Filippo Palizzi, Dopo il Diluvio, Olio
su tela 185 x 266 cm. Napoli, Museo e Gallerie Nazionali di
Capodimonte
Nato
il 16 giugno 1818
nell'antica cittadina di Vasto, in Abruzzo,
Filippo proveniva da una famiglia numerosa, dove tutti esprimevano un
forte interesse per le arti visive.
Il padre, Antonio, avvocato ed insegnante di lettere, la madre, Doralice
del Greco, originaria di Rocca San Giovanni, dedita alla musica.
Filippo, a Vasto si era già cimentato nell'arte, disegnando paesaggi e
mappe topografiche, nell'intaglio del legno e nella modellazione della
ceramica. Nel 1838, ottenuto un sussidio della Provincia dell’Abruzzo di
quattro anni,
Filippo Palizzi raggiunse il fratello Giuseppe a Napoli,
e grazie alla raccomandazione del ministro Santangelo per il direttore
del Reale Istituto di Belle Arti, venne accolto nell'Accademia, sotto la
guida di Camillo Guerra, Costanzo Angelini e
Gabriele Smargiassi
(Vasto 1798 - Napoli 1882),
quest'ultimo
da poco succeduto all'olandese
Antonio Van Pitloo (1791-1837)
nella cattedra di
paesaggio. Ben presto
gli interessi di Filippo si rivolsero all'indagine dal vero, e non
trovandosi a proprio agio all'Accademia, la abbandonò per iscriversi alla
Scuola Libera di Giuseppe Bonolis.
Il suo profondo interesse per la
natura e un acuto senso di analisi,
sorretto dalla conoscenza dell'arte fiamminga e degli olandesi che
lavoravano ed avevano operato a Napoli,
lo condussero alla realizzazione di
umili temi dalle pienezze formali,
realizzati con
colorazioni soffuse di bruni trasparenti ed azzurri luminosi, che
palesano la diretta influenza del Pitloo:
paesaggi con
figure di contadini e pastori, rocce, tronchi, alberi, colombi, cavalli,
asinelli, cani,
mucche e pecore, sarebbero stati i
suoi temi ricorrenti.
L'artista sapeva rendere anche la minima scabrosità di una superficie,
di un sasso, di un legno, o la ruvidezza del pelo di un animale, con una
pennellata fitta e materica.
Filippo Palizzi, Tramonto, olio su
tela. Milano, Museo della Scienza e della Tecnologia.
Filippo Palizzi, All'Abbeverata, olio
su tela. Milano, Museo della Scienza e della Tecnologia.
Domenico Morelli,
ricorderà più tardi:
«faceva da sé i pennelli», ....«per
dipingere l'erba, i peli degli animali, trovava modo di rendere evidente
qualunque superficie».
Si dedicò anche alla figura
umana,
con forti ed espressivi ritratti,
al paesaggio ed alla natura
morta.
Nel 1838, vinse il primo premio per
il saggio scolastico Vacche ritratte dal vero;
nel 1839 espose
Studi di animali (medaglia d'argento all'esposizione borbonica)
che furono acquistati dalla duchessa di Berry. Una svolta economica,
alla modesta vita condotta a Napoli assieme al fratello, sarebbe
arrivata quando Gaetano Genovese, architetto di corte, presentò un
dipinto di Filippo a Ferdinando II di Borbone, che lo acquistò. Chiamato
a corte, insegnò pittura al principe Luigi, conte dell'Aquila (1824 -
1897) ed alla principessa Maria Amelia (1818 - 1857), fratello e sorella
del re. Nel 1841 presentò
Pastore che beve e Due pastori;
nello stesso anno, il re acquistava
Il mese di maggio, commissionandogli contemporaneamente il
pendant, Ritorno dalla campagna.
Fra il 1841 e il 1842, soggiornò in Basilicata per studiarne i
costumi popolari; fu poi al seguito del principe Maronsi, seguendolo in
Moldavia, Romania, Grecia, Turchia, Malta - realizzando numerosi
ritratti all'aristocrazia e traendo vari disegni ed impressioni di
viaggio. Nel 1842 si era trasferito a Napoli un altro dei fratelli
Palizzi, Nicola, anch'egli dedito alla pittura. All'inizio del 1844,
Filippo rientrò in Italia, riprendendo ad operare nello studio di Santa
Maria in Portico, proprio quando il fratello Giuseppe, all'epoca
trentatreenne, aveva deciso di trasferirsi a Parigi, divenendo
con il tempo un punto di
riferimento per i giovani artisti italiani che si recavano per studio a
Parigi - un trait d'union tra le due culture artistiche.
