Offerta a Venere. Olio su tela, 73 x 98 cm. Collezione privata.
Nato a Venezia nel 1613, Giulio
Carpioni risulta attivo verso il 1630 nella
bottega di Alessandro Varotari detto
il Padovanino, da cui apprese i canoni
del classicismo veneto, avendo come
riferimento la tradizione aurea di Tiziano
giovane. Aperto alle molteplici suggestioni
della cultura contemporanea, l'artista
completò la formazione seguendo
il maestro nel 1631 a Bergamo, dove
scoprì quel sentimento della realtà che
era stato proprio ai lombardo-veneti del
Cinquecento. Le posizioni mentali della
ricerca del vero e delle istanze classicistiche,
apparentemente inconciliabili, convivono
nell'opera di Carpioni che derivò
da Carlo Saraceni e Jean Le Clerc,
presenti a Venezia in quegli anni, il gusto
di una forma lucidamente intesa,
calibrata nella luce ferma, perfettamente in
linea con una tensione ideale orientata
verso lo stilismo formale più rigoroso.
Con questo bagaglio l'artista cominciò
ad operare autonomamente e nel 1738
si trasferì a Vicenza. Stimolata da una
ricerca grafica condotta sugli esemplari
di Pietro Testa e di Simone Cantarini
e guidata dall'eco dell'opera di Nicolas
Poussin, la via del classicismo fu
perseguita da Carpioni nella città di Palladio,
raggiungendo la piena maturità espressiva
negli anni sessanta con quelle "invenzioni
ideali, come sogni, sacrificj, baccanali,
trionfi, e balli di puttini" ricordati
da Pellegrino Orlandi (ed. 1753, p. 311)
come "i più belli capricci, che abbia mai
inventato altro Pittore".
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Opera della piena maturità, lo splendido dipinto interpreta il soggetto
mitologico trasponendo la tematica in una favola prearcadica. Nell'aria
immobile di un paese sognato, le figure intarsiate nell'azzurro cobalto
del cielo si dispongono nello spazio aperto della radura: ignare del
tripudio festante dei putti, le algide membra delle ninfe sono modellate
dall'incidenza della luce, bloccata sullo smalto della forma splendente.
L'accesa policromia dei panni esalta la pietra patinata d'argento
dell'erma di Venere posta al centro dell'antico rito; la ricchezza dei
valori cromatici si alterna entro la griglia conchiusa di campiture
predefinite e ricorrenti, come se l'apparente caos del mondo naturale si
ricomponesse sotto la regia dell'artista secondo canoni di adamantina
chiarezza. La stesura pittorica quieta e precisa, sostenuta da un fermo
impianto chiaroscurale, imprime alla scena un andamento languidamente
pastorale, lontano dalle interpretazioni classicistiche di Francesco
Albani e dalla fierezza eroica di Nicolas Poussin. Databile verso la
metà degli anni sessanta del XVII secolo, la tela si colloca nei periodo
più intenso e fulgido della produzione di Carpioni, ponendosi, per
qualità pittorica e felicità fantastica, accanto alla splendida
Offerta a Venere che, proveniente dalla collezione di Joseph Smith,
il patron di Canaletto, e documentata da una incisione di Jacopo
Leonardis del 1762 (Succi 1983, n. 227), costituisce il vanto di un
collezionista genovese (Pilo 1961, p. 98, fig. 124).