Bernardo Strozzi (Genova 1581 - Venezia 1644)

 

 

La formazione del pittore avviene nel vivace e ricco ambiente genovese, centro d’incontro di numerose esperienze artistiche. In quel periodo, alle novità introdotte dai tardo manieristi toscani Sorri, Lomi, Paggi e Salimbeni, si andava affiancando la corrente naturalistica caravaggesca impersonata da Borgianni e Gentileschi, mentre Van Dyck e soprattutto Rubens si facevano latori della fantasiosa e spumeggiante inventiva barocca. La pittura locale, profondamente stimolata, non rimaneva peraltro estranea nemmeno alle suggestioni lombarde di Cerano, Morazzone e Giulio Cesare Procaccini.

Non potendo individuare con sicurezza i quadri devozionali di piccolo formato che Strozzi eseguì, secondo Soprani (1674), nel primo scorcio della sua attività, la prima fase post-conventuale inizia “sotto la duplice influenza dei pittori barrocceschi (si ricordi che nel 1610 Salimbeni è presente a Genova) e dei manieristi milanesi, originalmente interpretati da una liquida e velocissima pennellata” (Matteucci 1966).

Fra le più alte testimonianze del momento manieristico del pittore sono senz’altro da segnalare l’Adorazione dei Pastori di Baltimora (Walters Art Gallery) il Compianto sul Cristo morto e la Maddalena di Palazzo Bianco di Genova, nonché la Santa Caterina di Hartford (Wadsworth Atheneum). “È di scena, in queste opere, una delicatezza estrema che preferisce recitativi sofisticati e ambiguità di sentimenti. In un probabile ricordo di Beccafumi, mediato dal Vanni e dal Salimbeni, le luci scivolano liquide sui panni di cartavelina; in un contatto con Cerano e Procaccini, una improvvisa spatolatura di colore diventa serica e frusciante organza. Veloce, inconsistente, il pennello dell’artista modula succhi trasparenti, mezze tinte, colori aciduli. È un continuo screziare di gialli in celesti, cangiare di verdi in violacei, affiorare di arancioni in amaranti. Così ricca e complessa, davvero internazionale, appare in questi quadri la cultura di Strozzi” (Matteucci 1966).

“La prima redenzione, venutagli in patria dal Rubens, dai caravaggeschi, dai fiamminghi, dai lombardi, ricchi di pregi, ma gravi anche di scorie, fu coronata dalla piena comunione con l’arte veneziana. Solo là la sua vena generosa ma non limpida, poteva raggiungere, raffinandosi, quell’altezza coloristica che è la sua vera gloria. Epuramento in cui ci seduce poter mettere, come maestro vivo, quello che gli trasmise la lampada accesa, il Liss. Basta confrontare la Madonna della Pappa nell’edizione genovese, con quella veneziana, per accorgersi di questa verità, e anche del sicuro contatto con il grande tedesco, alla cui comprensione facile e presta lo spingeva la comune e fondamentale reverenza per il Rubens” (Fiocco 1929). Tuttavia gli esemplari di Budapest e degli Uffizi del Tributo della moneta, “che per taluni risentiti fiamminghismi sono da ritenersi fra le prime realizzazioni di tal soggetto, non è possibile non pensarli usciti dall’ambiente genovese [...]. Ma è pur vero che i dipinti compiuti con ogni probabilità per primi dall’artista a Venezia, anziché offrirci uno Strozzi che in qualche modo aderisse all’ambiente locale, ci mostrano con estrema chiarezza l’aspro contrasto tra il mondo accademico veneziano allora in auge e quell’insistito realismo delle figure strozziane che a Venezia sembra aver trovato nuovo alimento di concretezza” (Mortari 1995).

Tra le lagune, Strozzi ammira certamente anche la visione luminosa e aperta di Paolo Veronese, la quale, se da un lato allentava progressivamente la tensione del ritmo manieristico, dall’altro affinava il senso del colore, in un magistrale ed equilibrato dominio della tavolozza, ricca e squillante.

Uno dei capolavori eseguiti a Venezia è il San Sebastiano curato dalle pie donne della chiesa di san Benedetto. L’opera, “veramente molto lodata” (Boschini 1674), “dà la piena misura delle possibilità dell’artista. Il Santo, legato all’albero che in alto esplode nel verde cupo delle foglie dilatantesi nel cielo azzurro, domina con la sua figura tutta color denso, rutilante, succoso, l’intera composizione” (Zampetti 1959).

L’altro grande capolavoro è il San Lorenzo che distribuisce gli arredi sacri ai poveri (1640) della chiesa di San Nicolò dei Tolentini, dove il gusto sensuale della materia raggiunge esiti difficilmente superabili. 

A Venezia la sua lezione, all’inizio poco ascoltata, sarà, successivamente, utile per la formazione di Sebastiano  Mazzoni e fondamentale per quella di Girolamo Forabosco. 

 

 

Daniele D'Anza