La formazione del pittore avviene nel
vivace e ricco ambiente genovese, centro d’incontro di numerose
esperienze artistiche. In quel periodo, alle novità introdotte dai tardo
manieristi toscani Sorri, Lomi, Paggi e Salimbeni, si andava affiancando
la corrente naturalistica caravaggesca impersonata da Borgianni e
Gentileschi, mentre Van Dyck e soprattutto Rubens si facevano latori
della fantasiosa e spumeggiante inventiva barocca. La pittura locale,
profondamente stimolata, non rimaneva peraltro estranea nemmeno alle
suggestioni lombarde di Cerano, Morazzone e Giulio Cesare Procaccini.
Non potendo individuare con sicurezza
i quadri devozionali di
piccolo formato che Strozzi
eseguì, secondo Soprani (1674), nel primo scorcio della sua attività, la
prima fase post-conventuale inizia “sotto la duplice influenza dei
pittori barrocceschi (si ricordi che nel 1610 Salimbeni è presente a
Genova) e dei manieristi milanesi, originalmente interpretati da una
liquida e velocissima pennellata” (Matteucci 1966).
Fra le più alte testimonianze del momento
manieristico del pittore sono senz’altro da segnalare l’Adorazione
dei Pastori di Baltimora (Walters Art Gallery) il
Compianto sul Cristo morto e la
Maddalena
di Palazzo Bianco di Genova, nonché la
Santa Caterina di Hartford (Wadsworth Atheneum). “È di scena, in
queste opere, una delicatezza estrema che preferisce recitativi
sofisticati e ambiguità di sentimenti. In un probabile ricordo di
Beccafumi, mediato dal Vanni e dal Salimbeni, le luci scivolano liquide
sui panni di cartavelina; in un contatto con Cerano e Procaccini, una
improvvisa spatolatura di colore diventa serica e frusciante organza.
Veloce, inconsistente, il pennello dell’artista modula succhi
trasparenti, mezze tinte, colori aciduli. È un continuo screziare di
gialli in celesti, cangiare di verdi in violacei, affiorare di arancioni
in amaranti. Così ricca e complessa, davvero internazionale, appare in
questi quadri la cultura di Strozzi” (Matteucci 1966).
“La prima redenzione, venutagli in patria
dal Rubens, dai caravaggeschi, dai fiamminghi, dai lombardi, ricchi di
pregi, ma gravi anche di scorie, fu coronata dalla piena comunione con
l’arte veneziana. Solo là la sua vena generosa ma non limpida, poteva
raggiungere, raffinandosi, quell’altezza coloristica che è la sua vera
gloria. Epuramento in cui ci seduce poter mettere, come maestro vivo,
quello che gli trasmise la lampada accesa, il Liss. Basta confrontare la
Madonna della Pappa nell’edizione genovese, con quella veneziana, per
accorgersi di questa verità, e anche del sicuro contatto con il grande
tedesco, alla cui comprensione facile e presta lo spingeva la comune e
fondamentale reverenza per il Rubens” (Fiocco 1929). Tuttavia gli
esemplari di Budapest e degli Uffizi del
Tributo della moneta, “che per taluni risentiti fiamminghismi sono
da ritenersi fra le prime realizzazioni di tal soggetto, non è possibile
non pensarli usciti dall’ambiente genovese [...]. Ma è pur vero che i
dipinti compiuti con ogni probabilità per primi dall’artista a Venezia,
anziché offrirci uno Strozzi che in qualche modo aderisse all’ambiente
locale, ci mostrano con estrema chiarezza l’aspro contrasto tra il mondo
accademico veneziano allora in auge e quell’insistito realismo delle
figure strozziane che a Venezia sembra aver trovato nuovo alimento di
concretezza” (Mortari 1995).
Tra le lagune, Strozzi ammira certamente
anche la visione luminosa e aperta di Paolo Veronese, la quale, se da un
lato allentava progressivamente la tensione del ritmo manieristico,
dall’altro affinava il senso del colore, in un magistrale ed equilibrato
dominio della tavolozza, ricca e squillante.
Uno dei capolavori eseguiti a Venezia è
il San Sebastiano curato dalle pie
donne della chiesa di san Benedetto. L’opera, “veramente molto
lodata” (Boschini 1674), “dà la piena misura delle possibilità
dell’artista. Il Santo, legato all’albero che in alto esplode nel verde
cupo delle foglie dilatantesi nel cielo azzurro, domina con la sua
figura tutta color denso, rutilante, succoso, l’intera composizione”
(Zampetti 1959).
L’altro grande capolavoro è il
San Lorenzo che distribuisce gli arredi sacri ai poveri (1640) della
chiesa di San Nicolò dei Tolentini, dove il gusto sensuale della materia
raggiunge esiti difficilmente superabili.
A Venezia la sua lezione, all’inizio poco
ascoltata, sarà, successivamente, utile per la formazione di Sebastiano
Mazzoni e fondamentale per quella di Girolamo Forabosco.
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