Giovanni Fattori (Livorno
1825
– Firenze 1908)
Figlio di Giuseppe e
Lucia Nannetti, una coppia di modeste origini, Giovanni Fattori nasce a
Livorno il 6 settembre 1825. Dopo un’infanzia passata a lavorare al
banco d’affari del fratellastro, il padre di Giovanni, notata la
propensione del figlio quindicenne al disegno, gli dà il permesso di
frequentare lo studio di Giuseppe Baldini, un artista suo concittadino.
Nel 1846 si trasferisce a Firenze, città nella quale diviene prima
allievo di Giuseppe Bezzuoli, e poi studente della Scuola di Nudo presso
l’Accademia di Belle Arti; irregolare frequentatore dei corsi (che
abbandona definitivamente nel 1852 dopo gli impedimenti bellici del
’48-‘49), Fattori preferisce condurre le proprie ricerche in solitudine,
mentre non disdegna la compagnia di quegli artisti che si ritrovano
sempre piú spesso al Caffè Michelangiolo (tra i quali Odoardo Borrani,
Vito d’Ancona e Telemaco Signorini). Dalla seconda metà del sesto
decennio è costretto, a causa di problemi di natura finanziaria, a
vivere realizzando delle vignette litografiche per i giornali, mentre
nel contempo partecipa alle varie edizioni della Promotrice fiorentina,
esponendo dipinti a soggetto prevalentemente storico-letterario.
Esortato da Nino Costa a partecipare al Concorso Ricasoli del 1859 per
il tema di storia contemporanea, Fattori vince il primo premio con il
bozzetto Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta, il cui
quadro, non ancora terminato, verrà presentato alla prima Esposizione
Nazionale allestita a Firenze nel settembre 1861.
Costretto al
trasferimento a Livorno nel 1862 per far curare la moglie Settimia
Vannucci, sposata il 2 luglio del 1860 e malatasi successivamente di
tubercolosi, in seguito alla morte della compagna (1867) ha la
possibilità di soggiornare e lavorare con Borrani e Abbati presso la
casa dell’amico Diego Martelli a Castiglioncello, in quella Maremma che
diverrà sfondo ideale delle sue opere. La profonda tristezza per la
tragedia personale viene peró leggermente mitigata da alcuni successi
professionali: nel 1868 è premiato al Concorso Berti con Assalto alla
Madonna della Scoperta, mentre l’anno successivo è nominato
professore di pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze.
Gli anni Settanta si
segnalano per i numerosi viaggi compiuti dal livornese: nel 1872 compie
un primo viaggio a Roma per eseguire Il mercato di cavalli in piazza
Montanara, importante dipinto esposto prima a Vienna (1873), poi a
Filadelfia (1876), dove viene premiato all’Esposizione Internazionale, e
infine a Melbourne (1880). Nel 1875 è a Parigi in compagnia di Niccolò
Cannicci, Francesco Gioli ed Egisto Ferroni, ma Fattori non rimane molto
colpito dalla scena artistica francese tranne che per la Scuola di
Barbizon e Corot. Tornato dalla Francia l’anno seguente, è ospite di
Gioli sulle colline pisane (ritratte in alcune vedute del periodo), e
nel 1880 è nominato professore onorario dell’Istituto di Belle Arti di
Firenze. Nel frattempo, i suoi soggiorni nella Maremma sono sempre piú
frequenti: dal 1882, infatti, è spesso ospite del principe Tommaso
Corsini, presso la tenuta “La Marsiliana”, sulle colline grossetane, che
lasciano un’impronta indelebile nella memoria dell’artista.
Impegnato non solo
nella realizzazione di dipinti ad olio, dagli anni Ottanta Fattori si
applica anche alle tecniche dell’acquaforte e della litografia con
notevoli risultati, tanto che, nel 1884, la Cromo-Lito Pistoiese mette
in commercio la tiratura di 20 sue litografie.
Invaghitosi gli anni
precedenti di Amalia Nollemberg, dal 1885 inizia a frequentare la vedova
Marianna Bigazzi, che diventerà la sua seconda moglie nel 1891. Intanto
continuano i successi professionali: nel 1886 è nominato professore di
perfezionamento all’Accademia fiorentina (tra i suoi allievi Giuseppe
Pellizza da Volpedo), nel 1897 espone tre dipinti all’Esposizione
Nazionale di Venezia (Il salto delle pecore, Marcatura dei
puledri e Il riposo), e nel 1889 gli viene assegnato il primo
premio alla rassegna internazionale di Colonia e una menzione speciale
all'Esposizione Universale di Parigi. Dagli anni Novanta, la produzione
di Fattori si rivolge sempre piú all’attività incisoria, che gli porta
notevoli riconoscimenti, come la medaglia d’oro all’Esposizione
Universale di Parigi del 1900 e l’ammisione, l’anno successivo, nella
Commissione artistica della Calcografia Nazionale di Roma.
Rimasto nuovamente
vedovo nel 1903, Fattori soggiorna a Bauco, presso Roma, per un breve
periodo, prima di incontrare Fanny Martinelli, colei che diventa la sua
terza moglie nel 1907. Morta Fanny nel maggio del 1908, Fattori muore il
30 agosto dello stesso anno.
