Antonio Zanchi (Este 1631 - Venezia 1722)

 

 

 

Paola Battistel
Aggiornamento per Antonio Zanchi.

 

 

 

 

Antonio Zanchi, Sant' Antonio di Padova. Este, collezione privata.


Tra gli artisti operanti nella seconda metà del Seicento a Venezia, Antonio Zanchi è sempre stato considerato, già dalle fonti storico artistiche a lui contemporanee, l'esponente di spicco nella corrente dei "tenebrosi". Nell'ambito della critica moderna, l'opera di Antonio Zanchi viene valutata mantenendo più o meno un criterio uniforme: la preferenza è accordata alle sue opere giovanili e della prima maturità, quelle cosiddette "tenebrose" , caratterizzate dal chiaroscuro violento e dalla tipologia naturalistica, considerate migliori, seguite da una fase inoltrata e tarda – lo Zanchi fu, come è noto, assai longevo – di declino e di venir meno di fantasia artistica. E' una valutazione complessiva che si può, a veder mio, sostanzialmente condividere; dove le limitazioni avanzate non tolgono alcun merito al nostro pittore, che anzi ha molto contribuito allo sviluppo artistico del barocco veneziano, indirizzandolo, sul finire del XVII secolo, verso nuove esperienze pittoriche.
La complessa personalità artistica dello Zanchi, in quanto appartenente a un momento storico dalle molte sfaccettature, esige una debita prudenza, soprattutto nei confronti delle opere degli ultimi decenni del XVII secolo e i primi anni del XVIII. In questa prospettiva, Este, città natale del pittore, è stata meta privilegiata delle mie ricerche: l'artista vi fece ritorno solo in tarda età, sebbene mai si fosse interrotto il legame con essa, e vi lasciò molte opere, un certo numero delle quali andate perdute. Mi riferisco al periodo compreso tra il 1700 e il 1709, in cui lo Zanchi continua a dar prova di una vigorosa vena artistica, non ancora pregiudicata dal gravare degli anni: lo testimoniano, a Este, alcune opere per il duomo di Santa Tecla, quelle per la chiesa della Beata Vergine della Salute - lo Zanchi fu ideatore del progetto iconografico della chiesa, riguardante la vita di Maria - tra cui ricordo i due bellissimi teleri con la Presentazione di Maria al Tempio (1700) e lo Sposalizio della Vergine (1701), nonché i dipinti  per la basilica di Santa Maria delle Grazie.
Ho verificato minuziosamente il percorso topografico di tutte le opere disperse , riferendomi costantemente agli antichi scrittori locali; se di alcuni dipinti perduti e non rintracciabili ho potuto documentare e, purtroppo, definitivamente constatare la perdita, non è stato altrettanto per le due tele che qui si presentano e che costituiscono la prova di un fortunato ritrovamento. Si tratta della pala con La Vergine, santa Maria Maddalena e santa Caterina d'Alessandria donano il ritratto di Soriano a un santo domenicano (fig. 2),

 

Fig.2

 

Fig.5

 

e di un dipinto devozionale con San Francesco d'Assisi (fig. 5), entrambi provenienti originariamente dalla basilica di Santa Maria delle Grazie in Este.

La medesima sorte ha accomunato i due dipinti: entrambi, attestati come opere certe dello Zanchi dalle fonti antiche, erano dati dagli studiosi del secolo scorso distrutti a causa di un incendio avvenuto nel 1965 nella basilica di Santa Maria delle Grazie. Il primo dipinto è infatti documentato sia da Pietro Brandolose nel 1791 circa, sia da Gian Antonio Moschini nel 1809 e nel 1815, i quali lo vedono ancora nell' ubicazione originaria, ovvero sul secondo altare a sinistra della basilica, dirimpetto a un'altra pala zanchiana, raffigurante San Tommaso d'Aquino, santa Caterina da Siena e sant'Antonio di Padova con il Bambino (fig. 1).

