Giuseppe Pellizza (Volpedo 1868 ?  1907)  

 

 

Figlio di una famiglia di piccoli proprietari terrieri, Giuseppe viene introdotto nel mondo dell'arte da Alberto Grubicy, il quale, tramite contatti commerciali con i suoi genitori, era venuto a conoscenza dell'attitudine al disegno del giovane, che era infatti solito copiare le illustrazioni delle riviste. Giuseppe viene iscritto quindi alla scuola tecnica di Castelnuovo Scrivia dal 1880 al 1883, per poi frequentare l'Accademia di Belle Arti di Brera tra il 1884 e il 1886 (tra i professori Francesco Hayez e Giuseppe Bertini) e ricevere, nel medesimo periodo, lezioni dal pittore Giuseppe Puricelli, dal quale impara la pittura ad olio e lo studio dal vero. Quando il maestro si trasferisce in Russia, Pellizza entra nello studio di Pio Sanquirico, dove resta fino al 1887, anno in cui si trasferisce a Roma per continuare il tirocinio formativo: qui si iscrive all'Accademia di San Luca e all'Accademia di Francia ma, non contento di come i professori affrontino il rapporto con gli studenti, conclude gli studi prima del termine degli stessi.

Le peregrinazioni del ligure verso le maggiori città artistiche continuano con il trasferimento a Firenze nel 1888, dove frequenta i corsi di Giovanni Fattori all'Accademia di Belle Arti: grazie agli insegnamenti di questo grande artista, Pellizza approfondisce ulteriormente la pittura dal vero attraverso lo studio della natura, riuscendo a perfezionarsi ulteriormente tramite lavori personali nella natia Volpedo. Tra il 1888 e il 1889 è all'Accademia Carrara di Bergamo sotto l'egida di Cesare Tallone, il quale sgrezza Giuseppe nel disegno dal vero della figura umana completa e del nudo.

Dopo un soggiorno parigino alla fine del 1889, Pellizza frequenta, l'anno successivo, l'Accademia Ligustica a Genova per affinarsi nello studio del paesaggio, mentre nel 1891 partecipa alla prima Triennale dell'Accademia di Brera e nel 1892 espone alla Promotrice di Torino. In questo stesso anno sposa la giovane Teresa Bidone (che verrà ritratta in alcune opere dell'artista) di Volpedo, città dove decide di ritornare a vivere e a lavorare. E' questo un periodo di grandi soddisfazioni per Pellizza, sia personali che artistiche: tra quest'ultime, la medaglia d'oro ottenuta all'Esposizione Italo-Colombiana di Genova con il dipinto Mammine (1892). Sempre desideroso di elevarsi verso la perfezione tecnica, tra il 1893 e il 1895 è nuovamente iscritto all'Accademia di Firenze, dove completa gli studi. Dopo aver partecipato a diverse rassegne artistiche nelle più importanti città italiane ed essere entrato in contatto con la cerchia dei pittori divisionisti (di notevole importanza il continuo rapporto epistolare con l'amico Angelo Morbelli), nel 1900 Pellizza è nuovamente a Parigi per l'Esposizione Universale, ed espone successivamente nelle maggiori città europee e in America; nel 1902 partecipa alla Quadriennale di Torino con la sua opera più nota, Quarto Stato (1901), che non viene però premiata.

In questi anni muoiono la moglie e l'ultimogenito dell'artista, e lo sfortunato periodo sembra essere mitigato da alcuni successi professionali e dalla vendita di diverse opere d'arte in seguito ad un viaggio a Roma. Ma Pellizza, stressato dal troppo lavoro e sempre più depresso per la perdita della fedele compagna, si impicca nel suo studio il 14 giugno del 1907.

 

 

LO STILE

 

 

Senza ombra di dubbio, il nome di Giuseppe Pellizza da Volpedo è legato al Divisionismo, tecnica pittorica che assume come linguaggio l'uso "diviso" dei colori complementari. D'altra parte, è anche certo che l'adesione di Pellizza a questa visione dell'arte avviene solo verso l'inizio degli anni Novanta dell'Ottocento, mentre in precedenza la sua attenzione è attratta prevalentemente dalla resa del vero tramite l'osservazione senza pregiudizi della realtà ne è un esempio La piazza di Volpedo (1888), tela che ritrae uno scorcio della cittadina tanto cara all'artista.

Negli anni successivi, l'attenzione di Pellizza si sposta anche sugli elementi sentimentali e simbolici (Ricordo di un dolore, 1889), mentre i ritratti del padre (1889-1890) e della madre (1890) evidenziano come l'artista stesse gradatamente abbandonando le stesure uniformi di colore a favore di pennellatte più brevi. E' questo il momento dell'adesione al Divisionismo, che si traduce sulla tela in visibili pennellate-puntinate di colore puro e nella rinuncia all'utilizzo del nero per ottenere gli effetti di ombra, sull'esempio degli impressionisti d'oltralpe: sono una lampante dimostrazione di questa nuova filosofia tecnico-artistica dipinti come Sul fienile (1893), Speranze deluse, Panni al sole (entrambi del 1894) e La processione (1894-1895). Sul fienile è la prima tela nella quale Pellizza cerca di applicare compiutamente i precetti divisionisti, i quali vengono messi a punto dallo stesso artista nei suoi dipinti successivi. In questi, inoltre, emergono con sempre maggior forza quegli elementi emotivi che già affioravano nei ritratti dei genitori, esplicando in tal modo la volontà di Pellizza di un'arte che trascenda la semplice adesione al vero: un'arte, quindi, realista nella forma ma simbolista nella funzione.

Ed è in questa accezione che deve essere osservato Lo specchio della vita (E ciò che l'una fa e l'altre fanno) (1898), allegoria animalesca del vivere umano, nella quale la denuncia della passività d'intelletto (intesa come mancanza di volontà di diversificarsi dagli altri) è simbolicamente rappresentata da una fila di pecore (animali docili e obbedienti per eccellenza) immersa in un paesaggio studiato dal vero (Val di Curone), e realisticamente riprodotto sulla tela tramite vibranti pennellate e giochi di luce. E proprio quest'ultimi, in opere di tal forza spirituale, diventano il mezzo adatto per trascendere l'aspetto materiale del dipinto e conferirgli un maggiore impatto emotivo (similmente a Idillio primaverile, 1896-1901): "realtà e idea" non sono, quindi, elementi contrapposti, ma si integrano dialetticamente tra di loro.

Un discorso particolare merita, a mio avviso, Quarto stato (1901), opera frutto di un'elaborazione decennale che parte da studi di scioperanti ritratti dal vero. Indubbiamente, però la volontà di Pellizza non è quella di rappresentare una scena di cronaca contemporanea della sua città bensì quella di assurgere a qualità universali i valori etici e comuni della nascente ideologia socialista, dalla quale è chiaramente influenzato: l'immagine della marcia di questi lavoratori, pacifici ma determinati nel far valere le proprie ragioni, evoca l'idea di una nuova rivoluzione, non violenta, verso la nascita di una nuova società egualitaria. Anche in quest'opera, al realismo compositivo si associano particolari simbolici, come il bambino in braccio alla donna in primo piano, allegoria della rinascita, e il tramonto sul fondo, il quale esprime l'allontanamento dei lavoratori da un passato oscuro e il conseguente avvicinamento al "sole dell'avvenire".

 

 

Mirko Moizi

 

 

 

 

 

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