Antonio Visentini (Venezia 1688 –  1782)

 

Filippo Pedrocco
Qualche ipotesi per Antonio Visentini pittore e architetto

 

 

Il grande 'cantierÈ – di idee e di opere – costituitosi attorno alla vulcanica personalità di Joseph Smith ha il suo personaggio chiave in Antonio Visentini (Venezia 1688-1782), artista dalla versatilità quanto mai gradita al suo mecenate inglese. A seguito soprattutto delle ricerche di Annalia Delneri e di Dario Succi presentate nel catalogo della mostra "Canaletto & Visentini, Venezia & Londra" tenutasi a Gorizia e a Venezia tra il 1986 e il 1987, l' intensissima attività di incisore, disegnatore, architetto e teorico dell' architettura, oltre che di pittore, del Visentini è stata indagata a fondo e riproposta in una nuova lettura, grazie anche alla scoperta di numerosi documenti biografici. È abbastanza curioso, peraltro, notare come l'aspetto meno noto e indagato della produzione artistica di Visentini sia proprio quello che riguarda la sua attività di pittore, che pure egli aveva intrapreso assai presto, frequentando la bottega di Giannantonio Pellegrini in epoca precedente al trasferimento a Londra del maestro nel 1708. Malgrado dunque la consuetudine alle tele e ai cavalletti risalga alla sua giovinezza, come conferma d'altro canto il fatto che il suo nome appare citato nella Fraglia dei pittori veneziani già nel 1711 e che nel 1726 egli venne eletto priore del Collegio, il suo catalogo è limitato a una trentina di dipinti; per di più, la gran parte di essi sono riferibili in modo solo parziale al Visentini, cui spettano esclusivamente le architetture che vi appaiono. Sorprende il fatto che tra le sue opere pittoriche finora note non sia presente alcuna veduta di Venezia, come invece ci si aspetterebbe riflettendo sul fatto che il Visentini – tendenzialmente portato alla sperimentazione di ogni genere artistico e abile prospettico – fu l'incisore di numerosissime vedute di Canaletto, con il quale ebbe sicuramente rapporti assai intensi, sia nel corso del la sua attività professionale che per la comune frequentazione del circolo dello Smith. Eppure vedute veneziane dipinte dal Visentini devono essere sicuramente esistite: ne fa fede il fatto che nel catalogo della vendita dei quadri posseduti dal defunto Gian Maria Sasso, pubblicato nel 1803, quindi in un momento in cui la memoria dell'attività del Visentini, morto solo vent' anni prima, era ancora ben viva, è citata ai numeri 153 e 154 una coppia di vedute di formato verticale e di eguali misure («1 piede e nove once di altezza e 2 piedi e tre once di larghezza») riproducenti «1. I  SS. Gio. e Paolo; 2. Il Palazzo Ducale» schedate come opere «del Vicentini, terminate da Canaletto suo Maestro». Purtroppo, allo stato attuale degli studi, non pare possibile riconoscere queste due opere, che forse sono andate perdute oppure sono celate tra le innumerevoli pitture variamente riferite agli imitatori del Canaletto cui non siamo ancora in grado di attribuire una paternità certa. È chiaro che la notizia della accertata esistenza di vedute di Venezia del Visentini riveste da sola una notevole importanza, anche se non riusciamo per ora a collegarle opere sicure. In via d' ipotesi – e sottolineo che quella che segue è solo un' ipotesi tutta da verificare, mancando la possibilità dell 'indispensabile confronto con un termine di paragone incontestabilmente di mano del Visentini – potrebbero essergli riferite vedute del tipo di quella che qui presento, raffigurante Il Canal Grande da Ca' Foscari alla Carità, che ha caratteristiche stilistiche ed esecutive "compatibili" con le pitture certe del maestro (fig. 1).

 

1. Antonio Visentini (?), Il Canal Grande da ca' Rezzonico alla Carità.

Venezia, collezione privata.

 

