Sebastiano Ricci è di certo “uno dei
maestri più significativi della svolta in senso rococò della cultura
figurativa veneziana del primo Settecento. Assieme a Gianantonio
Pellegrini e Jacopo Amigoni, il bellunese va costituendo una visione del
tutto nuova, sia nell’impiego dei mezzi espressivi come nello spirito
decorativo, che assume un aspetto tipicamente rococò tanto nella grande
decorazione come nel quadro di cavalletto” (Pallucchini 1981).
Dopo un primo apprendistato fra le lagune, la sua attenzione è attratta
dalla pittura decorativa dei bolognesi e da quella del Correggio. A Roma
inoltre studia le grandi decorazioni barocche, di Annibale Carracci,
Pietro da Cortona e del Baciccia. Ciò gli dà modo di sperimentare una
sintassi illusionistica più avanzata, evidente nell’affresco di Palazzo
Colonna con la Glorificazione di Marcantonio Colonna. In quest’opera la
schiaritura del colore e la vibrazione della pennellata, unite alla
freschezza della sua fantasia, pervasa talvolta da un sensuale
decorativismo, imprimono alla narrazione un dinamismo spaziale più
aperto e brioso. L’affresco romano inoltre “rivela con evidenza nuova
quanto felicemente il Ricci fosse predisposto ad inserirsi come
personaggio di primo piano in quella crisi del gusto che di tanto
distanziò l’ultimo Seicento dalle prime decadi del secolo seguente e
della quale egli stesso segnò in Palazzo Marucelli a Firenze la più
eletta fase risolutiva; predisposto bensì dalle sue doti innate di
eccellente decoratore, quali la fantasia agile, spiritosa e prensile,
l’esatta intuizione del gradevole, il senso del rapporto efficace tra
spazio e figura, l’ampio registro del colorito” (De Vito Battaglia
1958).
Egli fu il “primo dei pittori veneti viaggianti”, seppur incline
“all’imitazione, quasi ad inganno, dei più vari precedenti pittorici”,
riuscì comunque a dilatare “la sua cultura fino a farsi europeo, bene
intendendo che da un secolo ogni nuova idea figurativa aveva assunto
validità europea. Il Ricci è, per esempio, il primo ad accorgersi che i
più validi soffitti della fine del secolo non sono quelli del Fumiani a
San Pantalon, ma quelli di Luca Giordano a Firenze o alla Certosa di
Napoli o a Madrid. Per questa buona via, già sui primi del Settecento,
dopo le intense anticipazioni dei genovesi, ma ancora prima dei
francesi, egli riesce a inaugurare il cosiddetto ‘rococò’ nella saletta
di Palazzo Pitti o nelle volte di Palazzo Marucelli” (Longhi 1946).
“Quando nei primissimi anni del secolo, dopo vent’anni di
peregrinazioni, ricompare fra le lagune, tale ritorno vale una
rivoluzione. Non è una di quelle periodiche iniezioni di maniere
forestiere, alle quali la cultura pittorica veneziana s’era da tempo
assuefatta e che dopo, la reazione iniziale, finivano per essere
respinte al margine o assimilate senza beneficio. È una medicina
salutare e duratura, i cui effetti si faranno sentire almeno fino
all’esaurimento del ciclo settecentesco. Perché Sebastiano non era uno
piovuto di fuori, non era estraneo alla tradizione locale, ma in essa
anzi affondava le proprie radici; ed ora tornava dopo essersi messo al
passo con i portati più moderni di quelle culture meno ‘chiuse’, in cui
s’era imbattuto nei suoi pellegrinaggi” (Gioseffi 1956). Egli,
“appoggiandosi per primo alla splendida arte del Veronese, fece
prevalere un nuovo ideale coloristico, quello della chiara e ricca
bellezza coloristica: in ciò preparò la via a G. B. Tiepolo” (Derschau
1922).
“Se la decorazione della Cappella del SS. Sacramento di S. Giustina,
condotta molto probabilmente nell’estate del 1700, è una ‘summa’ un poco
arida delle esperienze emiliano-romane, la pala con S. Gregorio Magno
invocante la Vergine per la cessazione della peste a Roma, esposta
sull’altare della basilica di S. Giustina di Padova il 24 agosto 1700
assume l’importanza di un manifesto programmatico con il quale il
bellunese dà la prova di come sappia innestare le sue esperienze del
barocco emiliano-romano sulla tradizione pittorica veneta. La pala si
caratterizza per la sua novità strutturale, che lascia libera una
luminosa zona di cielo d’un azzurro veronesiano, a contrasto con i toni
caldi del gruppo di figure sottostanti. Riprendendo spunti già
sviluppati nella serie dei Fasti farnesiani, il Ricci ora è in grado di
piegare il tessuto formale ad un contrappunto di ombre e luci, quasi
scorporandolo in un gioco di vibrazioni incessanti” (Pallucchini 1981).
Del 1708 è la Madonna in trono e Santi della chiesa di San Giorgio
Maggiore a Venezia, “opera squisitamente orchestrata su tonalità
chiarissime, dipinta con una pennellata leggera e franta” (D’Arcais
1968), mentre nelle Nozze di Cana di Kansas City, firmata «Riccius F.»,
palese è “la desunzione tematica e compositiva dalle omonime tele del
Veronese, in particolare dalla versione più celebre, originariamente nel
refettorio del monastero di San Giorgio Maggiore a Venezia e oggi al
Louvre. La donna in primo piano all’estrema sinistra deriva dal Miracolo
dello schiavo del Tintoretto (Venezia, Gallerie dell’Accademia), mentre
l’uomo obeso alle spalle di Cristo è con ogni probabilità un
autoritratto dell’artista” (Daniels 1976).
“Mentre si affacciano i nuovi protagonisti della scena pittorica
veneziana ed europea, a volte in Sebastiano Ricci, soprattutto nelle
opere chiesastiche (Venezia, già nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano;
Torino, basilica di Superga), si avvertono segni di stanchezza
accademizzante. Ma ancora nei bozzetti e nelle pale d’altare della
chiesa di Sant’Alessandro a Bergamo (1731), della chiesa di San Rocco a
Venezia e nella stessa grande Assunzione commessa dalla corte di Vienna
per la Karlskirche, alla quale, dopo averne preparato la stupenda prima
idea (Budapest, Szépmüészeti Mùzeum) si applica con gli aiuti negli
ultimi mesi di vita, Sebastiano si conferma uno dei maggiori
protagonisti della civiltà figurativa cosmopolita del primo Settecento
in Europa, capace di esprimere con affascinante vivezza gli ideali di
svaporata leggerezza che sono una delle componenti, e non certo la
minore, di quel secolo. [...] Dalla «facilità» pittorica di Sebastiano
Ricci, elegante nel disegno e festosa nel colore, traggono soprattutto
alimento i maggiori pittori di storia sacra e profana: a Venezia il
Pellegrini, Giambattista Tiepolo, Gian Antonio Guardi; in Austria Paul
Troger e il Maulbertsch; a Parigi François Lemoyne, il Boucher,
Fragonard; e a Londra i grandi ritrattisti, da Hogarth a Gainsborough” (Valcanover
1995).