Negli Scritti in onore di Pietro
Zampetti per il suo novantesimo compleanno, pubblicati di recente in
Arte Documento 17 - 18 - 19 (Venezia 2003), ebbi occasione di presentare
alcuni dipinti e disegni del Turchi. Solo all'ultimo momento avevo
inserito nel dattiloscritto i testi relativi a un disegno a Weimar e un
dipinto a Le Mans. Le foto furono incorporate e pubblicate in quel
saggio, ma non c'era più sufficiente spazio per la pubblicazione dei
relativi testi, che qui si pubblicano insieme con due altri quadri del
Turchi.
1.Alessandro Turchi, Assunzione
della Vergine, disegno. Weimar, Goethe-Nationalmuseum.
Il disegno, piuttosto spettacolare, conservato a Weimar nel
Goethe-Nationalmuseum, nella collezione personale di disegni antichi già
posseduti da Johann
Wolfgang von Goethe, mi fu gentilmente segnalato dall'amico Hugo Chapman, che qui ringrazio
sentitamente. Egli l'aveva correttamente identificato come studio del
Turchi per la pala raffigurante l'Assunzione della Vergine, in San Luca
a Verona, sulla base di una foto fatta nel 2002 in una campagna
fotografica intrapresa dal Corpus Gernsheim (fig. 1).
Il foglio è
collocato sotto il nome di Dionisio Calvaert, secondo una vecchia
iscrizione sul verso in basso: "Dionisio Calva - 20". Il verso reca, al
centro, anche una vecchia iscrizione "orbetto", ma stranamente Goethe o
il suo consigliere Meyer l'hanno trascurata e hanno quindi considerato
il foglio opera del Calvaert. Sotto questo nome fu catalogato nel 1848
dallo Schuchardt. è strano che Goethe abbia commesso questo errore, dal
momento che stimava l'arte dell'Orbetto, come risulta dalle sue parole
nel Viaggio in Italia: "In der Galerie Gherardini (in Verona) fand ich
sehr sch?e Sachen von Orbetto und lernte diesen verdienten Künstler auf
einmal kennen".
Si tratta di un magnifico disegno tipo modello, molto elaborato, di
formato abbastanza grande, nella tecnica consueta dei disegni del
Turchi.
2. Alessandro Turchi, Assunzione della Vergine. Verona,
chiesa di San Luca.
Corrisponde, grosso modo, nella composizione e nella
distribuzione delle figure, alla pala in San Luca a Verona, già nella
cappella della famiglia Rosa Morando, che la critica più recente
colloca circa il 1615, poco prima della trasferta dell'artista a Roma
(fig. 2).
A prima vista sembra che il disegno corrisponda già perfettamente alla
pala, ma non è così Corrisponde, per esempio, nella parte alta, la
figura della Vergine assunta sorretta da due puttini, e in certi
particolari come nella drapperia svolazzante a sinistra della figura.
Invece gli angeli musicanti, cantanti e suonanti vari strumenti, cioè
gli angeli grandi nel primo registro e quelli più piccoli, visti in
lontananza nel secondo registro più alto, differiscono totalmente
nell'esecuzione pittorica della pala dal disegno, nonostante le figure
nel disegno appaiano già ben elaborate e definite.
Nella parte in basso, laddove alcuni degli apostoli sono raggruppati attorno al
sarcofago vuoto, in secondo piano a sinistra, mentre altri, in primo piano, seguono l'atto miracoloso dell'assunzione
della Vergine, le differenze fra disegno ed esecuzione pittorica sono meno importanti. Comunque lievi differenze si notano nei particolari delle
vesti e delle pose di quasi tutte le figure.
Per quanto riguarda l'Allegoria della Pittura del Musé Tessé di Le
Mans, mi sento costretto a revocare la mia attribuzione al Turchi di
questo quadro, che ancora recentemente era attribuito ad Artemisia Gentileschi. La recente attribuzione del quadro allo Spadarino, da
parte di Gianni Papi, mi sembra più convincente.
3. Alessandro Turchi, Adorazione dei
pastori. Liverpool, Walker Art Gallery.
Vorrei invece aggiungere all'opera del Turchi due quadri già pubblicati
con altre attribuzioni. In ambedue i casi si tratta di piccoli dipinti
su rame. Nel primo è di un'Adorazione dei pastori e si trova
nella Walker Art Gallery di Liverpool. Vi è catalogata come opera di
scuola veneziana del Seicento
(fig. 3).