 

Fig.1


La tela, in un secondo momento, fu trasferita nella chiesa di San Martino, sempre a Este, dove la vide uno scrittore locale nel 1851, e vi rimase fino al 1932, anno in cui fu ricollocata nel suo luogo d' origine, ovvero la basilica delle Grazie, ma sistemata nella sacrestia della chiesa stessa; quest' area, purtroppo, nel 1965, fu coinvolta in un incendio che portò alla distruzione di gran parte del patrimonio artistico della chiesa presente in sacrestia. Nel 1966 Alberto Riccoboni, non rintracciando l'opera, la catalogò tra quelle distrutte, così come fece anche Pietro Zampetti nel 1988.
Tuttavia il dipinto, di cui in questa sede presento la riproduzione fotografica inedita, non è andato distrutto, ma si trova, dal 1970, presso un restauratore di Padova; dal verbale di presa in consegna, notificato il 6 maggio del 1970, risulta, tra le opere danneggiate dall'incendio consegnate per il restauro, anche il dipinto con la «Madonna e SS., pala centinata» per un costo di «L. 8.000.000».
Il recupero della pala in questione mi ha permesso di effettuare a suo tempo un'analisi "al vivo" della stessa e di verificarne lo stato conservativo: la partitura pittorica è leggibile, nonostante sia stata lesionata in parte dal calore e presenti alcuni cedimenti di colore, uno dei quali visibile nell'angolo inferiore sinistro, dove è raffigurato un candelabro.
Un'attenta lettura del dipinto e il confronto con le descrizioni delle fonti antiche hanno fatto emergere, tuttavia, una imprecisione riguardante la tematica dell'opera, sulla quale è doverosa una chiarificazione.
Il Moschini, ripetendo le parole del Brandolese, scrive che nell'altare «è pittura di Antonio Zanchi, M.V. con un santo domenicano davanti a cui v'è un altro vicino e due sante vergini ai lati»; il Riccoboni (1966) e lo Zampetti (1988), dando la tela per distrutta, si limitano a ribadire la precedente definizione. La pala dello Zanchi, dunque, è stata sempre identificata come La Vergine, santa Maddalena, santa Caterina e due santi, intendendo in modo errato la figura del santo in piedi, al centro della composizione: non si tratta di un secondo santo domenicano "fisicamente" partecipe alla vicenda pittorica, bensì di un 'ritratto' di san Domenico, effigiato a piena figura nel drappo bianco, sorretto a sinistra da santa Maddalena e a destra da santa Caterina d'Alessandria (fig. 3).

 

Fig.3

 

Ad avvalorare ulteriormente ciò, si consideri anche la posizione del san Domenico effigiato, così statica e certamente più rigida rispetto alle altre figure e con una forte componente verticale: particolari che si riscontrano solitamente nei soggetti ritratti.
L' interpretazione iconografica dell'opera deve essere perciò riconsiderata, anche alla luce di un'altra circostanza direttamente correlata con la pala zanchiana: affiancato alla basilica di Santa Maria delle Grazie si trovava il monastero dei padri Domenicani, successivamente soppresso nel 1770, che ebbe certamente influenza nella scelta tematica dell'opera. Il dipinto rappresenta infatti un episodio leggendario, molto popolare nel Seicento, legato all'ordine dei Domenicani e a Soriano, località della Calabria: qui, nel XVI secolo, vibrava un profondo sentimento religioso per il patriarca san Domenico e in suo onore, nel 1510, venne intrapresa la costruzione di un grande santuario con annesso convento. Si narra che nel 1530, vent'anni dopo la sua fondazione, il frate converso Lorenzo da Grotteria vide in sogno la Madonna e le sante Caterina d'Alessandria e Maria Maddalena che gli consegnarono la tela raffigurante san Domenico: destatosi, il frate trovò effettivamente il quadro, che si rivelò poi avere proprietà miracolose.
Nel Seicento la popolarità di questo culto si diffuse per tutta Europa in moltissime chiese domenicane ed è attestata anche dalla ragguardevole raffigurazione iconografica del santo, mediato dall'immagine miracolosa che ancora si conserva a Soriano. Del resto, anche in altri dipinti barocchi di Santa Maria delle Grazie si percepisce l'influenza dell'antico monastero domenicano, basti pensare alla presenza di un altro santo domenicano nella pala di Alberto Calvetti, San Sebastiano, san Giovanni Battista e un santo domenicano, recentemente fatta presente da Giuseppe Maria Pilo.

