Antonio Balestra
(Verona 1666 - 1740)- lo stile pittorico
Durante il tirocinio veneziano presso la bottega di Antonio Bellucci,
Balestra entra in contatto con le opere di Tintoretto e frequenta
un’Accademia del nudo (Pascoli 1736-44). Successivamente l’ambiente
romano accademizzante che gravitava attorno alla figura di Carlo Maratta,
contribuisce a render più freddo il suo colorismo veneto.
L’assimilazione di un certo classicismo cinque e seicentesco ne
determina l’orientamento del gusto. Balestra infatti è a buon titolo
considerato uno dei protagonisti di quella reazione classicistica che si
attua in Veneto negli anni Novanta. Opera chiave di questo periodo è
sicuramente la Trinità di Castelvecchio (Marinelli 1978).
Un’altra testimonianza dell’assimilazione di certe esperienze romane è
la tela, dal colore festoso e un po’ languido, raffigurante La
ricchezza della terra
(Bolzano, Palazzo Mercantile) eseguita nel 1703. Per la Resurrezione
di Cristo della parrocchiale di Selvazzano invece, “il pittore deve
certamente aver guardato alla Resurrezione realizzata qualche
anno prima da Sebastiano Ricci per l’oratorio del Cristo in S.
Geminiano: tuttavia, rispetto all’ardito luminismo e alla dinamica
impostazione del dipinto riccesco, la pala del Balestra si caratterizza
per un’impostazione più calcolata e per un accentuato senso di ‘decoro’.
Dopo la celebre pala dei Gesuiti (1704) (con la quale il Balestra si era
fatto conoscere come uno dei primi pittori operanti a Venezia), il
Transito di San Giuseppe di San Marziale e la Natività di San
Zaccaria, di poco posteriori, e la pala di San Osvaldo della
chiesa di San Stae (1710), è certo questo il più impegnativo dei dipinti
realizzati dall’artista veronese per le chiese veneziane. Nei successivi
anni di permanenza nella città lagunare il pittore lavorerà
prevalentemente per «foresti», ed è soltanto alla vigilia del suo
rimpatrio a Verona che otterrà ancora una commissione da Venezia” (Pavanello
1979), la Natività
per la chiesa di Santa Maria Mater Domini. “Del 1717-18 sono i due
quadroni con il Martirio dei Santi Cosma e Damiano ora nella
Basilica di Santa Giustina di Padova, che mi sembra segnino un altro
passo nella evoluzione del linguaggio del Balestra. In questi dipinti,
prevale il senso teatrale e la grandiosità di una composizione che è una
complessa macchina scenica, dove mi pare evidente il richiamo al
Solimena, pittore del resto studiato nei suoi anni giovanili. Dopo
quest’opera il Balestra si ritira definitivamente a Verona, dove
naturalmente si infittiscono le commissioni in particolare chiesastiche”
(D’Arcais 1978). Sarà probabilmente la
sua posizione sempre più antirococò a indurlo a ritirasi nella città
scaligera, più congeniale di Venezia ad accogliere il suo linguaggio
pittorico, poco innovativo ma sempre tenuto su un livello qualitativo
alto (D’Arcais 1974). Ne è testimonianza la produzione tarda,
documentata in territorio veronese e bresciano-bergamasco, come ad
esempio i due dipinti di Santa Maria in Organo del 1718 -1719 o gli
estremi affreschi di palazzo Pompei a Illasi del 1738. “Il suo stile, composto
e quasi freddo, lo pone in una posizione del tutto indipendente, quasi
d’un neoclassicismo in anticipo” (Zampetti 1959). “In questo gusto il
Balestra, precedente del Neoclassicismo nel Nord, non meno importante di
quanto non sia nel Sud Pompeo Batoni, sa essere settecentesco,
nonostante le sue reazioni culturali, a un Magnasco, a un Piazzetta, a
un Tiepolo” (Battistini 1954). Il suo classicismo non gli impedisce però
di sperimentare diverse soluzioni formali e di cercare un nuovo accordo
figurativo con il nuovo mondo pittorico che veniva maturando. Con
Balestra, infatti, la vivacità formale del Seicento romano si innesta
nella tradizione pittorica veneziana e come giustamente osserva
Pallucchini (1951): “Egli porta nel Veneto quel senso di accademica
compostezza formale tipica del Maratta, quel suo «neoclassicismo» avanti
lettera, tendente a dare importanza soprattutto alla forma”. “Suo merito principale
è una vera appropriazione di mestiere prima ancora di cultura
figurativa, dato che seppe aggiustare alla sua fantasia spunti raccolti
qua e là. Tuttavia, se pur è evidente questo suo eclettismo, i modelli
rimangono un semplice ricordo inventivo che non è entrato profondamente
nella composizione e divengono quasi delle contingenze liminari” (Polazzo
1978).
"La fortuna che Antonio Balestra incontrò presso i suoi contemporanei è
variamente documentata: dalla diffusione, a largo raggio, della sua
opera - spesso divulgata anche attraverso la riproduzione a stampa -,
dalle assidue e precoci relazioni con aggiornati collezionisti e uomini
di cultura, e, tanto più, dalla frequentissima citazione da parte della
letteratura artistica più consapevole" (Ghio 1989).