Antonio Zanchi (Este 1631 - Venezia 1722)

 

 

Felice Gambarin

 

 

Un dipinto inedito di Antonio Zanchi: l'Assunta nel duomo di Este.

 

 

 

Antonio Zanchi, Assunzione di Maria, dopo il 1686 - 1687. Este, Duomo.

 

 

 

Il concerto è stato interrotto all'improvviso da un evento straordinario: l'Assunzione al cielo di Maria. I putti musicanti, in basso, si bloccano per guardare verso l'alto tenendo tra le mani chi il flauto, chi il triangolo, chi lo spartito, mentre un superbo cherubino inginocchiato, indifferente, approfitta dell'interruzione per accordare il suo violone.
Un turbine di nuvole avvolge tutta la scena che sembra come risucchiata verso l'alto da un potente vortice di luce. La luce è la dominante della composizione. È la luce che individua le forme con accentuazione chiaroscurale. Due sono le fonti luminose: la prima, proveniente da sinistra, esalta i contorni delle figure e individua, con bagliori improvvisi, la plastica volumetria dei personaggi; l'altra scaturisce dall'empireo e crea forti effetti di controluce.
La luce e il colore si fondono così in una ricerca pittorica che richiama il tonalismo cinquecentesco di Tintoretto, Tiziano e Veronese. Ed è proprio al Veronese che lo Zanchi s'ispira per la sua grande pala dell' Assunta.
Paolo Veronese insieme ai figli Benedetto e Carletto dipinge, per il convento di San Giacomo alla Giudecca, un telero raffigurante l'Assunta, ora alle Gallerie dell'Accademia di Venezia, che nella parte mediana presenta una piccola orchestra composta da angeli musicanti.
A sinistra si vede un angelo con il liuto e un altro alla spinetta, mentre a destra si identificano altri due angeli musicanti: uno suona il violino e l'altro uno strumento analogo a quello che figura in basso nella pala di Este: un violone. All'intorno fanno corona putti e angeli cantori.
Lo Zanchi ha riportato il concerto del Veronese nell'Assunta di Este, mentre dipingerà per la stessa chiesa di San Giacomo alla Giudecca una Madonna. Nel 1674 lo Zanchi restaura otto tele del Veronese nella Scuola di San Fantin, oggi sede dell'Ateneo Veneto. Pertanto non solo il pittore estense si ispira al grande maestro cinquecentesco, ma diviene, quasi, un tutt'uno con lui nel restauro di molte sue opere. Emerge — come afferma Zampetti:
 

- ormai sempre più chiaramente [...] intendo quell'attenzione vivissima che il pittore mostra per il Veronese, avvertibile particolarmente nel corso dell'ottavo decennio del secolo e che fanno di lui – oltre le influenze che può aver avuto dai dipinti di Luca Giordano – uno dei primi a "scoprire" e intendere la luce del Veronese, con ciò quasi rinnegando il violento luminismo "tenebroso" da lui prediletto nella prima giovinezza.