 

Fig.4


Nella pala con il ritratto di san Domenico lo Zanchi ha "bloccato" la scena nel momento più intenso dell' apparizione delle tre sante donne al frate domenicano, che ha rappresentato in primo piano (fig. 4), verso destra, vestito con l'abito dell'ordine e inginocchiato, in atteggiamento di devozione verso l'icona miracolosa che lui stesso regge con la sinistra e che si dice fosse a tutta altezza.
La composizione del dipinto è impostata su uno schema "a losanga", tipico di molte pale zanchiane, con, ai quattro vertici, le teste delle due sante laterali e quelle della Vergine e del frate converso: questa disposizione spaziale sembra comporre una cornice ideale, completata in basso da una linea virtuale che corre dal braccio sinistro del frate, emergente in primo piano, al lembo del manto rosso della Maddalena, posato sul gradino, entro cui è racchiuso il ritratto centrale.

 

Fig.1


Una straordinaria assonanza compositiva della tela, anche per la presenza in primo piano dei due gradini, si può riscontrare nella pala, databile intorno al 1700, con San Tommaso d' Aquino, santa Caterina da Siena, sant' Antonio di Padova col Bambino Gesù (fig. 1), ubicata nel secondo altare a destra, entrando nella basilica di Santa Maria delle Grazie, ovvero in quello dirimpetto all' altare di San Domenico. Anche dal punto di vista strettamente stilistico le due pale estensi risultano molto affini: in entrambe ritroviamo la stessa morbidezza delle vesti, che rivelano ancora quel tipico panneggio "a cencio bagnato" tanto usato dallo Zanchi nelle composizioni del periodo cosiddetto "tenebroso", e le tonalità cromatiche più stemperate e luminose, ma sempre ben pigmentate e dense d'impasti, dove s'intravede ancora la sua impronta chiaroscurale, ma liberata dalla forte valenza drammatica di un tempo legata ai ricordi del Ruschi e del Giordano. Lo stato di conservazione della pala con il ritratto di san Domenico rivela ancora come la luce, proveniente da sinistra, dia volume alle forme, ai volti, che rimangono ben saldi nello spazio e non si sfaldano in esso, come in certe opere tarde. Anche i colori, allo stato attuale, lasciano intuire l' originaria armonia delle tinte, graduate su accordi di ocre, di bianchi, di rossi, di azzurri e di delicati rosa nei volti. Non ho dubbi, quindi, anche alla luce di quanto constatato fin qui, riguardo alla collocazione cronologica del dipinto in restauro proposta dal Riccoboni, ossia intorno al 1700, che ritengo senz'altro condivisibile.
Del medesimo periodo, se non di pochi anni precedente, ma di tipologia di radente ma tenue, che fa emergere plasticamente dal fondo scuro il profilo del santo, con gli occhi rivolti all'insù, proprio come il Sant'Antonio di collezione privata. Ancora una volta lo Zanchi esprime la dichiarata volontà di produrre effetti attraverso il tipico contrasto tra luce e ombra, svincolato ormai dalla componente drammatica e teso verso un soffuso naturalismo religioso.


Questo articolo trae origine dalla mia tesi di laurea Antonio Zanchi: per un aggiornamento del catalogo generale delle opere discussa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Lettere, Università Ca' Foscari di Venezia, a.a. 1998-1999, relatore il professor Giuseppe Maria Pilo.
 

 

 

Paola Battistel

 

 

 

 

ARTE Documento N°16  2002 © Edizioni della Laguna