quel culto dell'antichità che nel Piranesi avrà il suo
poeta più significativo. Quel che sorprende nello Stom è l'infatuazione
del rudere antico, sempre evocato in modo goffo, che diviene veramente
un leitmotiv, e talvolta si carica di elementi un poco grotteschi.
Insomma un petit-mâitre, Tonino Stom, di spiriti popolari, che nel
quadro della cultura pittorica veneta del primo trentennio del secolo ha
un suo particolare significato.
(Rodolfo Palucchini)
La Pittura Veneziana del Settecento (1990)