LO STILE
Poco si conosce della
prima attività artistica di Giovanni Fattori, salvo qualche schizzo e
qualche bozzetto giunto fino ai giorni nostri. Indubbiamente si può
ipotizzare che il giovane Fattori fosse indirizzato verso uno stile
simile a quello di Giuseppe Bezzuoli, suo primo maestro all’Accademia di
Firenze, il quale, dopo un iniziale adesione ai principi ingresiani, si
rivolge verso una pittura di stampo romantico.
La sua attività
inizia a delinearsi dalla metà degli anni Cinquanta in poi, periodo in
cui Fattori inizia a frequentare i macchiaioli che si ritrovano al Caffè
Michelangiolo, ma rimanendo ancora legato alla tradizione
romantico-accademica: infatti, pur aderendo in parte alla tecnica a
macchia non rinuncia radicalmente al chiaroscuro e alla linea,
prediligendo soggetti a carattere storico-letterario, scevri peró di
retorica celebrativa, in una sorta di rinnovo ideologico del
patriottismo romantico. Tra questi, il già accennato Campo italiano
dopo la battaglia di Magenta (1861) puó essere segnalato come apice
della pittura di Fattori in questa fase: il soggetto contemporaneo non
rappresenta un momento cruciale della battaglia tra le truppe francesi e
quelle austriache (accennata sullo sfondo del dipinto ed intuibile per
il polverone che si alza all’orizzonte), bensí le confuse retrovie nelle
quali i soldati sono spogliati di ogni eroismo e presentati come
“semplici” uomini. Recatosi sui luoghi della battaglia per studiare gli
effetti di luce e di atmosfera, Fattori applica sulla tela i precetti di
studio dal vero che saranno poi caratteristici della sua pittura
successiva, sull’esempio dei macchiaioli (i quali sono
contemporaneamente impegnati a Piagentina in simili ricerche) e degli
impressionisti francesi. Nella Carica di cavalleria a Montebello,
dipinta un anno piú tardi, ritroviamo ancora quell’attenzione al lato
umano dei soldati che ha caratterizzato il dipinto precedente:
nonostante la battaglia vera e propria sia in questo caso portata quasi
in primo piano, sembra che Fattori voglia, anche in questo caso,
concentrare l’attenzione dello spettatore su alcuni soldati sofferenti e
morenti, isolati dal contesto e chiaramente visibili.
Nonostante qualche
“prova” fosse già stata effettuata negli anni precedenti (Soldati
francesi, 1859), la produzione di Fattori si fa spiccatamente
macchiaiola intorno alla metà degli anni Sessanta, sia per stile che per
soggetti: l’immagine dei suoi dipinti è ora strutturata per piani e
bande di colore paralleli, e l’impressione di immediatezza che traspare
da questa tecnica a macchia (a cui si associa la rinuncia al disegno di
contorno) nasconde invece un’attenta costruzione dell’immagine (Costumi
livornesi, 1865, e La rotonda dei bagni Palmieri, 1866).
D’altra parte, alcuni esempi contemporanei, come Le macchiaiole
(1865), denotano un non netto rifiuto del contorno e di altri precetti
accademici, che mai Fattori rifiuterà totalmente, riprendendoli, ma
soprattutto rielaborandoli, in diverse composizioni. Il “contorno” del
livornese non puó essere difatti inteso come il contorno classicista,
bensí come «il limite delle macchie e dei colori […]. I contorni
fattoriani furono dunque ombra contratta piuttosto che segno e nei
contorni di Fattori si rifugiò e quasi rannicchiò l'ombra ritraendosi
dai piani avanzati e da quelli arretrati» (Maltese).
Assolutamente
macchiaiole sono Rappezzatori di vele (1872) e La torre rossa
(1875), caratterizzate da una radicale semplificazione delle strutture e
delle figure e imperniate sull’assenza totale del disegno a favore di
campi piatti di colore, mentre Vallospoli (1875) risente del
viaggio parigino dell’artista: però a differenza degli impressionisti, i
quali traducevano sulla tela gli effetti di luce-ombra tramite
l’accostamento di colori di diverso valore tonale, Fattori rimane fedele
al chiaroscuro imparato in Accademia e, per raggiungere gli effetti
d’ombra, non tentenna sull’utilizzo del nero (La libecciata,
1883).
Come accennato
brevemente nella biografia, dagli anni Ottanta Fattori predilige
dipingere vedute e scene della campagna toscana: ne sono un esempio
L’aratura (1881), Bovi al pascolo (1886), Marcatura dei
torelli in Maremma (1887) e I butteri (1893), opere ispirate
ad eventi vissuti e osservati dal vero, mentre continua a dipingere
anche scene di vita militare, come Lo scoppio del cassone e Lo
staffato (entrambi eseguiti nel 1880), dove quella mancanza di
retorica celebrativa accennata in precedenza si tramuta quasi in
un’irrispettosa rappresentazione dei soldati (a terra, caduti da
cavallo). Verso la fine della sua lunga e importante carriera artistica,
Fattori inizia a dedicarsi maggiormente al ritratto, con particolare
attenzione per familiari e amici (Ritratto della terza moglie,
1905), e all’incisione (uno splendido esempio è Ritorno a casa,
del 1900).
Mirko Moizi