Come ricordato
dall’amico Ridolfi (1648), che all’artista dedicò una biografia, Tinelli
fu dapprima scolaro di Giovanni Contarini, “indi se ne passò alla scola
del Cavalier [Leandro] Bassano, piacendogli la maniera dei suoi
ritratti”.
Affermato ritrattista di dogi, procuratori, magistrati, uomini d’arme,
letterati e gentildonne, condusse una vita avventurosa e travagliata.
Non gli mancarono tuttavia importanti gratificazioni come ad
esempio il titolo di Cavaliere conferitogli da Luigi XIII di Francia,
conosciuto a Venezia nel 1633. Ridolfi narra che il pittore visse un
matrimonio poco fortunato “poiché invaghitosi d’una fanciulla di modesti
costumi, studiosa della Pittura, e quella tal’hora visitando, propose
farsela sposa formandosi nella mente con tale unione delitie di
Paradiso; la quale per sottrarsi alla tirannia del Padre, vi dava con la
Madre medesima l’orecchie; ma l’impediva certo voto fatto di Castità
prestato fede ad un indovino, che le predisse, che d’un parto sarebbe
morta. Si conclusero in fine le nozze con le strettezze del voto, e
ridottala Tiberio in casa sua, con esso lei per qualche tempo sen visse
in pacifico stato facendo comuni le fortune col Suocero, il quale
avanzatosi in autorità, pretendeva disporre à suo piacimento della casa
e degli haveri del Genero; onde facilmente si ruppero tra di loro,
trattandosi di dominio e d’interesse, cagione la più efficace per
dividere gli affetti; ma non tolerando quegli vedersi privo della
figliola, ma più de commodi, che traheva dalla sua virtù, come huomo
ardito e sagace, assalì più volte Tiberio con le arme e con le minacce,
che di leggieri si sarebbe vendicato degli affronti; ma il tratteneva il
rispetto della moglie, che havevasi proposta per Idolo della mente.
Passò molto tempo l’infelice Tinelli tra quelle angustie: Più non
conversava con gli amici, tralasciato haveva il dipingere, mutati i
pennelli in ispade, d’altro non ragionava che della perfidia del
Suocero, disturbavasi spesso con la moglie, e era del continuo molestato
da pensieri noiosi, effetti cagionati da un animo geloso e inasprito
dalla passione” (Ridolfi 1648).
“Nel racconto ridolfiano dello sfortunato amore di Tinelli per
un’innominata fanciulla abbondano particolari degni di un feuilleton: il
voto di castità di lei, fatto prestando fede alle parole di un indovino
che le aveva predetto la morte per parto, la complicità della madre a
favore delle nozze, l’ostilità iniziale del padre e in seguito il suo
tentativo di metter mano al patrimonio del genero, le violenze d’armi,
la gelosia del marito, e infine la fuga della sposa con l’assistenza del
fratello.
È curioso che la sposa resti anonima, d’altro canto è impossibile
pensare che Ridolfi, amico di Tinelli, dal quale si fa anche ritrarre,
non sapesse che la casta consorte dell’artista altra non era che
Giovanna Garzoni, da lui precedentemente lodata tra le «famose donne»
nella vita di Marietta Tintoretto.
Un ritrovamento documentario consente ora di affermare che la situazione
romanzata da Ridolfi sia ben più di un amore sfortunato, anzi dev’esser
stato un vero e proprio scandalo per l’epoca, in quanto sfocia in una
pesante accusa di stregoneria al tribunale del Santo Uffizio, cui segue
una complessa istruttoria:
Però havendo Tiberio Tinelli molto tempo insidiata con ogni occulta
maniera la figliola di me Zuan Giacomo Garzoni, afflittissimo at
addolorato padre – detta Giovanna – per haverla per moglie, havendo
notizia ch’io mai gli l’havrei concessa rispetto alle condizioni et di
più, havendo la figliola promesso al santo Dio verginità fin alla morte,
costui per diabolica immaginatione ha trovato strada con sortilegij e
strigarie d’indur la figliola a romper la promessa a Dio...
