Sebastiano Ricci (Belluno 1659 – Venezia 1734)

 

 

Sebastiano Ricci è di certo “uno dei maestri più significativi della svolta in senso rococò della cultura figurativa veneziana del primo Settecento. Assieme a Gianantonio Pellegrini e Jacopo Amigoni, il bellunese va costituendo una visione del tutto nuova, sia nell’impiego dei mezzi espressivi come nello spirito decorativo, che assume un aspetto tipicamente rococò tanto nella grande decorazione come nel quadro di cavalletto” (Pallucchini 1981).
Dopo un primo apprendistato fra le lagune, la sua attenzione è attratta dalla pittura decorativa dei bolognesi e da quella del Correggio. A Roma inoltre studia le grandi decorazioni barocche, di Annibale Carracci, Pietro da Cortona e del Baciccia. Ciò gli dà modo di sperimentare una sintassi illusionistica più avanzata, evidente nell’affresco di Palazzo Colonna con la Glorificazione di Marcantonio Colonna. In quest’opera la schiaritura del colore e la vibrazione della pennellata, unite alla freschezza della sua fantasia, pervasa talvolta da un sensuale decorativismo, imprimono alla narrazione un dinamismo spaziale più aperto e brioso. L’affresco romano inoltre “rivela con evidenza nuova quanto felicemente il Ricci fosse predisposto ad inserirsi come personaggio di primo piano in quella crisi del gusto che di tanto distanziò l’ultimo Seicento dalle prime decadi del secolo seguente e della quale egli stesso segnò in Palazzo Marucelli a Firenze la più eletta fase risolutiva; predisposto bensì dalle sue doti innate di eccellente decoratore, quali la fantasia agile, spiritosa e prensile, l’esatta intuizione del gradevole, il senso del rapporto efficace tra spazio e figura, l’ampio registro del colorito” (De Vito Battaglia 1958).
Egli fu il “primo dei pittori veneti viaggianti”, seppur incline “all’imitazione, quasi ad inganno, dei più vari precedenti pittorici”, riuscì comunque a dilatare “la sua cultura fino a farsi europeo, bene intendendo che da un secolo ogni nuova idea figurativa aveva assunto validità europea. Il Ricci è, per esempio, il primo ad accorgersi che i più validi soffitti della fine del secolo non sono quelli del Fumiani a San Pantalon, ma quelli di Luca Giordano a Firenze o alla Certosa di Napoli o a Madrid. Per questa buona via, già sui primi del Settecento, dopo le intense anticipazioni dei genovesi, ma ancora prima dei francesi, egli riesce a inaugurare il cosiddetto ‘rococò’ nella saletta di Palazzo Pitti o nelle volte di Palazzo Marucelli” (Longhi 1946).
“Quando nei primissimi anni del secolo, dopo vent’anni di peregrinazioni, ricompare fra le lagune, tale ritorno vale una rivoluzione. Non è una di quelle periodiche iniezioni di maniere forestiere, alle quali la cultura pittorica veneziana s’era da tempo assuefatta e che dopo, la reazione iniziale, finivano per essere respinte al margine o assimilate senza beneficio. È una medicina salutare e duratura, i cui effetti si faranno sentire almeno fino all’esaurimento del ciclo settecentesco. Perché Sebastiano non era uno piovuto di fuori, non era estraneo alla tradizione locale, ma in essa anzi affondava le proprie radici; ed ora tornava dopo essersi messo al passo con i portati più moderni di quelle culture meno ‘chiuse’, in cui s’era imbattuto nei suoi pellegrinaggi” (Gioseffi 1956). Egli, “appoggiandosi per primo alla splendida arte del Veronese, fece prevalere un nuovo ideale coloristico, quello della chiara e ricca bellezza coloristica: in ciò preparò la via a G. B. Tiepolo” (Derschau 1922).   
“Se la decorazione della Cappella del SS. Sacramento di S. Giustina, condotta molto probabilmente nell’estate del 1700, è una ‘summa’ un poco arida delle esperienze emiliano-romane, la pala con S. Gregorio Magno invocante la Vergine per la cessazione della peste a Roma, esposta sull’altare della basilica di S. Giustina di Padova il 24 agosto 1700 assume l’importanza di un manifesto programmatico con il quale il bellunese dà la prova di come sappia innestare le sue esperienze del barocco emiliano-romano sulla tradizione pitto­rica veneta. La pala si caratterizza per la sua novità strutturale, che lascia libera una luminosa zona di cielo d’un azzurro veronesiano, a contrasto con i toni caldi del gruppo di figure sottostanti. Riprendendo spunti già sviluppati nella serie dei Fasti farnesiani, il Ricci ora è in grado di piegare il tessuto formale ad un contrappunto di ombre e luci, quasi scorporandolo in un gioco di vibrazioni incessanti” (Pallucchini 1981).
Del 1708 è la Madonna in trono e Santi della chiesa di San Giorgio Maggiore a Venezia, “opera squisitamente orchestrata su tonalità chiarissime, dipinta con una pennellata leggera e franta” (D’Arcais 1968), mentre nelle Nozze di Cana di Kansas City, firmata «Riccius F.», palese è “la desunzione tematica e compositiva dalle omonime tele del Veronese, in particolare dalla versione più celebre, originariamente nel refettorio del monastero di San Giorgio Maggiore a Venezia e oggi al Louvre. La donna in primo piano all’estrema sinistra deriva dal Miracolo dello schiavo del Tintoretto (Venezia, Gallerie dell’Accademia), mentre l’uomo obeso alle spalle di Cristo è con ogni probabilità un autoritratto dell’artista” (Daniels 1976). 
“Mentre si affacciano i nuovi protagonisti della scena pittorica veneziana ed europea, a volte in Sebastiano Ricci, soprattutto nelle opere chiesastiche (Venezia, già nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano; Torino, basilica di Superga), si avvertono segni di stanchezza accademizzante. Ma ancora nei bozzetti e nelle pale d’altare della chiesa di Sant’Alessandro a Bergamo (1731), della chiesa di San Rocco a Venezia e nella stessa grande Assunzione commessa dalla corte di Vienna per la Karlskirche, alla quale, dopo averne preparato la stupenda prima idea (Budapest, Szépmüészeti Mùzeum) si applica con gli aiuti negli ultimi mesi di vita, Sebastiano si conferma uno dei maggiori protagonisti della civiltà figurativa cosmopolita del primo Settecento in Europa, capace di esprimere con affascinante vivezza gli ideali di svaporata leggerezza che sono una delle componenti, e non certo la minore, di quel secolo. [...] Dalla «facilità» pittorica di Sebastiano Ricci, elegante nel disegno e festosa nel colore, traggono soprattutto alimento i maggiori pittori di storia sacra e profana: a Venezia il Pellegrini, Giambattista Tiepolo, Gian Antonio Guardi; in Austria Paul Troger e il Maulbertsch; a Parigi François Lemoyne, il Boucher, Fragonard; e a Londra i grandi ritrattisti, da Hogarth a Gainsborough” (Valcanover 1995).
 
Daniele D'Anza