Angelo Morbelli (Alessandria
1854
– Milano 1919)
Angelo Evasio Teresio Morbelli nacque ad Alessandria il 18 luglio 1854.
Il padre Giovanni, originario di Casale Monferrato, era un funzionario
dello stato sabaudo.
Intraprese i primi studi di carattere musicale ad Alessandria, ma
dovette presto abbandonare tale attività perché affetto da una sordità
precoce e progressiva.
Nel 1867 si trasferì a Milano, dove si iscrisse all’Accademia di Brera e
divenne allievo di Giuseppe Bertini.
Terminati gli studi, alla fine degli anni Settanta, cominciò ad esporre
a Milano e poi anche a Torino. Le sue prime opere sono ispirate a
soggetti diversi: Morbelli spazia dal tema storico alla pittura di
paesaggio, applicando ancora gli insegnamenti che gli erano stati
impartiti in ambito accademico. Testimonianza di questi esordi, è la
grande tela del
Goethe morente, esposta a Brera nel 1880: l’opera è il tributo che
Morbelli paga all’idealismo romantico, prima di sgravarsene e lasciarsi
coinvolgere dalla nuova corrente della filosofia positivista, già in
voga in Francia.
A
partire dal 1883 le tematiche della pittura di Morbelli si spostano
verso il realismo, assumendo i soggetti dalla realtà del suo tempo: è di
quell’anno, infatti, il quadro Giorni ultimi che raffigura i
poveri vecchi del Pio Albergo Trivulzio di Milano, opera che gli valse
il premio Fumagalli, assegnatogli dall’Accademia di Belle Arti.
All’inizio degli anni Ottanta, Morbelli sposò con Maria Pagani la quale
gli diede quattro figli e fu la sua musa ispiratrice per diversi quadri
che hanno come soggetto la maternità. Nello stesso periodo incontrò il
critico d’arte Grubicy; sebbene il rapporto tra i due non si
ufficializzò con un contratto che legasse il pittore al gallerista,
l’incontro ebbe, senza dubbio, ripercussioni sul futuro stile pittorico
dell’artista.
Nel 1890, Morbelli cominciò ad adottare la scomposizione progressiva dei
colori con una ricerca rigorosa, consona al suo modo di dipingere,
coscienziosamente metodico. L’opera che dimostra questa svolta
stilistica, Alba, fu esposta alla prima triennale di Brera, nel
1891.
Da quel momento il pittore adottò la tecnica divisionista come strumento
per confrontarsi con il vero, continuando a mostrare quel realismo
descrittivo e quegli interessi umanitari e sociali che avevano
caratterizzato la sua opera fin dagli esordi.
Con la tecnica divisionista, basata sull’accentuazione dei valori
dell’atmosfera, Morbelli realizzò i suoi capolavori, dove non mancano i
riferimenti letterari che gli derivavano dal contatto con il gruppo
degli scapigliati milanesi e dallo studio di Delacroix e del
romanticismo francese.
Il Divisionismo fu per Morbelli il mezzo per esprimere la modernità,
anche nei suoi aspetti più drammatici e malinconici. Per lui, di
estrazione borghese e legato ai valori di quella classe sociale, era
necessario esprimere il “nuovo”, uscendo dalla sfera del privato, anche
adottando mezzi tecnici insoliti alla tradizione accademica (sovente
utilizzava colori e pennelli che acquistava all’estero).
Nei primi anni Novanta strinse amicizia con Giuseppe Pelliza da Volpedo
e, con questi, cercò di dar vita ad un gruppo divisionista organizzato.
Il tentativo fallì, lasciando i due artisti isolati nel proprio
lavoro.
Nel 1893 acquistò una casa a Colma, nel Monferrato, che divenne soggetto
di molti quadri, insieme ala rappresentazione di paesaggi montani, a cui
si ispirava durante i soggiorni estivi a Santa Caterina Valfurva, in
Valtellina.
Con l’inizio del nuovo secolo, Morbelli ottenne importanti
riconoscimenti internazionali: la medaglia d’oro a Dresda del 1897, dove
presentò Per ottanta centesimi e S’avanza e la medaglia
d’oro all’Esposizione Universale di Parigi per il Giorno di festa al
Pio Albergo Trivulzio.
Questi importanti premi suggerirono a
Morbelli la ripresa del tema dei poveri vecchi del Trivulzio
dove, nel 1901, impiantò addirittura il suo studio. Le opere eseguite in
questo contesto, sono ricche di contenuti di denuncia sociale, che non
va confusa con la propaganda: raffigurare il mondo contemporaneo, per
Morbelli, era possibile anche attraverso la raffigurazione del dolore di
chi è costretto a ripiegare nel silenzio della solitudine. Opere nate in
questo contesto sono, ad esempio, i sei pannelli de Il poema della
vecchiaia e Un Natale al Pio Albergo Trivulzio.
L’attenzione per il sociale di Morbelli è caratterizzata da un intimo
pessimismo (aveva un personale timore di finire in miseria come i vecchi
che dipingeva) che i passaggi di luci ed ombre sciolgono in un lirismo
nel quale si colgono delle assonanze con la composizione musicale, quasi
egli trasportasse sulla tela i ricordi dei suoi primi studi di musica.
La limpidezza delle visioni di Morbelli è esaltata anche dalla precisa
volontà di mantenere una prospettiva generale, di tradizione
rinascimentale: la sua pittura rifugge dai piani ravvicinati, per
lasciare spazio, dietro al dato reale, al più ampio respiro della
natura. La sua adesione ad una pittura fatta di luce, dove i colori
erano stesi puri, uno accanto all’altro, in sottili filamenti, è
splendidamente rappresentata da alcune sue opere tarde, il Ponte di
Torcello, del 1913 e Panni al sole, del 1916, quadri intrisi
di uno stupendo naturalismo che rendono l’idea dell’eternità
dell’immagine fissata sulla tela.
Negli ultimi anni della sua vita, Angelo Morbelli, conobbe Carlo Carrà e
Umberto Boccioni. Continuò ad approfondire le ricerche sulla tecnica
divisionista, delle quali ci restano la testimonianza delle note stese
sul suo diario, intitolate La Via Crucis del Divisionismo.
Trascorse gli ultimi anni tra Milano, Colma e la Val d’Usseglio, fino
alla morte, dovuta ad una polmonite, che lo colse a Milano nel 1919.
Maria Cristina Bonisolli
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