Lo Zanchi, oltre al revival veronesiano, che sarà una costante in tutta la pittura veneziana della fine del Seicento e dei primi anni del Settecento, fino a Tiepolo, rilegge anche i pittori della sua terra d'origine, la terra della sua famiglia: Bergamo.
Tra il 1670 e il 1680 il pittore estense dipinge per la chiesa di Santa Maria Maggiore a Bergamo molti teleri di soggetto biblico, tra i quali Mosè fa scaturire l'acqua dalla roccia, Giuseppe spiega i sogni al Faraone, Giuseppe venduto dai fratelli ai mercanti e altri.
Ed è proprio dalla chiesa di Santa Maria Maggiore che lo Zanchi coglie spunti per l'Assunta del duomo di Este. Il riferimento alquanto preciso è dall'opera di Gian Paolo Cavagna (Bergamo 1556-1627), databile al 1592-1593, raffigurante proprio una Madonna Assunta colta nel momento dell'ascendere al cielo, con le braccia aperte, mentre è contornata da putti alati e da un concerto di angeli musicanti e cantori, che, nella parte bassa della lunetta, completano la scena.
Sembra attenuarsi così nell'Assunta di Este, se non addirittura scomparire, quel fare tenebroso, con profonde e cupe atmosfere apprese dal suo primo maestro Francesco Ruschi (1600/10- 1661), per approdare a soluzioni più sfavillanti e vibranti di luce. La particolare raffinatezza nel trattamento del colore è evidente nei contrasti coloristici delle vesti: rosa pallido con cangiantismi luminescenti la veste della Vergine, mentre blu è il suo manto; verde smeraldo il velo dell'angelo a sinistra cui risponde il colore giallo del cherubino a destra dell'Assunta. Chiude l'armonia cromatica la veste rossa in contrapposizione al manto turchino dell'angelo musicante con violone.
Due sono le componenti etico artistiche che lo Zanchi ha voluto inglobare nella pala di Este in una macchina del più elegante barocco secentesco: il realismo caravaggesco da un lato e il trascendente di estrazione ancora cinquecentesca. Queste due componenti sono fuse nelle parti grafiche, figurative, coloristiche e luministiche della tela.
Prevale un'interpretazione sciolta ma nello stesso tempo drammatica tendente a esprimere, nel modo più grandioso e commovente, il contenuto religioso di sapore ancora controriformistico: la Vergine, Ianua coeli, "porta del cielo", conduce il devoto fedele alla salvezza, raffigurata in alto dal Paradiso con la Trinità, solo attraverso la sua intercessione. Per accentuare quest'impostazione lo Zanchi divide la pala in due parti.
Distacca l'elemento divino dalla sfera terrena elevando la Madonna al disopra del piccolo concerto interrotto per collocarla tra le nubi e attorniarla di cherubini e serafini.
Si assiste qui a un girotondo di una sconcertante modernità, espresso dalle mani degli angeli che si congiungono al di sopra della Vergine in alto a destra, e concludono la gloria trionfante della Vergine, tanto che par di vedere La Danse o Le bonheur de vivre di Matisse. Giambattista Tiepolo (1696-1770), il genio del rococò Veneziano, si ricorderà degli angeli che sorreggono la Vergine per il gruppo divino con il Padre Eterno nel grande telero dell'abside del duomo raffigurante Santa Tecla che libera Este dalla pestilenza firmato e datato 1759, mentre anche Antonio Corradini (1688-1752) richiamerà l'Assunta dello Zanchi nella Gloria dell' Eucaristia del 1722, all'altare del Santissimo, sempre nel duomo estense, negli angeli tra le nuvole mentre sorreggono la sfera del mondo.
Ma la vera fonte d'ispirazione per la mobilità della figure, per quel continuo piegarsi e flettersi delle teste, particolarmente evidente negli angeli attorno alla Vergine, per quel disporre i protagonisti sempre in diagonale, per il gonfiarsi delle vesti e il dispiegarsi delle ali degli angeli, è carpita al più grande artista del barocco italiano: Gianlorenzo Bernini (1598-1680).
Sono evidenti nel telero dell'Assunta i richiami agli angeli berniniani della cappella Fonseca nella chiesa di San Lorenzo in Lucina: due cherubini bronzei sorreggono la grande cornice ovale che racchiude la tela raffigurante l'Annunciazione di Maria, copia da Guido Reni di Ludovico Gimignani (1643-1697) datata 1664, mentre altri serafini musicanti in stucco con tromba, violone e tamburello sembrano volare verso la lanterna della cupola.
Ma è soprattutto dai riferimenti iconografici agli Angeli dell'artista napoletano a Sant'Andrea delle Fratte a Roma (L'angelo con il titolo della croce e L'angelo con la corona di spine) che il confronto si manifesta puntuale e preciso: le teste sono leggermente piegate con i riccioli dei capelli scolpiti quasi dalla luce, mentre le vesti gonfiate e mosse dal vento sono arricciate in una cascata di pieghe.
E ancora più pressante è il collegamento con il rilievo bronzeo di un allievo del Bernini, Cosimo Fancelli (1620-1688) raffigurante la Trinità, databile al 1656, e collocato in Santa Maria della Pace, a Roma. All'angelo di sinistra che sorregge il Cristo, sembra corrispondere l'angelo di sinistra che solleva la Madonna nel duomo di Este. I particolari che maggiormente colpiscono negli angeli divini di Fancelli e di Zanchi sono la testa rivolta verso il Cristo, la gamba destra piegata allo stesso modo in entrambe le opere, e la configurazione della veste che lascia scoperta la spalla destra, mentre l'estremità dell'ornamento svolazza libera nell'aria. E che dire dell'affresco con la Vergine in gloria nella cupola di Sant'Andrea della Valle a Roma del 1624-1627 di Giovanni Lanfranco (1582-1647) in cui l'angelo musicante con violone e la Madonna assunta sembrano anticipare le Visioni zanchiane di Este?
La pala di Este è databile al nono decennio del Seicento, dopo il 1686-1687, nel momento di apertura veronesiana del pittore e nel contemporaneo rifiuto del "tenebrismo" prima maniera.
Lo Zanchi con l'Assunta ricerca un mondo diverso – come afferma Zampetti:

