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Giambattista Crosato (Treviso 1697 c. – Venezia 1758) - lo stile pittorico

 

 

 

Giambattista Crosato si forma a Venezia a contatto con i grandi decoratori attivi al principio del secolo, quali Sebastiano Ricci e Giovanni Antonio Pellegrini. La sua pittura si qualifica però in una definizione formale più risentita, forse dedotta dagli esempi di Piazzetta o di Giuseppe Maria Crespi.
A Torino, nelle decorazioni della palazzina di Stupinigi e in quelle del salone di Villa della Regina (1732-1733 c.), l’artista sfoggia un gusto fresco e splendente, dai cieli luminosi e dalle forme solide e ben definite, in linea con l’azione rinnovatrice che era in corso a Venezia, soprattutto per merito del giovane Tiepolo.
Probabilmente fra aprile ed ottobre del 1733, esegue in Palazzo Reale a Torino una serie di pannelli di legno, con rappresentazioni mitologiche, dove “la stessa materia del legno concilia una formulazione ancor più calda, densa di aliti e di respiri. Ritmi esaltanti accendono la scioltezza ch’era propria dello stile rocaille: scatti che ravvivano ogni falda e accendono i movimenti contro le zonature del cielo. Una vitalità ora sommessa ora carica d’affetti rattenuti e sull'orlo di sbocciare in ma­linconia” (Griseri 1961). La componente estrosa del suo linguaggio, più volte sottolineata dagli studiosi, rivela “quella mimica da balletto che anima, come una scarica elettrizzante, tanta parte della sua produzione” (Pavanello 1997). 
Nel Transito di San Giuseppe della chiesa di Santa Giustina di Monselice, si scorge quella «specie» di angioletti e cherubini “sciamanti con il Padreterno nella stanza disadorna, fra vapori luminosi, per un’anticipazione di Paradiso: quelle testine stempiate o con ciuffi di capelli scomposti, quelle fisionomie a un tempo tenere e argute”. In questo caso l’artista “stempera la sua estrosità in una vena di flebile patetismo, di accorata tenerezza. Senza perdere il gusto per un segno nitido, prensile, egli par risentire della «maniera delicatissima» di Amigoni, mentre si direbbe abbia acceso la vampata rosso-arancio del drappo dell’angioletto in primo piano, intento a reggere la verga del santo, agli ultimi fuochi di Pellegrini” (Mariuz 1993).
Nella pala raffigurante la Madonna con il Bambino, Sant’Antonio da Padova e un santo vescovo (Roma, Pinacoteca Vaticana), “pur nei condizionamenti del dipinto devozionale e nel campo ristretto che gli è assegnato, Crosato dà prova della sua arguzia inventiva e stilistica, finalizzata a catturare l’attenzione dell’osservatore: egli moltiplica i poli d’attrazione per una lettura dinamizzata, aperta, propriamente « divertita ». Si consideri il basamento che sostiene la Vergine col Bambino, animato dall’inserto plastico della testina calva di putto: la ripresa per angolo, lievemente scorciata dal basso, imprime uno scatto alla struttura compositiva, la innerva. Ma tutta l’opera è improntata a un senso di vivacità e d’immediatezza: come se, sopraggiunti in anticipo, sorprendessimo la «sacra conversazione» quando ancora si svolge in un clima d’affabilità domestica, prima che ciascun personaggio abbia avuto il tempo d’atteggiarsi con tutto il decoro richiesto dalla parte: il Bambino si è impadronito del giglio di sant’Antonio, un angioletto si trastulla con il pastorale, mentre il giovane vescovo (giacché tutti son giovani, o infanti in questo celeste consenso) si è distratto dalla sua devozione al nostro arrivo inatteso” (Mariuz 1993).
La più importante impresa decorativa ad affresco, realizzata in laguna, fu certamente quella di Ca’ Rezzonico, dove, “preso lo spunto dal contorno del portale di entrata, raccolte entro un grandioso partito architettonico a colonne e a pilastri architravati, si aprono da ogni lato finte gallerie con statue e con rilievi, loggie e cupole, archi e volte” (Lorenzetti 1936), mentre sul soffitto vi è raffigurato Apollo e le quattro parti del mondo. Il grande virtuosismo scenografico e la festosa cromia di Crosato entrano così in uno dei più prestigiosi palazzi veneziani. “Capolavoro di decorazione tra i più splendidi e riusciti del Settecento, in cui la parte figurativa si lega mirabilmente con quella quadraturistico-prospettica creando un insieme sontuoso e armonico di grande effetto” (Martini 1982).

 

 

Daniele D'Anza

 

 

aprile 2005