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Giovanni Antonio Canal detto Canaletto (Venezia 1697 – 1768) - lo stile pittorico
Come ricordato da Zanetii (1771), l’artista una volta lasciato “il teatro, annojato dalla indiscretezza de’ Poeti drammatici” e trovandosi a Roma, “tutto si diede a dipingere vedute dal naturale. Bei soggetti ei trovò quivi nel genere spezialmente dell’antichità”. Sulla scorta di questa ed altre fonti Antonio Morassi (1956 e 1966) rese note alcune vedute ideate ed altre con rovine romane, sicuramente collocabili a ridosso della sua giovanile esperienza romana. Due di queste (Venezia, già collezione Cini) presentano grandiose rovine “suggestivamente impaginate con gusto scenografico alla Bibiena, ma calate in una drammatica partitura luminosa, inchiostrata d’ombra densa e affocata, attentissima al dato naturale, chiaramente «preromantica» sulle tracce dei pensieri di Salvator Rosa e soprattutto di Marco Ricci” (Valcanover 1982).
“D’altra parte a Venezia le vedute ideate di Marco Ricci costituivano
sempre esempi fecondi di insegnamento
anche per il giovane Canaletto.
Agli inizi della sua attività pittorica, ancora
a Roma, o in ogni caso appena tornato a Venezia
(dove figura nella Fraglia
del 1720), v'è tutta una
serie di vedute di soggetto
romano e di altre propriamente
«ideate», caratterizzate da una tensione
chiaroscurale molto accentuata, che si
differenziava dalla limpida intonazione vanvitelliana:
pur « scomunicando» la scenografia
il pittore ne accoglieva certi principi fondamentali
nel mettere in forma aspetti e situazioni
pittoresche di Roma, imprimendo
al monumento classico, degradato a rudere,
una intonazione fantastica già prepiranesiana.
Quella concitazione di effetti chiaroscurali
non derivava soltanto dalle ombre pesanti
del Codazzi, ma era il segno evidente che il
giovane pittore risentiva di quella corrente
di gusto, di carattere «tenebrista», che faceva
capo al Piazzetta, al
Bencovich, alla
Lama
e al primo
Tiepolo. [...]
Fin da queste prime tele la macchietta canalettiana
si caratterizza in modo originale:
sono figurette di ogni estrazione sociale, ma il più delle volte
tipizzate alla picaresca, si direbbe
improvvisate, come se recitassero
in un teatro dell’arte con modi pittorici
sciolti, corsivi, a colpi di luce, e con un ricordo
del mondo dei Bamboccianti” (Pallucchini 1994). Attorno al 1726 Owen McSwiney, subito dopo aver convinto l’artista a collaborare con Pittoni, Cimaroli e Piazzetta per la realizzazione di due tele con tombe allegoriche, dedicate ai personaggi celebri della storia inglese e commissionate dal duca di Richmond, lo spinse a dipingere per lo stesso committente due Vedute di Venezia su rame. “In queste opere di piccolo formato, spedite in Inghilterra nel 1727, il Canaletto abbandona i modi drammatici, fortemente chiaroscurati della sua fase giovanile, per rivolgersi a una luminosità intensa che esalta la precisione nella resa dei particolari della veduta e delle architetture che la compongono. Quanto abbia influito su questo ulteriore passaggio il consiglio di McSwiney non è facile dire; ma l’impressione è che il desiderio del mediatore di avere opere più consone al gusto degli acquirenti inglesi e quindi più precise topograficamente e accurate nella resa pittorica abbia trovato perfetta rispondenza nel pittore, accelerando un processo ormai in atto. Del resto proprio in questi stessi anni cominciavano a essere conosciute a Venezia le teorie scientifiche newtoniane sulla luce e sulla scomposizione dei colori da un lato e sullo spazio assoluto dall’altro; e pare del tutto credibile l’ipotesi di quanti ritengono che il giovane pittore possa aver conosciuto e apprezzato tali novità rivoluzionarie che giungevano dall’Inghilterra” (Pedrocco 1995).
Ha inizio così la produzione di quelle celebri
Venezie
dove il segno nitido e fermo ritrae l’incomparabile bellezza della
città. In questa nuova fase della sua attività “le vedute ideate e i capricci
passano dal loro status
marginale a
quello di molla segreta di tutta quanta l’opera”.