 

– rivolto a recuperare la luce atmosferica, a guardar "oltre" il mondo "reale" delle cose.

Dunque è proprio lui in quegli anni conclusivi del secolo a dar una svolta alla pittura barocca, indirizzandola verso nuove esperienze, diverse: verso un modo di sentire il valore della pittura che sarà proprio dei "padri" del rococò veneziano, alludo al Pellegrini e a Sebastiano Ricci.


Anche Rudolf Wittkower sostiene che a Venezia negli anni tra il 1660 e il 1680 si assiste a un cambiamento pittorico tendente a

 

schiarire la tavolozza che culminò con il Tiepolo e i maestri rococò della scuola veneziana [...] Venezia completava il passaggio alla pittura rococò mediante una luminosità derivante da una nuova gamma di colori ariosi e trasparenti, mediante nuovi schemi di composizioni ondulate o a zig-zag che sono spesso precariamente "ancorate" lungo il margine inferiore del quadro, mediante tipi di figure eleganti e allungate che richiamano alla mente la "figura serpentinata" manierista».


Il grande dipinto dell'Assunta è in pratica un inedito poiché nella letteratura artistica e storico critica è citato molto raramente.
Il primo studioso conoscitore che ne propone pochi cenni è Francesco Franceschetti nel 1902, quando afferma che «Il cav. Liberi dipinse la gran tela dell'Assunzione che è sopra l'arco del Battistero».

Il Callegari nel 1931, sbrigativamente, sulla scorta del Franceschetti dice: «sopra l'arco [...] Assunta del Liberi». Più tardi ancora il Franceschetti, in un manoscritto databile intorno al 1932, ora conservato nella Biblioteca comunale di Este, ritorna sull'argomento e ripete che:

 

L'arco che divide la cappella di S. Tecla da quella di S. Carlo si apre nel vestibolo che mette al Battistero e al campanile [...]. La grande tela che sta sopra il detto arco rappresentante l' Assunzione della Vergine, era nell'antica Basilica nella cappella omonima ed è attribuita al celebre pennello del Cav. Pietro Liberi.


Il Gallana annota che:

 

Sulla parete sopra l'arco è collocata una grande tela che raffigura la B. Vergine Assunta in cielo in mezzo ad una gloria di angeli. Si trovava già nella vecchia basilica, nella cappella omonima, ed è attribuita al pittore padovano Pietro Liberi [...] altri la vorrebbe di Luca da Reggio (L. Ferrari, allievo del Reni).


