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Giambattista Pittoni (Venezia 1687 - 1767) - lo stile pittorico

 

Da principio fu allievo e collaboratore dello zio Francesco Pittoni, artista di gusto giordanesco, con il quale divise la paternità di alcune opere: sicuramente l’Adorazione dei pastori della parrocchiale di Borgo San Marco di Montagnana (Padova). Tra i due “non può essere che il maestro più giovane ad avvertire il suggerimento balestriano evidente nel brano con la Vergine e il Bambino, [...] Giambattista lo rielabora secondo una formula ancora incerta che verrà specificandosi in uno schema personalizzato solo più tardi” (Zava Boccazzi 1979). Infatti “quel tanto di extra veneziano che si infiltra nel gusto del Pittoni, cioè la tendenza a risolvere in plastica flessuosamente sciolta ogni impulso di colore e di luce è indubbiamente un’eredità balestriana” (Pallucchini 1960).
Successivamente, il marcato metro chiaroscurale, percepibile nel Supplizio di San Tomaso della chiesa veneziana di San Stae, palesa un avvicinamento ai modi del Piazzetta. Sarà però il modellato forte di Sebastiano Ricci e il colore luminoso di Giambattista Tiepolo ad attirarne poco dopo l’attenzione, definendone la cifra stilistica. “Nasce così quell’allegretto pittoniano scoppiettante e talvolta pettegolo: audacemente vivace e minuto al tempo stesso, che pur senza giungere ad una profonda commozione figurativa, ha una sua coerenza pittorica. Si va meglio concretando la mimica pittoniana, sempre più agitata, melodrammatica e teatrale, che si basa sui più sottili moti fisionomici e sui gesti delle mani. Profili fuggenti e fauneschi, tre quarti inclinati, nasi spioventi ed appuntiti, mani scattanti ed articolate in un gioco serratissimo, sono elementi resi da un senso plastico e lineare davvero insolito per l’arte veneziana e collaudato al banco di una continua esperienza disegnativa” (Pallucchini 1951).  
Il dipinto con Diana e le ninfe del Museo civico di Vicenza, di certo uno tra i più noti dell’artista, “gli valse, per il suo grado qualitativo, per il gusto particolare, e le molto personalizzate caratteristiche formali, il maggiore apprezzamento e la valutazione quale uno degli esponenti della pittura rococò europea. [...] Nelle grazie femminili ridenti e piccanti” si è indotti a scorgere “addirittura una qualche analogia col mondo di Boucher nella particolare stimolazione visiva dell’immagine, prodotta dal modellato «finito» e pungente, congiunto a un colorismo gaio, giocato sui chiari, estremamente gradevole. [...] La figura umana, comunque, evocata tra mito e realtà, nell’incanto dell’apparizione muove in un tempo lentissimo, plasmata come in materia preziosa entro il dipanarsi in volute decorative delle sete. [...] L’assunto paesaggistico, col corso d’acqua che divide in due gruppi opposti la composizione, promuove nel degradare di piani dalla quinta arborea a sinistra in spazio aperto, il luogo lontano per l’episodio di Atteone sbranato dai cani: un dettaglio secondario, di puro valore narrativo che non turba la sorridente serenità dell’immagine” (Zava Boccazzi 1979). La silouette del volto di Diana, inoltre, “si delinea secondo la più diffusa formula pittoniana adottata per varie figure femminili” (Zava Boccazzi)
Altra opera nota, stavolta di soggetto sacro, è la pala con La Madonna col Bambino e i Santi Pietro, Paolo e Pio V della chiesa di Santa Corona a Vicenza, dove il vigoroso impianto chiaroscurale non frena il ritmo compositivo “zigzagante”, ma anzi ne esalta la luminosa stesura pittorica. È questa una pittura devozionale nella quale la preziosità del colore, a tratti vera e propria fragranza cromatica, partecipa allo spirito e al gusto del rococò.        
In definitiva, citando un suo contemporaneo, possiamo dire che Giambattista Pittoni è autore “d’uno stile suo originale, pieno di pittoreschi vezzi, di gentilezza e di amenità” (Zanetti 1771).

 

 

Daniele D'Anza

 

maggio 2005