Michele Marieschi (Venezia 1710 - 1744) - lo stile pittorico
“Chi fu veramente Michele Marieschi? La ricostruzione della sua
personalità artistica costituisce uno dei casi più appassionanti,
dibattuti ed intricati nella storia dell’arte veneziana del Settecento.
Già durante la brevissima esistenza le vedute veneziane di Marieschi
venivano acquistate – come ormai risulta documentalmente provato – dagli
amatori inglesi durante il rituale Grand Tour e da blasonati
connoisseurs come il Feldmaresciallo Mathias von der Schulenburg (il
comandante in capo delle armate della Serenissima), quali capolavori di
Antonio Canal detto il Canaletto. Dopo la morte precoce, un oscuro
apprendista della bottega di Marieschi, di nome Francesco Albotto, sposò
la vedova di Michele nel 1744 e sfornò per tre lustri (fino al 1757) una
insidiosa produzione strettamente aderente allo stile del maestro,
giungendo fino al punto di farsi chiamare «il secondo Marieschi». Per
complicare ulteriormente le cose nel 1711 nacque a Venezia un altro
pittore con lo stesso cognome (Jacopo Marieschi) il quale visse assai
più a lungo – fino al 1794 – e frequentò la bottega di quello stesso
Gaspare Diziani che fu in stretti rapporti anche con Michele” (Succi
1989).
Va detto subito che Marieschi “è un pittore che si esprime tanto nel
genere reale della veduta prospettica, di cui ci ha lasciato un
campionario di incisioni di alta qualità [Magnificentiores
Selectioresque Urbis Venetiarum Prospectus], come in quello fantastico
della veduta ideata o capriccio. Evidentemente istradato dagli esempi
canalettiani, ha presto raggiunto una sua indipendente visione
espressiva, d’un pittoricismo intensamente goduto nel senso materico; e
al tempo stesso in rapporto con il gusto teatrale della sua
rappresentazione, mediante l’impiego di macchiette recitanti che
occupano i primi piani delle sue vedute. [...] Si potrebbe dire che
quasi tutte le Vedute del nostro artista siano precedute da invenzioni
canalettiane. Ma mentre il Canaletto si avvale del telaio prospettico
per condensare quella sua luce magicamente temporalizzata, creando, dopo
gli olandesi del Seicento, i primi plein air della pittura italiana, il
Marieschi accentra il suo interesse sul racconto scenografico, dimodoché
le sue Vedute sono tessute per lo più su una spazialità ridotta,
costruita su quinte successive, come su un palcoscenico. Esse vanno
gustate soprattutto nei particolari: la saporosità d’un muro scrostato,
la vibrazione d’un intonaco slabbrato accarezzato dalla luce, un
pavimento a spina di pesce, un gruppo di case in lontananza velate
dall’aria e ridotte a tessere di mosaico, son tutte occasioni per la
ricerca minuta del «materico» più imprevisto. Mentre si potrebbe dire
che la veduta canalettiana tende alla classicità, quella del Marieschi è
essenzialmente decorativa, portata al racconto episodico preottocentesco”
(Pallucchini 1995).
“Una pennellata veloce e ricca di giochi di ombra e di luce caratterizza
le vedute dell’artista; questo gusto per il pittoresco lo porta ad
anticipare per taluni lati la sensibilità del Piranesi, quando
costruisce vedute di interni, che si animano e diventano più complesse
nel gioco dei vari piani e delle scalinate” (D’Arcais 1966).
Nei suoi capricci inoltre, “in un clima surreale e nostalgico s’inverano
poetiche invenzioni fra fantasia e realtà, prodotte da un senso teatrale
spiccatissimo ed è proprio sotto questo aspetto che gli anni
giovanili del Marieschi ritornano ora fecondi di nuovi pensieri
pittorici” (Morassi 1966). In tali dipinti, animati da gustose
macchiette nelle quali appare già il segno del gusto guardesco, “poté
meglio esprimere il suo estro immaginoso e fervido, vibrante di luce e
di colore” (Lorenzetti 1942).
Per quanto riguarda la cronologia delle opere, “non esiste nemmeno una
veduta dipinta da Marieschi che, sulla base di riscontri topografici o
documentari, sia databile con certezza prima del 1735, tutto porta a
ritenere che l’artista, seguendo del resto lo stesso itinerario percorso
da Canaletto, affiancasse, all’inizio degli anni trenta l’attività di
scenografo-macchinista con quella di pittore di capricci, e che solo in
un secondo momento si dedicasse al vedutismo, influenzato dalla fama
folgorante che Canaletto andava acquisendo in quella specialità. Subito
dopo la metà del quarto decennio si verificò infatti un mutamento di
rotta e la produzione di vedute prevalse nettamente su quella di
capricci” (Succi 1989).
“L’indagine prospettica di Marieschi sembra profondamente caratterizzata
dall’impiego della camera oscura con obiettivo quadrangolare, tale da
poter abbracciare un campo visivo molto superiore a quello normalmente
determinato dallo sguardo umano. Basta girare Venezia con le
riproduzioni delle sue incisioni e dei suoi dipinti, e confrontare le
opere con la realtà fisica della città, per capire da una parte la cura
dedicata ai particolari architettonici e dall’altra la forzatura dei
tagli. Questi, stabiliti sicuramente grazie alla camera ottica,
riflettono anche, nella scelta molto angolata dei punti di vista, la
base culturale di Michele Marieschi, che è quella della scenografia
teatrale. Ne risulta un movimento dinamico che coinvolge visualmente chi
guarda le sue opere. Il loro magnetismo, desunto dalla concentrazione in
un’immagine bidimensionale d’una realtà prospettica che a volte supera i
centottanta gradi, procura un sentimento di libertà, di avventurosa
spazialità. La rivelazione di questo sentimento costituisce il grande
contributo di Michele Marieschi all’indagine vedutistica” (Toledano
1988).