L’atto di denuncia, per supplica, viene formulato dal padre di Giovanna,
Giovan Giacomo Garzoni, il 27 aprile 1623: vi si sostiene che Tinelli
avrebbe indotto la fanciulla a rompere il voto di castità, con la
stregoneria, usando il fiore, divenuto poi un cedro ed un anello che
ella non può tener nel detto facendoli un diabolico effetto con farla
paralitica del brazzo con dollor suo eccessivo e grandi li protesti...
A testimoniare si chiamarono vicini e conoscenti [...]. Nella
formulazione dei capi d'imputazione da parte degli Inquisitori compare
un ulteriore inquietante elemento oggetto delle magie:
una testa di morto... sopra la quale, dicono, si fondino le strigarie
ovvero il capo di una giovinetta, presunta vergine e santa
(probabilmente una reliquia o una 'patacca') portata da tale padre
Giulio Pietra, curato di Santa Maria Nuova, e, al momento
dell'istruttoria, confessore delle monache di Ognissanti a Vicenza" (Bottacin
2004).
Ad ogni modo i testimoni chiamati a deporre “scagionarono” il pittore
dalle accuse infamanti ed il processo venne archiviato per insufficienza
di prove. Nondimeno dall’istruttoria “emerge un Tinelli assai
particolare, non solo passionale e melanconico, la notizia riportata da
Ridolfi che «tralasciato aveva il dipingere», si conferma nel vuoto di
commesse nel Libretto a tutto il 1623, ma sicuramente intrigato anche
con faccende occulte; in effetti è difficile spiegare l’esistenza certa
di elementi quali la testa di giovanetta morta o i libri di stregoneria,
se non pensando a interessi suoi precisi” (Bottacin 2004).
La produzione di Tinelli dopo questa sosta “forzata”, ricomincia con
importanti commissioni pubbliche e private che di fatto gli preparano il
terreno per la realizzazione del telero con gli Avogadori (1631) posto
in Palazzo Ducale.
A questa data inoltre risale la frequentazione con alcuni membri
dell’Accademia degli Incogniti. Cenacolo letterario fondato e retto da
Giovan Francesco Loredan, scrittore incline alle tematiche rare e
ricercate talvolta addirittura anticlericali e blasfeme, che ogni lunedì
sera ospitava nella propria casa dame e cavalieri veneziani, i quali
“per star più liberi a sentirlo o comparivano mascherati o incogniti” (Lupis
1663). Con tale elite culturale Tiberio certamente condivideva “la
grande passione per i libri proibiti. [...] Tra i pittori veneziani
Tinelli fu infatti quello a cui vennero dedicate più odi da parte degli
Incogniti: se ne riscontrano ben dodici [...]. Oltre ai ritratti Tiberio
fece anche altri dipinti per gl’Incogniti: lavorò ad esempio per Luca
Assarino «autore della Stratonica», e per Dardi Bembo, cui dipinse una
Presentazione e disputa al tempio e un quadro tripartito su tela con la
Nascita del Battista, Il Battista nel Deserto, e il Battesimo di Cristo.
In merito Ridolfi scrive: «Dipingeva volentieri per i letterati, da’
quali traheva alcuna compositione, dimostrandola per testimonianza del
suo merito, né fece d’altro infine acquisto, che di applausi e di honore».
Dunque sembra che Tiberio amasse essere celebrato in letteratura,
preferendo nobilmente la poesia al danaro. Certamente ciò denota una
forte componente di ambizione personale, ma tale predilezione dimostra
anche un grande amore per le belle lettere, e la sensibilità di uno
spirito in apparenza esente da avidità materiali” (Bottacin 2001).
La fama raggiunta dal pittore è testimoniata, oltre che dalle lodi dei
contemporanei, anche dall’invito di trasferirsi a Parigi avanzatogli da
Luigi XIII, ma “sua madre che temeva di perderlo per sempre, gl’impedì
di recarsi in Francia” (De Boni 1840).
Nel 1638 è documentato a Mantova, assieme a Luigi Molino “andato a
congratularsi per la repubblica col nuovo Duca” (Ridolfi 1648), dove
esegue il ritratto di Carlo II con la madre. Rientrato a Venezia si
spegne il 22 maggio 1639 (Bottacin 2004).