Pietro Liberi (Padova 1605 – Venezia 1687)

  

 

La Maddalena ai piedi della Croce (1650) dei Santi Giovanni e Paolo è il primo incarico ufficiale per una chiesa veneziana. “In un balenare di luci e di ombre gli angeli di carattere cortonesco sorreggono il Crocefisso piegato a sinistra, accentuando così un senso di tensione barocca che costituirà una costante del gusto in formazione del Liberi” (Pallucchini 1981). “A testimoniare l’ampiezza dei rimandi a culture diverse in questa fase dell’attività del Liberi giova un altro quadro del primo momento veneziano, la S. Elena che trova la vera croce in S. Moisè, nella quale – come e ancor più si rileva nella variante di Dobrota, anche se pesantemente ridipinta – è palese il rimando all’opera di eguale tema del Guercino in S. Lazzaro dei Mendicanti a Venezia, eseguita nel 1644 dopo il rifiuto della commissione da parte di Guido Reni, nel 1642. In essa è ancora di forte impressione bolognese anche il nudo del resuscitato, visto di spalle, ma già vi appaiono soluzioni tipicamente liberesche, sia nella morfologia della testa femminile a sinistra, di gusto veronesiano, sia nella stesura della materia, più mossa e fragrante di quella degli Evangelisti dell’Ospedaletto” (Ruggeri 1996). Ancora più sicuro e maturo appare il Sant’Antonio che intercede per Venezia della basilica della Salute eseguito nel 1652, dove, una certa ricercatezza nelle espressioni fisionomiche, ma soprattutto un colore schiarito, combinato ad una solida costruzione pittorica modulata dolcemente, divengono la cifra distintiva del suo ductus pittorico.    
Successivamente nel Sant’Antonio da Padova del duomo di Lentiai, segnalato da Mariuz e Pavanello, “il Santo padovano è visto non già come un intellettuale macerato dall’ascesi, che perviene al colloquio col Divino tramite la negazione dei sensi, ma proprio come il suo contrario, un florido, sanguigno giovanotto, scoppiettante nella sua pienezza vitale. Una grande robustezza di risalti plastici, che trasforma le nubi in un fumo denso e acre, sollevantesi a fatica, come quello di stoppie bagnate, ed una pennellata capricciosa e violenta, animano la composizione, in cui il personaggio principale ha rinunciato al consueto modulo della centralità simmetrica del dipinto. [...] L’opera è contemporanea al Diluvio universale [1662] dipinto dal Liberi per la Basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo; come quello, esso dimostra la particolare variante rubensianamente florida che l’artista dava al neo-tizianismo inventato dal Padovanino” (Lucco 1981).
Le rappresentazioni preferite furono però quelle mitologiche, sul tipo della Diana e Atteone del Bode Museum di Berlino, dove i suoi pennelli, tutt’altro che casti, poterono esprimere quel senso “libertino”, sensuale ed erotico, tanto apprezzato dai suoi contemporanei. Nell’opera berlinese “l’opulenza dei nudi femminili tocca accenti, oltre che tintoretteschi – il riferimento è alla Susanna e i vecchioni del Kunsthistorisches Museum di Vienna -  esplicitamente rubensiani, forse anche per il tramite del Liss, influendo decisamente sugli sviluppi ulteriori della pittura veneziana, ad esempio su Paolo Pagani” (Ruggeri 1996). La Venere addormentata con satiro e amorino del Museo Borgogna di Vercelli invece, fu giudicata da Roberto Longhi (1928), tra le molte di Liberi, come “la più bella di tutte le Veneri tizianesche”.
Nel Medoro e Angelica di Schleissheim, la fluidità dell’impasto e “la tenerezza fiorita in cui il colore si scioglie legando per via di qualità di materia le persone e gli elementi scenici che compongono l’idillio” (Pilo 1959) è da riferire all’intensità del rapporto con l’amico Sebastiano Mazzoni. Al fiorentino rimandano altresì le novità del taglio e certi scorci audacemente affrontati. Anche nel Serpente di bronzo, dipinto nel 1659 per la cattedrale di San Pietro di Castello, il riferimento a Maz­zoni è inevitabile, “soprattutto nella pen­nellata audace e vorticosa, plastica e densa di lumeggiature” (Roio 2001).
Le sue composizioni continuarono ad essere apprezzate anche nel secolo successivo. Zanetti infatti nel 1771 sottolinea come “il suo dipingere è dei più gustosi, l’impasto del colore è pieno di soavità e d’intelligenza: il pennello è da lui maneggiato assai prontamente e con bell’artifizio; e le opere sue hanno grazie e bellezza tali, che rallegrano l’anima dello spettatore e l’intrattengono piacevolmente. Tre maniere si trovano nelle opere di questo Pittore. La prima è grandiosa e nobile; e con questa poche cose ei dipinse. La seconda e la terza tutte in un tempo ei trattò; tenendo, com’ei solea dire, due sorte di pennelli nella stanza sua; l’una per gl’intelligenti, e l’altra per gl’ignoranti. Per i primi ei volea dipingere con ispeditezza e maestria; e perciò non erano sempre quelle pitture molto finite. Per i secondi all’incontro usava d’un’estrema attenzione e diligenza, cosicché si possono numerare i capelli nelle teste”. Di tutto interesse infine l’ammonimento formulato dallo stesso Zanetti (1771): “Molti allievi ed imitatori ebbe il Cavalier Liberi, che ricopiarono le di lui opere assai bene, fino ad ingannare gl’istessi Professori. Perciò deve stare in guardia chi acquistar vuole quadri di questo Pittore” (Zanetti 1771).
 

Daniele D'Anza