Dyalma Stultus nacque a Trieste
il 31 ottobre 1901. La sua famiglia subì le disastrose conseguenze della
guerra e quindi visse in povertà. A diciassette anni poté iscriversi
all'Accademia di Belle Arti, di Venezia, grazie ad una borsa di studio
che ottenne dal Comune di Trieste, e lì si diplomò nel 1921 in "ornato e
decorazione", seguendo i maestri Ettore Tito e Arturo Sézanne.
Nonostante le notevoli difficoltà da superare, nel 1922 riuscì ad
organizzare la sua prima mostra personale a Ca' Pesaro, incoraggiato da
critici come Nino Barbantini e altri artisti che apprezzavano molto le
sue opere. L'anno seguente ritornò a Trieste e presentò una serie di
dipinti dal carattere impressionista alla Bottega del Libro. Dice egli
stesso che ammirava molti i maestri fiorentini del Rinascimento quali
Masaccio, Donatello, Leonardo, Michelangelo e altrettanto quelli della
Scuola veneta del Quattrocento e del Cinquecento (Giorgione, Tiziano,
Tintoretto). Riportate qui di seguito sono le parole tratte dalla sua
biografia, che scrisse nel 1948, intitolata Amore e passione per l'arte:
«Sono convinto che molto bene mi abbiano fatto questi anni di intenso
studio, con la visione presente di questi artisti, con il loro credo. Ma
era una cosa importantissima che uomini di quella potenza, giganti con
il respiro così largo e capaci di tanto sacrificio, non potevano più
facilmente sorgere; il clima e le possibilità erano cambiate, e forse
quei geni avevano esaurito parecchi secoli del divenire». Negli anni
successivi visse prima a Firenze (dalla primavera del 1927 all'inverno
del 1928), dove ebbe occasione di visitare i musei e le gallerie che lo
misero direttamente a contatto con le opere che tanto aveva ammirato;
poi si trasferì a Roma. Pur lavorando e vivendo lontano dalla sua città
natale, non la trascurò mai. Nel 1926 si tenne una sua mostra personale
al Circolo artistico di Trieste, presentata da Giorgio Bisia, che egli
definisce come «amico di pittori e letterati». Lo stesso Bisia curò poi
una biografia sugli anni di esordio e suoi primi successi dello Stultus.
La mostra ebbe un notevole successo e venne riportata in numerosi
articoli da critici di grande levatura come Silvio Benco e Luigi
Aversano.
Nel 1930 espose per la prima volta alla Biennale di Venezia due dipinti
e poi si ripresentò nel 1932 e 1934. Allestì poi altre due mostre
personali nel 1936 e nel 1942. Partecipò sempre a rassegne e concorsi
che si tenevano in Italia quando era ancora ventenne. Presenziò a
Torino, Roma, Milano, Firenze, Siena, Genova, L'Aquila, Bari, Perugia,
Zara e a tutte le Sindacali di Trieste e inoltre anche all'estero
partecipò a mostre collettive nelle città di Baltimora, Barcellona,
Budapest e New York. Nel 1941 si. trasferì a Firenze definitivamente,
dove conobbe altri artisti del Novecento italiano, strinse amicizia con
Felice Carena. Lavorò sempre appartato, lontano dalla folla, distaccato
dalle nuove tendenze e dalle nuove mode. Conservò le sue convinzioni sia
nel modo di vivere che di lavorare e lottò fermamente pur di non venirne
meno. A Firenze fu anche docente dell'Accademia di Belle Arti, dal 1942
al 1943, e poi al Liceo Artistico, dal 1971 al 1974. Insegnò anche a
Marino all'Istituto Statale d'Arte Paolo Mercuri, Siena preso dal 1956
al 1967, e all'Istituto Statale d'Arte Duccio di Buoninsegna, dal 1967
al 1971. Sono molte e da non dimenticare le sue opere, che oltre ad
arricchire le collezioni private sono conservate nei pubblici musei: di
Gorizia, Pinacoteca di Latina, Civico museo Revoltella di Trieste,
Comune di Roma. Altri affreschi e mosaici di soggetto religioso si
trovano nella chiesa di San Michele di Salcano, a Gorizia, nella chiesa
del Sanatorio Pineta del Carso, ad Aurisina (Trieste), nella chiesa di
Santa Maria delle Grazie, a Marino (Roma), a Segni (Roma) e presso l'Opera Pia Educandato Gesù Bambino, a
Trieste. Dyalma Stultus morì a Darfo in provincia di Brescia il 24
settembre del 1977.
