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Alessandro Varotari detto il Padovanino
(Padova 1588 — 1648 Venezia)
 

 

Sofonisba con la coppa di veleno. Olio su tela, 81.5 x 106 cm. Collezione privata.
 

 

Figlio di Dario Varotari, pittore e architetto operante a Padova nella seconda metà del Cinquecento, Alessandro nacque nella città patavina nel 1588. Tra le sue prime opere, l'Incredulità di San Tommaso — realizzata nel 1610 per la chiesa di San Tommaso Apostolo, dopo essere stata esposta nell'Ottocento agli Eremitani, dal 1959 è nella chiesa di Santa Lucia — si qualifica per il classicismo tizianesco, probabilmente desunto dalla conoscenza degli affreschi della Scuola del Santo e per l'affrancamento dai modelli del tardomanierismo palmesco allora in auge. Nel 1614 Padovanino si trasferì a Venezia, subito dopo partì per Roma dove poté studiare alcune opere di Tiziano, tra cui il Baccanale degli Andrii, opera esemplare del classicismo cromatico della produzione giovanile del maestro cadorino. Nell'Urbe entrò in contatto con le opere di Carracci, Domenichino e Albani, a quel tempo impegnati nel completamento della decorazione della Galleria Farnese, che esercitarono una influenza decisiva su quella visione di classicismo idealizzato destinata a caratterizzare l'intera produzione del giovane artista. Rientrato a Venezia, dove risulta iscritto alla Fraglia dei pittori dal 1615 al 1639 (Favaro 1975, p. 145), Padovanino svolse un ruolo di primo piano nella cultura figurativa veneta con il recupero neocinquecentista in chiave prebarocca.
Attivo fino alla metà del quinto decennio, Alessandro Varotari si spense a Venezia nella parrocchia San Pantalon nel 1649.
 

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Splendido esempio dello stile del maestro, il dipinto, databile alla fine degli anni venti si distingue per la spumosità effervescente della materia pittorica di derivazione tizianesca. La tela raffigura Sofonisba, nobildonna cartaginese figlia del generale Asdrubale di Gisgo, che sposò in prime nozze Siface di Numidia, acerrimo nemico di Roma. Rimasta vedova, Sofonisba si unì in seconde nozze con Massinissa, re africano alleato di Roma. Quando, a seguito di alterne vicende, Roma ordinò a Massinissa di portare la moglie nell'Urbe come ostaggio, la donna, per non sottostare alla imposizione, preferì bere il calice di veleno procuratole dal marito. L'eleganza formale del dipinto si coniuga con l'andamento maestoso della composizione ritmata dai gesti e drammatizzata dalla ripresa dal basso della protagonista, di gusto ormai prebarocco.

 

 

Dario Succi  

 

 

Tratto, con il consenso dell'autore, da:

Il Fiore di Venezia - dipinti dal Seicento all'Ottocento in collezioni private - Leg Edizioni, Gorizia