Pittore di formazione accademica, basata sulla tradizione classica dei modelli
raffaelleschi e seicenteschi, fratello di Domenico e di Francesco e figlio di
Fortunato, da lui ereditò l’istinto innato all’arte. Il cognome originario era
Morano, ma Vincenzo lo cambiò per due ordini di motivi: intanto perché al tempo
grandi artisti (Camuccini, Donizetti e altri) avevano la desinenza finale con
la vocale "i" e poi perché spesse volte i fratelli firmavano assieme le opere ed
erano conosciuti nell’ambiente artistico come “i Morani”. Sin da fanciullo
cominciò a disegnare figure sulla carta e a modellare statuette di creta,
dimostrando doti notevoli, per le quali fu mandato a spese del comune a studiare
disegno a Napoli. Qui abitò inizialmente all’Albergo dei Poveri e poi a casa del
medico Francesco Rocca, suo compaesano, che lo presentò al generale Nunziante
per la cui intercessione re Francesco I di Borbone gli concesse una pensione
mensile di nove ducati. Si iscrisse dunque, nel 1828, alla scuola di Costanzo
Angelini e all’Istituto di Belle Arti, divenendo allievo del Cammarano. Dal 1830
(anno in cui i padri Benedettini gli affidarono l’incarico di eseguire il
grande affresco Urbano II mentre si reca alla Cava, accompagnato da Ruggero
principe di Salerno, scende da cavallo e scalzandosi chiede a tutti di fare come
lui per venerare il luogo abitato dai Santi) al 1857 lavorò come
pittore-decoratore all’Abbazia benedettina di Cava dei Tirreni e affrescò le
volte della navata con scene della vita di Cristo, San Placido, San Benedetto,
Santa Felicita, Sant’Algerio; le stanze adiacenti con scene bibliche e
benedettine ed episodi della storia dell’abbazia; la cupola del Tempio con I 24 seniori dell’Apocalisse davanti al Re Padre. In questa città, nel 1832, conobbe
il grande romanziere Walter Scott, del quale di nascosto aveva eseguito il
profilo, disegno che riportato in litografia fu venduto a beneficio dell’autore,
che aveva rifiutato il compenso. Lo scrittore lo presentò alle più distinte
famiglie inglesi residenti a Napoli, presso le quali egli dipinse una serie di
ritratti. Nel 1833 espose al Museo Borbonico di Napoli e l’anno successivo
all’Esposizione di quella città fu presente con le opere Armeno che porge la
corona ad Ester, Angelica e Medoro e Il padre del Figliol Prodigo, quest’ultimo
premiato con medaglia d’oro. Sempre nel ’34 concorse per la pensione con l’opera
Archimede all’Istituto Farnese di Roma, città in cui lavorò su temi di carattere
mitologico (Storia mitologica, Psiche rapita da Zefiro, Apollo e Teti , San
Giovanni Battista che rimprovera Erode ed Enea che riceve le armi da Venere,
opera ultima esposta nel ’39 a Palazzo Farnese), storico (Raffaello e la Fornarina), sacro (Battista ed Erodiade, Napoli, Capodimonte;
La Madonna del
Carmine, per una confraternita di Anoia), risentendo l’influenza del nazareno
Overbeck, e dove divenne docente all’Accademia di Belle Arti. Nella capitale il
principe Marino Torlonia gli diede l’incarico di affrescare il Palazzo, in
concorrenza col Camuccini e col Carta, e Morani vi realizzò una serie di
affreschi, terminati verso il 1842: sulla volta Il Padre Eterno, nelle lunette
Angeli Musicanti ed episodi della Vita di Mosè, nei pennacchi I Quattro Profeti
Maggiori e i loro simboli, nell’abside Il Salvatore adorato dagli Angeli.