Il dipinto in questione mostra il Canal Grande con, a destra, Ca' Foscari, di fronte palazzo Moro Lin e, sullo sfondo, il complesso della Carità. Da elementi interni a esso ricaviamo la certezza che la sua esecuzione risale agli anni compresi tra il 1759 e, al più tardi, la metà del decennio successivo: infatti sulla facciata di palazzo Grassi risulta presente solo la porta centrale, mentre mancano le due laterali, che saranno aperte nel corso di lavori conclusi nel 1766; sulla fronte di Ca' Rezzonico – che appare ormai completata nelle forme che le furono conferite a seguito dell'intervento del Massari, conclusosi nell'aprile del 1756 – è visibile lo stemma della famiglia cui risultano aggiunti i simboli del papato, di cui i Rezzonico poterono fregiarsi solo dopo il luglio del 1758, a seguito dell'elezione al soglio pontificio di Carlo, vescovo di Padova, col nome di Clemente XIII. D'altro canto, il nobiluomo Pietro Gradenigo ricorda che il 6 febbraio del 1758 (more veneto, quindi 1759) «fù inalzato lo magnifico Stemma Pontificio sopra il Palazzo della Famiglia Rezzonico dalla parte del gran Canale, ben intagliato nel legno, coperto e cesellato, ed indorato sopra il rame, e venne levato o Stemma provisionalmente dipinto in Luglio passato. Fattura di molta spesa ed apparenza»: si tratta – a evidenza – dello stemma che appare bene in vista nella veduta. Il taglio della veduta e la disposizione delle barche e dei vogatori derivano da un modello ben noto al Visentini: un dipinto del Canaletto realizzato nella seconda metà del terzo decennio per lo Smith e ora a Windsor, da cui lo stesso Visentini aveva tratto un' incisione presente già nell'edizione del 1735 del Prospectus Magni Canalis. Unica aggiunta – al di là dell' "aggiornamenato" sullo stato degli edifici (cioè la registrazione dell'avvenuta costruzione di palazzo Grassi e del completamento di Ca' Rezzonico) – è la seconda barca da carico, dietro a quella posta trasversalmente in primo piano a destra, peraltro derivata anch'essa da un'altra veduta canalettiana della stessa serie, egualmente incisa dal Visentini. Si conoscono numerose copie pittoriche desunte dalle stampe visentiniane, abitualmente contrassegnate da una qualità piuttosto mediocre; tuttavia, mi pare che la veduta in esame emerga tra esse per la resa accurata delle architetture e per la precisione dell'impalcatura prospettica: e questi sono elementi che naturalmente non potrebbero mancare in un dipinto di mano del Visentini. Ma a rafforzare ancor di più l'ipotesi visentiniana soccorrono anche le caratteristiche della resa pittorica, nell' uso di una materia assai luminosa, nello stacco perentorio tra le zone in luce e quelle in ombra, nell'esecuzione delle vivaci figurette che popolano le imbarcazioni e nella resa delle nuvole rosate e bambagiose che ritroviamo identiche nei suoi dipinti sicuri. Dunque, questa tela riunisce in sé, a mio modo di vedere, le caratteristiche che logicamente dovremmo ritrovare nelle vedute visentiniane: lo stretto legame col mondo canalettiano, la qualità della resa prospettica e delle architetture, la consonanza esecutiva con le altre opere certe del maestro. Più avanti, naturalmente, non è possibile andare. A prescindere dall'ipotetica attribuzione di questa veduta veneziana, un ampliamento "reale" del catalogo pittorico del Visentini è però possibile: questo, grazie al ritrovamento di un'altra sua veduta ideata completamente autografa.

 

 

2. Antonio Visentini, Architetture classiche e figure. Bologna, collezione privata.

 