Con lui avrebbe mantenuto un costante rapporto epistolare; le ripetute
visite in Francia e gli interessi del fratello, avvicinarono Filippo
alla scuola di Barbizon
e all'ambiente parigino.
Dopo il 1848,
con le istanze risorgimentali,
la sua pittura,
rappresentando soggetti relativi
ai martiri cristiani, allude alle persecuzioni subite dai patrioti, ai
quali fecero seguito,
verso il 1860, alcuni
dipinti e bozzetti militari e di vita
garibaldina.
Di carattere schivo e chiuso, preciso
ed abitudinario, Filippo amava recarsi ogni anno da luglio a novembre a
Cava dei Tirreni, ove traeva ispirazione per i suoi paesaggi.
Del 1851 è l'opera
Il Real sito di Carditello (Napoli, Museo di Capodimonte),
acquistato dal re;
nel 1853 intraprende un viaggio in
Olanda, Belgio, Roma e Firenze;
nel 1855 si reca a Parigi, presso il fratello Giuseppe.
Dagli anni Sessanta si dedica anche
alla ceramica, realizzando
pannelli, piatti e fontane;
nel decennio successivo inizia l'attività incisoria e di illustratore (Usi
e costumi di Napoli), fornendo quarantotto disegni.
Nel 1861 è tra i fondatori della
Società Promotrice di Belle Arti di Napoli; presidente del consiglio di
direzione nel 1862 e presidente del giurì artistico nel 1866 e nel 1867.
Convinto sostenitore del
plein-air, rimproverava ai pittori di storia di voler
dipingere avvenimenti ambientati in spazi all'aperto studiando il
modello nella luce artificiale dello studio.
La
sua pittura, nel tempo,
si era progressivamente aggiornata su una matura considerazione degli
esempi francesi, soprattutto dei dipinti di Gustave Courbet e
Jean-François Millet. Iconograficamente innovativi, liberati dalla
teatralità riscontrabile nelle scene di genere ancora debitrici alla
pittura di storia, i dipinti francesi proponevano una visione nuova del
fare arte,
con i temi del lavoro e della fatica
fisica che gravava su uomini e donne, privati da ogni speranza di
riscatto sociale,
divenendo così per molti dei nostri
artisti italiani
prototipi pittorici e
modelli etici.
Nel 1868, Filippo divenne docente al
Reale Istituto di Belle Arti di Napoli, prodigandosi per la riforma
dell'Accademia che ebbe poi seguito nel 1878. Nel 1880 si dimise,
accettando la direzione artistica del Museo Artistico Industriale
Scuole Officine,
che aveva contribuito a fondare nel
1878 assieme a
Gaetano Filangieri e Domenico Morelli. Le opere prodotte in
collaborazione con gli allievi, venivano selezionate per essere inserite
nelle raccolte del Museo. Nel 1938, le principali opere realizzate da
Palizzi con i suoi allievi,
nelle quali si evidenzia l’alta
qualità delle tecniche di esecuzione,
sarebbero state tolte dall’Inventario generale della produzione delle
Scuole Officine e collocate in un ambiente denominato “Sala Palizzi”.
Filippo Palizzi ricoprì molte cariche
onorifiche e fu socio di varie accademie italiane e straniere.
Nel 1892 donò circa trecento studi alla Galleria Nazionale d'Arte
Moderna di Roma; nel 1898, anno che precede la sua morte, lasciò diverse
opere sia alla Galleria dell'Accademia di Napoli, sia al Museo Civico di
Vasto.
Si spense a Napoli l'11 settembre
1899.
Negli ultimi quattro decenni del
secolo,
Filippo Palizzi,
insieme a Domenico
Morelli,
guidò, non senza contrasti, le sorti
dell'istruzione artistica a Napoli, indirizzando la maggior parte dei
giovani che si affacciavano all'arte nella città partenopea
ad una attenta osservazione della natura e a una minuziosa restituzione
dei particolari.
La sua pittura,
eccessivamente magnificata o
deprezzata,
criticata dagli ambienti accademici
dell'epoca
per essere di un verismo troppo
oggettivo ed
a cui non erano estranei i dibattiti sulla fotografia che proprio in
quegli anni si andavano ampliando,
pur non soggetta
nel tempo
a radicali evoluzioni nell'impaginazione compositiva e nel ductus
pittorico, non sarebbe però mai scaduta nel generismo o nella manualità,
tanto da poter essere meritatamente inserita nella tradizione della
scuola napoletana più accreditata ed autorevole.