Successivamente un altro Torlonia, il principe Alessandro gli commissionò
l’incarico di dipingere l’Apollo che riceve doni e omaggi dalle Muse per il
Palazzo di piazza Venezia. Prese parte a varie Biennali Borboniche: 1835 - con
due opere, Ritratto di Pasquale Borrelli e il bozzetto della Morte di Archimede;
1837- con La creazione di Adamo e Davide (Napoli, Museo di Capodimonte); 1839 -
con Venere che reca le armi ad Enea e San Giovanni, Erode ed Erodiade (anche quest’ultimo a Capodimonte); 1845 - con
La Sacra Famiglia (Napoli, Reggia);
1851 - con Il riposo della Sacra Famiglia e Visita di Pietro Bembo a Raffaello.
Nel 1862 inviò all’Esposizione Universale di Londra le opere Dante e Beatrice
incontrano Piccarda e la Regina Costanza e Costumi romani; mentre nel ’70 prese
parte all’Esposizione d’arte cristiana a Roma, con un bozzetto, I dottori
dell’Ordine Benedettino e due tele, La barca miracolosa e Il riposo in Egitto,
per una delle quali vinse la medaglia d’oro. Papa Pio IX gli commissionò due
quadri da inviare al Concilio di Calcedonia, San Gregorio Illuminatore e
San
Leone Magno; il Re di Napoli Ferdinando II di Borbone gli commissionò il Gesù
Cristo (Gaeta, Chiesa di San Francesco), per il quale ebbe un premio in oro di
1a classe. Quattro sue opere, Dante: canto III del Paradiso, acquerello;
Ritratto di Walter Scott, abbozzo; Ritratto del comm. Florimo; Ritratto di
Francesco Florimo seniore furono esposte a Catanzaro, 1a Mostra d’Arte
Calabrese, 1912; e numerosi bozzetti alla Biennale di Reggio Calabria del 1920.
Il Frangipane scrive anche di due album di disegni di carattere sacro e storico,
risalenti agli anni 1849 -’60: Testa del Redentore, Profilo di San Gaetano,
Cristo fra gli Apostoli, Gesù risuscita una morta, Gregorio VII salvato dal
Guiscardo. Suoi affreschi nella Cappella del Monastero dei padri Benedettini di
Roma; nella Chiesa del Camposanto nuovo di Napoli la tela La Crocefissione; nel
Duomo di Capua i Dieci Santi; nella Basilica di San Paolo fuori le Mura di Roma
San Paolo battuto con le verghe per ordine del magistrato della città di Filippi,
la settima opera della navata di crociera; nella chiesa di San Giorgio a Morgeto
I Profeti; a Roma, in Santo Spirito, un dipinto nel frontone, La Regina per
migliorare ed accrescere le manifatture di S. Leucio adopera la sua voce e la sua
mano, realizzato per le esequie di Maria Cristina di Savoia. Fu un eccezionale
ritrattista, come si evince dalle numerose opere rimaste (Ritratto di Ersilia
Morani, Frascatana, Ritratto della principessa Colonna, Ritratto della Marchesa
Avati della Posta, Ritratto della Ristori al naturale, Ritratto della contessa
Persico di Venezia, Ritratto della principessa Gerace, Ritratto del cardinale
Riario Sforza). Si conoscono anche alcuni suoi disegni (Madonna che allatta il
Bambino di Pacecco De Rosa, Due putti, tavola della scuola di Leonardo Da Vinci), incisi dal Lasinio. Nel Museo del Folklore, a Roma, l’opera
Pranzo in
campagna, che alcuni testi riportano trovarsi nella Galleria Nazionale d’arte
moderna di Roma, galleria che invece ci informa (lettera del 28 ottobre 1998)
di conservare L’incoronazione di Ester, cm 295 x 200, lascito del Principe Don
Fabrizio Ruffo, 1920. Nel Museo di Roma, a Palazzo Braschi, la piccola tela
Apollo che riceve doni dalle Muse, 1842, modello di una più grande che decorava
una sala di Palazzo Torlonia a Piazza Venezia.
Bibliografia: Emilio Lavagnino,
L’Arte
Moderna, Utet, Torino, 1956; M. Monteverdi; Pittori e pittura dell’Ottocento
italiano, DeAgostini; La Pittura Napoletana dell’Ottocento, Pironti.