Nella vecchia basilica non esisteva alcun altare o cappella con il telero dell'Assunta, ma vi si trovava un gruppo scultoreo in legno dorato con il simulacro della Beata Vergine degli angeli o Assunta, ancora oggi esistente presso la terza cappella nella parete settentrionale del duomo, che sarà incoronato nel 1625.
Interessanti sono invece le annotazioni tardo settecentesche o dei primi anni dell'Ottocento di alcuni eruditi viaggiatori e conoscitori di cose d'arte in terra d'Este.
Il Moschini nel suo Viaggio per il territorio di Padova del 1809 offre una dettagliata descrizione delle opere d'arte del duomo di Este, ma della tela dell'Assunta non vi è traccia".
Anche il Brandolese, nel suo diario d'arte databile alla fine del  Settecento trattando del duomo di Este mai fa riferimento a una pala d'altare raffigurante la Madonna Assunta, né in chiesa, né in sacrestia.
Si può dedurre pertanto che, almeno fino ai primi anni dell' Ottocento, il telero con l'Assunta non fosse presente tra le opere d'arte del duomo di Este.
Francesco Bartoli, invece, in un manoscritto della Biblioteca del Museo civico di Padova databile intorno al 1809-1810, soffermandosi sulle opere d'arte esistenti a Este, e in particolare su quelle appartenenti alla chiesa di San Francesco, presso il grande complesso conventuale francescano, soppresso nel 1797 per decreto napoleonico, così scrive:
 

Nella chiesa di S. Francesco le statue sulla facciata sono opera di Ant. Bonazzo. Le tavole degli altari sono per la maggior parte dipinte da Ant. Zanchi. La prima esprimente S. Francesco d'Assisi che in mezzo a quattro santi dell'ordine sostiene la croce. La seconda coll' Immacolata Concezione. La terza con San Francesco stimatizato e la quarta con S. Andrea Apostolo due SS. Vescovi e S. Bovo a cavallo. L'altra con S. Marco, Bonaventura, Lodovico e Chiara è del Cav. Pietro Liberi. L'Assunzione di M. V. del Cav. Contarino descritta dal Ridolfi nella vita di esso pittore io non l'ho ritrovata ed è forse quella che oggi trovassi nel duomo sopra la scala situata nell'atrio della sagrestia.

 

Finalmente si viene a conoscenza che il telero dell'Assunta, che il Bartoli attribuisce al Contarino, a partire almeno dal 1809, si trova già in duomo «sopra la scala situata nell'atrio della sagrestia». Successivamente la tela è posta sopra l'arcone del battistero dove la nota il Franceschetti nel 1902 come si è già detto.
Se osserviamo attentamente la tela, si può costatare, infatti, che il dipinto non è stato concepito per quel luogo poiché nella parte inferiore le estremità dei putti e dell'angelo con violone non si vedono. Sembra infatti che il telero sia stato accorciato per adattarlo meglio alla cornice di stucco che non poteva certo sfondare l'arco sottostante. La cornice, che è doppia su tre lati, i due laterali e quello superiore, inspiegabilmente nella parte inferiore si riduce a una sola fascia modanata, mentre non compare quella con decorazioni policrome imitanti il marmo.
Nel 1685 un violento incendio distrugge la quattrocentesca chiesa di San Francesco, che immediatamente è ricostruita e ristrutturata nelle forme barocche che conserva ancora oggi anche se trasformata in palestra.
Tale data diviene così un invalicabile termine ante quem per la datazione del telero dell'Assunta e dei molti altri quadri e pale d'altare che un tempo adornavano la chiesa.
La svolta storico critica per la riscoperta del dipinto si deve a Giovanni Gambarin nella sua ponderosa tesi di laurea sui dipinti del duomo di Este quando si sofferma sul dipinto con nuovo senso storico e artistico.
È strano» afferma lo studioso «che nessuno dei canonici archivisti nelle loro memorie abbia accennato all'esistenza del dipinto, perciò non è da scartare l'ipotesi che la tela sia stata posta in duomo solo nel secolo scorso, dopo essere stata recuperata da qualche altra chiesa».
Sgombra anche il campo dalle vecchie attribuzioni al pittore padovano Pietro Liberi elaborate dai Ridolfi, Franceschetti, Callegari e Gallana, affermando che «l'opera, pur discostandosi nettamente dallo stile del Liberi, si esprime in un impianto strutturale ancora seicentesco, specialmente nella zona inferiore col gruppo degli angeli musicanti, mentre nella parte superiore sembra risentire degli influssi della pittura di Sebastiano Ricci».


Felice Gambarin

 

ARTE Documento N°16  2002 © Edizioni della Laguna