LA SUA PITTURA
Pur non potendo collocare questo pittore in un preciso movimento o
corrente artistica che si voglia chiamare, del Novecento, egli ne
risente di un influsso a mio parere piuttosto evidente e dati i contatti
che ebbe con artisti quali Carlo Carrà, Felice Casorati, Mario Sironi,
Piero Marussig e molti altri, e dai valori plastici che esprime, e dalla
sua mano ferma e salda nel disegno e, dalla pittura dai colori così
solari, non possiamo che classificarlo come un "novecentista", anche se
non di stretta osservanza, dal momento che si astenne sempre da
qualsiasi attività politica. L'autore stesso lascia scritte queste
parole: «Eppure anche allora rumereggiava una infinità di inni e
bandiere dei rivoluzionari – i selvaggi - i futuristi – gli astrattisti,
Anche in questo tempo primeggiavano le opere polemiche che servivano a
urtare a svegliare i sonnolenti ed invitare i giovani di guardare il
nostro tempo. Infatti niente di più logico che sentire qualcosa di nuovo
– creare una nuova fisionomia, un'arte nuova senza tradire, senza
indietreggiare a quelle che sono state le grandi conquiste raggiunte.
Così io intendevo l'arte nuova, senza distruggere – senza calpestare –
senza odiare quel retaggio di grandezza e civiltà che è stato
conquistato nel nostro primo rinascimento.
Lo spirito inventore deve evolversi se è veramente geniale così credevo
e intendevo».
È opportuno però riconoscere che nella pittura di Stultus vi erano
"sintesi di eredità cubista", come disse Silvio Benco. Anche se non in
primo piano egli aveva saputo cogliere ed evidenziare queste
caratteristiche così diverse inserendole nei suoi quadri. Le figure si
presentano ai nostri occhi con una ieraticità quasi bizantina, anche
quando si possono intuire tutti i loro movimenti; i paesaggi sono
avvolti da una atmosfera ineffabile e da una serena malinconia.
Egli fu un artista e un uomo che, già ventenne, aveva fatto le sue
scelte. Era per lui fondamentale essere libero di dire e di agire e
questa sua indipendenza la conservò sempre stringendo i denti, senza mai
piegarsi davanti alle difficoltà. È proprio ciò gli costò niente di più
che il silenzio dei suoi contemporanei. Il successo lo pagò caro, ma si
deve ammettere che aprì da sé la sua strada, in discesa e in salita
soprattutto, solamente con le sue forze, raggiungendo il successo. Sono
da ricordare qui altre parole dell'artista che scrisse in Amore e
passione per l'arte, le quali confermano quanto detto e ci fanno capire
con quale forza erano radicati in lui i suoi ideali. Egli dice: «Fin da
bambino la cosa più bella per me era l'arte – modellavo – poi mi prese
la passione per la musica e non so come giunsi alla pittura – forse
perché questa più di tutte probabilmente appagava tutti i miei sensi. Mi
avrebbe appagato e completato – la forma nel disegno e la musicalità nei
colori. Giovanissimo appena finita la guerra del '14–'18 ottenni una
borsa di studio dal Comune per frequentare l'Accademia di Belle Arti di
Venezia. Era la prima volta che lasciavo la mia città, la mia
poverissima casa e mia madre. Da una vita di stenti e fatiche; dopo una
guerra con le sue tessere di pane duro e nero, ardeva in me un solo
desiderio: amare l'arte e lottare per essa con tutte le mie
forze».
Alessandra Doratti