Antonio Bellucci (Venezia 1654 - Pieve di
Soligo 1726) - lo stile pittorico
Antonio Belluci è
stato uno dei più rappresentativi pittori veneziani degli ultimi decenni
del Seicento, anche per la sua attività di pittore viaggiante. “Con lui
ebbe inizio quel reciproco scambio di nuovi rapporti culturali tra la
pittura veneziana e quella straniera, rapporti che dovevano continuare
in seguito in modo proficuo per tutto il Settecento con i viaggi di
altri artisti nelle più importanti capitali europee” (Martini 1982).
Della collaborazione come figurista col Cavalier Tempesta (Lanzi 1809)
non rimane traccia e poco si conosce della sua attività giovanile. Tra
le prime opere databili figura il Battesimo di Sant’Eusebio (Venezia,
Gallerie dell’Accademia) del 1689, “nel quale il pittore si distende in
una più articolata struttura spaziale supportata da un luminismo ‘freddo’,
formato da un accordo cromatico che brilla trasparente. Un colore che si
fa tenero nei contrasti e un’intonazione pittorica tutta appoggiata
sulla sottigliezza del tratto applicato alla costruzione di volumi
saldamente disegnati, fa pensare ad un’attenta lettura delle invenzioni
di Louis Dorigny, artista che oltre ad unire le qualità del classicismo
francese, poteva contare sui contatti avuti con l’ambiente artistico di
Roma e Bologna prima di arrivare, nel 1678, a Venezia. Sulla strada
indicatagli da tali componenti figurative coltivate in ambito veneziano,
Bellucci perviene alla maturità artistica con il telero della chiesa
veneziana di S. Pietro di Castello raffigurante il Voto del Doge Nicolò
Contarini al Beato Lorenzo Giustiniani” (Magani 1995). In questo immenso
quadro il “lume che sbatte e rischiara in controluce è un’eco diretta
del gusto dello Zanchi; ma poi la composizione si svolge con un
movimento più incalzante in una luminosità più sciolta” (Pallucchini
1981), mentre l’intelaiatura architettonica dichiara tangenze con quelle
di Fumiani.
Successivamente Bellucci si specializza in una tematica profana di
carattere mitologico, dove può sfoggiare le sue qualità pittoriche
sempre più raffinate. Il recupero delle eleganze del Veronese così come
l’impiego del suo cromatismo timbrico è evidente nell’Ester e Assuero
della Gallerie dell’Accademia di Venezia, proveniente dalla chiesa di
San Matteo di Murano. Nelle due scene con la Magnanimità di Scipione e
la Famiglia di Dario ai piedi di Alessandro del Museo Civico di Vicenza,
appare invece evidente l’assimilazione di certe eleganze di Pietro
Liberi, che lo indirizzano verso una ritmica più spigliata e ad un uso
del colore più caldo e luminoso.
Le partiture tornite vengono però infrante, agli inizi del Settecento,
da una pittura più sciolta e mossa, suggestionata dagli esempi giovanili
di Sebastiano Ricci. Ne è un ottimo esempio la Rebecca al pozzo di
Pommersfelden (1707-1710), nella quale “una tecnica più informale si
distende nella composizione di modelli più incerti che emergono da zone
d'ombra, dove il paesaggio si svela contornato dai riflessi lunari e
l’effetto luministico è orchestrato nel gioco di fonti di luce tra loro
contrapposte, creando un riverbero affocato, dal tono crepuscolare. La
materia si addensa nelle ombre più profonde e attraverso colpi di colore
chiaro le superfici si frangono, acquistando vigore espressivo” (Magani
1995).
Antonio Bellucci è da considerarsi, accanto a Sebastiano Ricci, fra i
precursori dell’ultima grande stagione della pittura veneziana. Dal
bagaglio culturale del Seicento veneto, seppe cogliere quegli elementi
che avviarono ad un rinnovamento del gusto. Con la sua splendida e
doviziosa sapienza decorativa, creò le premesse per molte fra le più
affascinanti avventure della pittura veneziana del Settecento.