Nato a Parma il 26
gennaio 1582 (Bernini 1985), Lanfranco diede subito cenni di
straordinaria precocità verso le arti del disegno tanto da indurre il
conte Orazio Scotti, di cui era paggio, ad affidarlo ad Agostino
Carracci (1600). Questi, reduce da Roma, dove aveva preso parte alla
decorazione della Galleria Farnese, era stato chiamato a Parma dal duca
Ranuccio Farnese. “Morto Agostino, e cresciuto Giovanni sopra l’età di
vent’anni, si condusse à Roma nella scuola di Annibale Carraccci” (Bellori
1672). Tale viaggio, intrapreso assieme a Sisto Badalocchio, fu con
tutta probabilità sollecitato dallo stesso Ranuccio che “facendogli dar
parte e stanza nel palazzo dell’illustrissimo Farnese suo fratello acciò
con ogni commodo, sotto questo gran mastro [Annibale Carracci], potesser
far progresso nella professione” (Mancini 1621)
Il maestro gli affidò la decorazione con affreschi e tele riportate di
un camerino detto “degli Eremiti”. Il soggiorno romano fu molto intenso:
oltre alla decorazione della Cappella Herrera in San Giacomo degli
Spagnoli (1602-1607), eseguita assieme ad altri “carracceschi” sotto la
direzione di Annibale, fu impegnato, accanto a Guido Reni, nella
Cappella di Sant’Andrea (1608). Dipinse inoltre per la chiesa di Santa
Silvia in San Gregorio al Celio (1609), per quella dell’Annunziata
(1610) ed assieme al compagno Sisto Badalocchio, pubblicò un volume di
incisioni delle Logge di Raffaello, dedicato al comune maestro Annibale
Carracci.
“Nel 1610, poco dopo la morte di Annibale, Giovanni ritornò nell’amata
«Lombardia» dove in poco più di un biennio riuscì a realizzare alcune
delle sue pitture più significative: l’Angelo custode incatena il
demonio per la chiesa piacentina dei Ss. Nazario e Celso (ora a
Napoli); Gesù salvator mundi in gloria adorato da angeli e santi, per
l’altar maggiore della chiesa parmense di Ognissanti (ora nella locale
pinacoteca). Tutto ciò nonostante che il geniale e saturnino Ranuccio
Farnese - già legato allo Schedoni da un’amicizia possessiva e non
immune da qualche sospetto di morbosità - stesse facendo vivere al
ducato anni drammaticamente cupi.
Come è risaputo, il dispotico duca, che non aveva esitato a reprimere
nel sangue una congiura ordita nei suoi confronti, perseguiva una
politica rigorosamente assolutistica. Frequentatore di sedicenti maghi e
veggenti, egli non esitava a vagliare attentamente anche ogni carica
ecclesiastica che veniva assegnata all’interno del suo ducato” (Negro
1995)
“Tornato nell’Urbe prima della fine del 1612, gli occorsero però un anno
o due per riambientarsi in una città, dove Guido dominava la scena
artistica (fino al 1614) e anche il Domenichino riceveva importanti
commissioni pubbliche. [...] Nel 1615 affrescò soffitti in tre stanze di
palazzo Mattei, ma il suo capolavoro di quel periodo è la decorazione
della cappella Buongiovanni in Sant’Agostino (1616) dove ideò ed eseguì
la prima cupola barocca, sebbene su scala relativamente ridotta,
introducendo a Roma l’illusionismo correggesco. Il successo di quest’opera
richiamò l’attenzione del papa, che lo fece partecipare alla decorazione
del grande fregio nella Sala Regia del palazzo del Quirinale
(1616-1617), insieme ad Agostino Tassi, Saraceni e altri. Nello stesso
giro d’anni eseguì molte pale d'altare, sempre per Piacenza, ma anche
per città dell’Umbria (Orvieto), del Lazio (Vallerano, Farnese,
Leonessa) e delle Marche (Fermo)” (Schleier 1989).
Dopo il lavoro al Quirinale e soprattutto a seguito delle partenze di
Guido Reni (1614), Francesco Albani e Domenichino (1617), Lanfranco
divenne l’artista moderno preferito da Paolo V. Il contemporaneo
Baldinucci (ed. 1974) è tuttavia di un altro avviso: “la verità però si
crede che fusse che il Lanfranco...operasse...mediante gli uffizi della
propria consorte, donna astuta e entrante”. “Alla giovane donna, bella
quanto intrigante e risoluta, sembrerebbe perciò andare in parte il
merito di aver ottenuto alcune delle più importanti commissioni per il
marito. Ma sarebbe ingiusto dimenticare che lo straordinario successo
delle pitture della cappella Buongiovanni attirò su di lui la benevola
attenzione del pontefice Paolo V, e agevolò il compito all’amico pittore
Agostino Tassi, nel richiedere l’aiuto del Lanfranco per le impegnative
decorazioni nella Sala Regia (detta ora dei Corazzieri) al Quirinale”
(Negro 1995)
Tuttavia il successore di Paolo V, Gregorio XV, durante il suo
breve pontificato, preferì affidare incarichi ufficiali al Guercino e al
Domenichino. A Lanfranco comunque le commissioni non mancarono. Nel 1621
dipinse la Cappella del Crocifisso in Santa Maria in Valliccella mentre
fra il 1625 ed il 1627 eseguì il suo capolavoro, la cupola di Sant’Andrea
della Valle.
Il nuovo papa, Urbano VIII, protettore di Pietro da Cortona e di Bernini,
si avvalse significativamente della sua opera per la basilica di San
Pietro. “Nel settembre del ’28 fu scoperto il grande affresco con San
Pietro che cammina sulle acque (ora purtroppo frammentario) che gli
fruttò la nomina a Cavaliere dell’Ordine di Cristo da pare del
pontefice. Le pale per la chiesa di Santa Maria della Concezione ed i
lavori per San Pietro lo tennero occupato fino alla partenza per Napoli.
Vi giunse sulla fine del ’33 o agli inizi del ’34, chiamato dai Gesuiti
ed in poco più di un decennio con foga inesauribile eseguì un’imponente
serie di affreschi nelle più importanti chiese della città: dalla cupola
del Gesù Nuovo (1634-1636) con l’annesso Oratorio dei Nobili a quella
del Tesoro di San Gennaro (1641-1643), dall’interno dei Santi Apostoli
(1638-1646) alla volta della navata maggiore di San Martino (1637-1638)
al coro dell’Annunziata (perduto)” (Novelli 1966).
Rientrato per l’ultima volta a Roma nel 1646, Giovanni Lanfranco fece in
tempo ad affrescare il catino absidale della chiesa di San Carlo ai
Catinari. La morte lo colse poco, “alla mezzanotte del 29 novembre 1647”
(Negro 1995).