A volte infatti “gli
elementi conservano la loro identità, ma i rapporti che li uniscono
ricevono una nuova
organizzazione. [...] A volte i cambiamenti
sono minimi, e riguardano la
«piccola percezione»; a
volte si tratta invece di metamorfosi
considerevoli” (Corboz 1985). Canaletto insomma si stacca dalla
tradizione in modo quanto meno originale: “rinunciando alla rovina,
questo manipolatore abbandona l’evocazione vaga del tempo per operare
esclusivamente hic et nunc,
in altri termini sulle architetture contemporanee, tuttora in uso, d’una
città precisa, la sua” (Corboz 1985). Campione evidente di questa prassi
è la Veduta del bacino di San
Marco del Museum of Fine Arts di Boston, dove la chiesa e il
convento di San Giorgio, al centro del bacino, non guardano più verso la
Piazzetta e la Libreria marciana ma si ritrovano spostati di alcuni
gradi verso sinistra, ovvero verso il nostro punto di osservazione, per
meglio rispondere ad esigenze sceniche.
Si ha allora
“l’impressione precisa che Venezia sia stata davvero la musa geniale
della pittura canalettiana” (Pallucchini 1941): “poeta non solo
dell’astratta poesia della materia pittorica e del gesto grafico fine a
sé stesso ma di respiro sufficientemente ampio da riassumere come
‘motivo’ lo stesso dato ‘fotografico’, anche dove per avventura
mostrasse di esservisi ‘passivamente’ attenuto. Anzi: quando pure tale
aspetto fotografico si volesse mentalmente separare e separatamente
valutare, a prescindere –
rovesciando il procedimento dianzi seguito –
dalla qualità della ‘materia’ e dal carattere del segno, converrà
anche riconoscervi la presenza di pressoché tutti i requisiti che oggi
siamo soliti richiedere alla fotografia perché essa sia opera d’arte.
[...] E la scelta del soggetto
dell’ora della temperie meteorologica, la predisposta ‘inquadratura’, la
sapienza del ‘taglio’, l’impiego eventuale di teleobiettivi e di
grandangolari, il non fortuito ricorso al ‘fotomontaggio’ sarebbero in
ogni modo e per altra via bastevole arra di originalità: indizi o spie
della libertà fantastica dell’artista. L’originalità (in tal caso) del
fotografo di genio; che costruisce il proprio discorso servendosi come
di parole di aspetti o frammenti della realtà visiva (e del regista che
mette in scena il proprio spettacolo e assegna le parti a proprio
talento, secondo il proprio giudizio): originalità di tanto maggiore in
quanto pochi e malcerti passi erano stati da altri tentati su tale
strada. Onde gli spetta altresì il titolo di iniziatore, poiché è solo
con Canaletto che il paradigma
della verità fotografica entra veramente nella storia della pittura,
impegnando anche i più restii a fare i conti con essa. Originalità
grafica e originalità fotografica” (Gioseffi 1959).
“Il modo in cui
Canaletto, in certi periodi, lavora simultaneamente veduta e
capriccio indica già che non sono
ai suoi occhi generi distinti, ma
due aspetti equivalenti d’un medesimo
campo d'esperienza” (Corboz 1985).
Il
Capriccio con edifici palladiani
della Galleria Nazionale di Parma, rappresenta il manifesto di questo
“nuovo genere [...] di pittura, il quale consiste a pigliare un sito dal
vero, e ornalo di poi con belli edifizi o tolti di qua e di là
ovveramente ideale” (Algarotti 1792). In questo caso il ponte disegnato
da Palladio sostituisce quello di Rialto mentre il palazzo Chiericati
(Vicenza) del medesimo Palladio così come la Basilica di Vicenza, si
affiancano ai lati. "È stato molto giustamente osservato (Constable 1962) che l'esistenza, invero abbondante, d'opere di gusto canalettiano, la cui scadente qualità elimina ogni ragionevole sospetto di autografia, è spiegabile, in larga misura, tenendo conto della 'imitabilità', della pittura di veduta, e di quella di Antonio in ispecie: tanto più, poi, che da un lato le incisioni, facilmente divulgabili e di fatto assai divulgate, consentivano la possibilità di confezionare, in quantità e con grande rapidità, prodotti di una certa evidenza canalettiana, prescindendo dall'esperienza diretta dei prototipi dipinti, assai più difficilmente disponibili, anche ben oltre il raggio di un milieu di scolari e di seguaci presenti e attivi nell'ipotetica bottega: e che, d'altro lato, la fortuna del maestro sul mercato artistico non poteva non sollecitare un'azione imitativa, estesa e indiscriminata" (Puppi 1968).
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