Nicolas Régnier
(Maubeuge 1591 - Venezia 1667)
Pittore piacevole e
non alieno alla riforma caravaggesca, Nicolas Régnier, fu conosciuto a
Venezia, dove presto si stabilì, come Niccolò Renieri. “Ivi notissimo,
oltre che per le pitture, per le belle figlie, amiche dell’arte, di cui
due spose a Daniele Van Dyck e a Pietro Vecchia” (Fiocco 1929). Prima
d’approdare fra le lagune, l’artista soggiornò a Roma, dove fu in
contatto con Bartolomeo Manfredi, che orientò la sua visione verso un
naturalismo popolaresco e “caricato”. Conobbe inoltre il compatriota
Simon Vouet, la cui appariscente eleganza decorativa contribuì a
temperare il suo gusto (Voss 1924).
“Le forme alquanto vuote, ma nobili, del Vouet; divennero anche più
vacue in lui, specie a Venezia, ove operò con il fratello uterino
Michele Desubleo, seguace dichiarato di Guido Reni. Ed è l’influenza
bolognese che sempre più si fa presente nell’opera del Renieri, fra le
lagune, specie nelle pale di San Luca e delle Terese, nell’Annunciazione
delle Gallerie e nel porcellanoso Battesimo di San Salvatore. Solo nelle
figure staccate o nei gruppi discreti egli conserva il modulo migliore
del Vouet” (Fiocco 1929). “Renieri infatti si colloca, proprio per i
suoi elementi emiliani e genericamente caravaggeschi, riscontrabili tra
l’altro nella Santa Teresa dell’omonima chiesa veneziana, in un’area di
gusto indipendente rispetto alla ormai affermata corrente barocca” (Fantelli
1982).
Nell’Allegoria della Sapienza del Landesmuseum di Troppau “il ricordo
romano permane, ma si afferma sempre più, sotto il lume, una forma
elegante, risolta in superficie, se non addirittura scenografica: quella
«presa diretta» che aveva appreso dal Manfredi viene rivolta ad un gioco
epidermico in cui non conta poi molto il contenuto, «la morale» del
dipinto, ma l’eleganza, la raffinatezza, il preziosismo coloristico.
Nuovo comunque dovette sembrare a Venezia questo uso così marcato e
metallico del lume” (Fantelli 1974).
La Sibilla delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, probabilmente il
ritratto di una delle sue figlie, è databile verso la metà del secolo.
La figura, posta di traverso, occupa tutta la larghezza del quadro ed
emana un fascino popolaresco e familiare. I panneggi, levigati e lucidi,
sono definiti da una pennellata forte e lucente.
“Pur travisato in deviazione decorativa, il caravaggismo ‘di superficie’
della pittura del Renieri rimase sempre l’elemento primario e, col gusto
per la stesura cromatica fredda, laminacea, antitonale, per la liscia e
netta scansione formale, costituisce l’autentico contributo che il
fiammingo, di rincalzo al Saraceni e al Le Cler, comunicò ai Veneti,
orientando quella corrente della pittura veneta secentesca che ebbe nel
Carpioni il massimo esponente” (Zava Boccazzi 1968).
Daniele D'Anza