Tra i numerosi allievi di
Filippo Palizzi:
Raffaele Armenise, Michele Cammarano,
Edoardo Dalbono, Marco De Gregorio, Domenico Morelli, Giuseppe Aprea,
Domenico Battaglia, Nicola Ascione, Giuseppe Casciaro, Silvio De
Angelis, Gaetano Esposito, Eugène Wenceslas
Foulques, Ugo Galvagni, Garibaldi
Gariani, Vincenzo Vaccaro.
Fra le sue opere maggiori, ricordiamo
ancora: Ritratto di Garibaldi a cavallo (1851);
Paesaggio al tramonto (1854); Cortile campestre (1857);
Gruppo di Garibaldini (1860);
Dopo la pioggia (1864);
Capre in pastura, (1866);
La carica di cavalleria al comando
del colonnello Strada a Villafranca (1867); Dopo il diluvio
(Napoli, Museo di Capodimonte), opera commissionata da Vittorio Emanuele
II, ed esposta a Parigi nel 1867 (medaglia d'oro); L'ultimo giorno di
Pompei;
L'uscita degli animali
dall'arca di Noè (esposto nel 1867 a Parigi e donato da Vittorio
Emanuele II alla Pinacoteca di Capodimonte); La carica dei
cavalleggeri di Alessandria; Il Principe Amedeo di Savoia ferito durante
la battaglia di Custoza; Ritratto di Giuseppe Palizzi
(Napoli, Museo Filangeri), Autoritratto (Firenze, Uffizi);
Viottolo di campagna con
prete
(1873);
Un canale nel parco Spinelli
(1873);
L'amore del toro;
Mercato dei cavalli; L'asinello malato;
Ponte sul fiume Sarno e Contadina nel vallone (Napoli,
Accademia di Belle Arti); Ecce Agnus Dei (Chiesa di San Pietro a
Vasto);
Interno di stalla con vitello e galline (Ivrea, Fondazione Guelpa);
Al pascolo con le caprette (1854, Buenos Aires, Galeria de Arte
Leonardo da Vinci);
Mandria di bufali (1869 Piacenza, Galleria Ricci Oddi);
Fanciulla su roccia a Sorrento (1871);
Monelli di strada (1872, Firenze, Palazzo Pitti);
Ritratto di Nicola
(Vasto, Pinacoteca);
Ritratto di Antonio Palizzi
(Vasto, Pinacoteca);
Ritratto delle sorelle Felicetta e Luisa
(Vasto, Pinacoteca);
Asinello alla greppia (1861,
Chieti, Museo d’Arte Costantino Barbella);
Ritratto del barone de Riseis (1869,
Chieti, Museo d’Arte Costantino Barbella);
Autoritratto (1839, Vasto, Pinacoteca);
Coppia di cervi in un paesaggio (1840 ca.);
Contadino fermo e contadinello che suona il piffero (Napoli, 1840
Roma, GNAM);
Vista del Serraglio (1843, Vasto, Pinacoteca);
Real Sito di Carditello (1851. Reggia di Carditello, San Tammaro);
Pastorelli nel bosco (1852, Vasto, Pinacoteca);
Il Cocchiere (1853, acquaforte colorata a mano - Vasto,
Pinacoteca);
Al pascolo con le caprette (1854, Buenos Aires, Galeria de Arte
Leonardo da Vinci);
Paesaggio con alberi (Piacenza, Galleria Ricci Oddi);
Giovinetta alla sorgente (1856, Roma,
GNAM);
Mucca al pascolo (1856 Chieti, Museo d’Arte Costantino);
Interno di stalla con vitello e galline (Ivrea, Fondazione Guelpa);
Dopo il Diluvio (1863, Napoli, Museo di Capodimonte);
Mandria di bufali (1869, Piacenza, Galleria Ricci Oddi);
Monelli di strada (1872, Firenze, Palazzo Pitti).
Giorgio Catania
BIBLIOGRAFIA:
Pittori e Pittura dell'Ottocento
Italiano - De Agostini, Novara 1997-1999
AA.VV.:
Pittori abruzzesi dell’Ottocento, Sambuceto, Poligrafica Mancini, 1995
Thieme-Becker,
Allgemeines
Lexikon der bildenden Künstler,
Leipzig 1992
AA.VV.:
La Pittura in Italia - L'ottocento -
Electa, Milano 1991
E. Benezit, Dictionnaire des
Peintres, sculpteurs, dessinateurs et graveurs. Parigi 1976
Dizionario Enciclopedico Bolaffi
dei pittori e degli incisori italiani dall'XI al XX secolo, Torino
1972
A. M. Comanducci, Dizionario
illustrato dei pittori e incisori italiani moderni, Milano 1962
Galetti e Camesasca, Enciclopedia
della pittura italiana. Milano 1951