Anche in questo caso l'attribuzione corretta al Turchi si
deve a Hugo Chapman, che ringrazio per la segnalazione. Il formato è
estremamente stretto e finisce in alto in un semicerchio. Lo stato di
conservazione del quadro non è molto buono. Lo stile delle figure, i
tipi dei loro visi, i movimenti degli angeli volanti non lasciano alcun
dubbio al fatto che si tratti di un'opera del Turchi, risalente al
periodo veronese, forse ancora al primo decennio, non lontano, per
esempio dalla lunetta con gli angeli nella cappella del Rosario in Sant'Anastasia.
Molto caratteristico il giovane pastore in alto, che porta l'agnello.
Dai tre angeli volanti che sembrano scendere sulla scena della Sacra
Famiglia in basso, quello a sinistra, con le braccia aperte, riappare in
una posa quasi identica nel secondo quadro che qui aggiungo al catalogo
del Turchi. Rappresenta la Vergine col Bambino sulle nuvole, coronata
da due angeli in volo (fig. 4).
4. Alessandro Turchi, La Vergine con
il Bambino coronata da due angeli. Collezione privata.
Il piccolo dipinto su rame (cm 30 x
24,5) apparve dapprima in un'asta di Sotheby's, Londra, il 10 dicembre
1993, con il numero di catalogo 331, sotto il nome di Francesco Guarino;
attribuzione, questa, suggerita da Riccardo Lattuada, malgrado in
precedenza fosse stato avanzato per esso il nome del Turchi. Il rame
venne venduto e venne poi ritrovato in una collezione privata. Fu
pubblicato dal Lattuada nella sua monografia su Guarino (2000) sempre
come opera di quell'artista e con una datazione circa il 1644. Fu poi
riprodotto dal Pacelli nel
2001 ancora con il nome del Guarino. A nostro avviso le tipologie
degli angeli che risentono dell'esempio del Brusasorci, quelle del
Bambino Gesù e della Vergine, il soave modellato dei corpi in un
chiaroscuro molto temperato e dolce - tanto differente dai contrasti
chiaroscurali forti e dal modellato duro delle figure del Guarino - sono
elementi tutti che riconducono, a nostro parere, allo stile del Turchi,
a una fase ancora relativamente giovanile, forse circa il 1608-1615, in
ogni caso prima del suo trasferimento a Roma. Nell'aprile del 2003 il
quadro riapparve in un'asta milanese di Porro & C., ancora con
l'attribuzione al Guarino. I confronti citati dal Lattuada, e anche in
parte dagli autori del catalogo Porro, non mi sembrano del tutto
probanti.
Le rassomiglianze con gli angeli che tengono una corona sopra la testa
della Madonna nella Madonna delle Graziecon santi della collegiata di
San Michele Arcangelo a Solofra (1645-1650; Lattuada, 2000, n. E 54)
sono solo di carattere tipologico, iconografico, ma non stilistico.
Questi putti sono del tutto differenti da quelli raffigurati nel piccolo
rame del Turchi, e questo sia nella tipologia dei volti, sia del
modellato chiaroscurale: duro nel caso del Guarino, dolce e soave nel
caso del rame del Turchi. Lo stesso varrebbe per i putti nella Madonna
del Rosario del 1644, nella collezione Di Donato a Solofra (Lattuada,
2000, n. E 29) o per il putto in volo che porta una corona e il giglio
di martire a sant'Alessio nel rame ottagonale a Capodimonte - circa il
1645 - (Lattuada, n. E 33) citato dal Lattuada e dal catalogo
dell'asta Porro. Per concludere, vorrei richiamare l'attenzione su due
altre opere su rame, con figure e storie, rispettivamente allegorie
della mitologia greco-romana, che mi sembrano appartenenti alla stessa
mano, di un pittore vicino al Turchi, il cui stile è però meno
classicheggiante e accademico di quello del Turchi. E' invece leggermente
più movimentato e barocco. I due quadri hanno misure molto simili.
5. Pittore vicino al Turchi, Apollo e
Diana uccidono i figli e le figlie di Niobe. Collezione privata.
Il primo quadro, ch'è inedito e si trova in una collezione privata negli
Stati Uniti, mi fu segnalato recentemente da Christopher Apostle, che
qui ringrazio. Il quadro era già stato tentativamente attribuito al
Turchi, in quanto reca sul verso del rame la seguente iscrizione: "No 3/
Allessandro Turchi Deto lorbetto/ Diana e Apollo/ che lanciano la
freccia/ alla famiglia/ d Niobe". Misura cm 50,8 x 30,5 (fig. 5). Il
modellato del torso e delle mani della figura femminile in primo piano
che fugge (una delle figlie di Niobe), e anche le forme di Apollo, la
luce fredda e i colori locali, indicano chiaramente la vicinanza e
l'affinitè allo stile del Turchi. D'altra parte il trattamento dei
panneggi movimentati e increspati, gonfiati dal vento, e così pure le
forme stranamente gonfiate dei visi, non sono propriamente tipici del
Turchi. Si noti, a esempio, la figura di Niobe che cerca di proteggere
il figlio: il suo volto, quasi caricaturale, risulterebbe difficilmente
ascrivibile al Turchi.
6. Pittore vicino al Turchi, Venere, Cupido, Marte e Saturno (Allegoria
dell'invincibilità dell'amore). Stoccarda, Staatsgalerie.
II nuovo quadretto ha subito richiamato alla mia memoria un altro rame, nella Staatsgalerie di Stoccarda, che mi ha
affascinato da decenni non solo per le
sue qualitàpittoriche, ma anche per il
fatto che ha finora resistito ai vari tentativi di trovargli un'attribuzione convincente (fig. 6). Le figure degli dei antichi in esso raffigurate sono facilmente
identificabili, ma l'interpretazione del
significato delle loro azioni è incerta e
controversa. Vi sono raffigurati Venere,
che siede seminuda su un letto, e Marte, già sorpreso da Vulcano (che non
appare), mentre Saturno fa la sua apparizione fra sulle nuvole e, dialogando
con Marte, indica con la mano sinistra
la figura del piccolo Cupido alato, che giace sul letto e tiene con la mano sinistra la rete che Venere gli tende. L'azione di Venere non
è del tutto
chiara. Libera Cupido, su ordine di Saturno, dalla rete con la quale
Vulcano l'aveva catturato insieme con il suo amante Marte. Tale è l'interpretazione di O. Metzger, compilatore della scheda sul dipinto nei
cataloghi del Museo del 1957 e 1962. Secondo il Metzger si tratterebbe
forse di un'allegoria dell'invincibilità dell'amore.
Il quadro proviene dalla Pinacoteca Barbini-Breganze che il re Guglielmo
I di Wùttemberg comprè a Venezia nel 1852. La collezione era stata
creata all'inizio dell'Ottocento dal pittore Michelangelo Barbini. Nei
cataloghi della collezione Barbini-Breganze del 1847 e del 1850 il
quadro era già elencato come opera di Alessando Turchi. Nei due
cataloghi postbellici di Stoccarda (1957 e 1962) il quadro fu elencato
come opera del Turchi, ma il catalogo del 1962 aggiunge una nota
secondo la quale Hermann Voss nel 1959, al momento di rivedere tutti i
quadri italiani, aveva notato "piuttosto Bologna". Questa infelice idea,
che ci lascia molto perplessi e rimane inspiegabile "data la
competenza del grande conoscitore" venne poi ripresa dal suo ex
assistente Gerhard Ewald, che dal 1965 divenne conservatore dei dipinti
italiani a Stoccarda. Nel 1982 Ewald catalogò il quadro come opera di
scuola bolognese, circa il 1700, ambito di Marcantonio Franceschini. Confermò tale sua opinione anche nel catalogo delle opere esposte del
1992. A nostro avviso il quadro non solo non avrebbe niente a che
vedere con il Franceschini e con la scuola bolognese di inizio
Settecento, ma apparterrebbe alla prima metà del XVII secolo se non
addirittura primo quarto del Seicento. Le forme rotondeggianti della
figura di Venere, il loro modellato inserito in una luce fredda,
appaiono molto vicine ai modi del Turchi, come avevano visto bene i
compilatori dei vecchi cataloghi, anche se il volto di Venere non è
caratteristico del Turchi; al contrario, la figura della dea si presenta
quasi gemella della figura di Apollo nel quadro dei Niobidi. Anche le
forme svolazzanti e movimentate del panneggio di Saturno ricordano
quelle analoghe delle figure in quel quadro. Credo dunque che ambedue i
quadri spettino a un pittore dell'ambito del Turchi non ancora
identificato, attivo o a Verona o a Roma nel secondo o nel terzo
decennio del Seicento.