Si tratta di una grande tela raffigurante Architetture classiche e figure, ora conservata in collezione privata a Bologna (fig. 2), assai prossima, nella splendente luminosità dell'insieme, nella resa delle figure e della complessa partitura architettonica di chiara ascendenza bibienesca, alla serie di otto Vedute prospettiche tuttora conservate nel portego di palazzo Contarini (poi Fornoni Bisacco) a Venezia e pubblicate già nel 1913 dal Fogolari. Questa serie è unanimemente riconosciuta — assieme alla tela con la Veduta prospettica con giovani studiosi di architettura delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, donata dall' artista stesso all'Accademia di Pittura e Scultura veneziana – come il punto fermo del percorso pittorico visentiniano. In passato si è anche avanzata l'ipotesi che le figurette che popolano le tele di palazzo Contarini fossero opera di Gaspare Diziani, un artista questo che in varie occasioni contribuì – aggiungendo di propria mano le figure – alla realizzazione di opere di altri pittori, in particolare le vedute e i capricci di Michele Marieschi. Occorre però notare che il Diziani non era fra gli artisti che facevano stabilmente parte dell' entourage del console Smith; e questo particolare porterebbe da solo a dubitare della possibilità che il bellunese abbia collaborato col Visentini, la cui attività si è costantemente sviluppata nell'orbita (e, indubbiamente, sulla suggestione dei consigli e delle indicazioni) del geniale mercante inglese. Ma soprattutto tale ipotesi ha trovato ferma opposizione negli studi recenti della Delneri, la quale ha dimostrato come lo stesso Visentini abbia dipinto quelle figure, alcune delle quali appaiono studiate in un suo manoscritto conservato alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Va da sé, dunque, che l' identità esecutiva tra le figure presenti nel dipinto che qui pubblico e quelle che si ritrovano nelle tele di palazzo Contarini, evidente sia nella tipica costruzione pittorica che nelle strette somiglianze delle pose dei personaggi, sempre un poco forzate, costituisce una decisiva conferma dell'attribuzione dell'opera bolognese allo stesso Visentini. Ritornando alle otto tele di Ca' Contarini, va anche sottolineato che esse sono certamente nate per essere collocate nel portego del palazzo, all' interno delle incorniciature a stucco di gusto rococò che ancora le ospitano. È dato ormai acquisito che le pitture sono state esegui te entro il 1739: la Delneri ha infatti evidenziato come il Vivares abbia pubblicato tra quell'anno e l'inizio del decennio successivo sei incisioni riproducenti apparati architettonici ideati dal Visentini, una delle quali ripete in controparte la metà destra del dipinto di palazzo Contarini raffigurante il Gioco dei birilli: dunque la data dell'esecuzione della suite incisoria costituisce necessariamente il termine ante quem per l ' esecuzione delle tele veneziane. È abbastanza ovvio, alla luce di questo fatto, ritenere che la decorazione interna di palazzo Contarini – risalente alla fine degli anni Trenta – abbia segnato la conclusione dei lavori di ristrutturazione dell'antica casa gotica che si affaccia sul Canal Grande, di fronte alla chiesa della Salute. L'edificio si presentava allora nelle forme registrate nella Pianta di Venezia di Jacopo dÈ Barbari (1500), che gli erano state conferite nel sesto o nel settimo decennio del Quattrocento, probabilmente a seguito della ristrutturazione di una preesistente casa fondaco. I lavori settecenteschi, pur rispettando in linea di massima la struttura che già esisteva, hanno tuttavia comportato importanti modifiche, riguardanti sia la facciata sul Canal Grande, dove sono state sostituite alcune finestre laterali alle quadrifore centrali dei piani nobili e dove è stato creato l'abbaino sul tetto, di forme classicheggianti, sia la facciata sull'ampio cortile sul retro. Collegando la tipologia dell'intervento settecentesco con l'accertata presenza del Visentini nel cantiere, viene facile avanzare l'ipotesi che tutta la ristrutturazione dell'edificio – e non solo la decorazione del portego – sia stata affidata allo stesso artista, che a quelle date aveva già avuto modo di sperimentare le proprie capacità nel campo dell' architettura, lavorando a più riprese all'ampliamento e all'ornamentazione della villa di Mogliano di cui lo Smith aveva goduto prima come locatario e poi come proprietario, a partire dalla fine del terzo decennio, e realizzando nel 1736 un blocco di case di affitto per la famiglia Michiel, che costituisce un'interessante anticipazione di un modello di edilizia popolare. Se l'ipotesi di un intervento di Visentini nella ristrutturazione di Ca' Contarini, esteso anche alla parte architettonica, trovasse conferma, andrebbe allora aggiunto un altro importante tassello alla conoscenza del suo lavoro di architetto. Sarebbe inoltre necessario rimeditare su quello che appare ormai un dato comunemente acquisito circa questa sua specifica attività: cioè bisognerebbe pensare che il suo interesse in questo campo non sia concentrato nella fase più avanzata della sua vita, tra il quinto e il settimo decennio, quando redige i suoi trattati teorici e realizza le sue opere più note (la ricostruzione del palazzo veneziano del console Smith ai Santi Apostoli e di quello della famiglia Giusti adiacente alla Ca' d'Oro, i cui lavori devono essersi conclusi nel 1766, data questa iscritta nella facciata), ma che esso risalga a più di un decennio prima, interessando, quindi, gran parte della vita attiva dell' artista. Sono finora noti solo tre dei disegni eseguiti dal Visentini in preparazione dell'edizione della raccolta di undici incisioni di grande formato intitolata Iconografia della Ducal Basilica dell'evangelista Marco ..., data alle stampe nel 1726 a cura dello stesso artista, che aveva presentato quattro anni prima ai Riformatori dello Studio di Padova la relativa richiesta di privilegio privativo. Tali fogli sono conservati nel Gabinetto delle Stampe e dei Disegni del Museo Correr di Venezia. A essi è ora possibile aggiungerne un quarto, quello relativo alla seconda tavola della silloge, riproducente la Facciata Maggiore verso la Piazza Grande, conservato in collezione Tatiana Scarpa a Venezia (fig. 3).

 

3. Antonio Visentini, Facciata Maggiore verso la Piazza Grande della Basilica di San Marco.

Venezia, collezione Tatiana Scarpa.

 

Si tratta, come nel caso dei disegni conservati al Museo Correr, di un foglio di grande formato, di 420 x 640 mm., eseguito a penna e acquerellato; anch'esso si caratterizza per la qualità accuratissima del disegno, per la resa eccezionalmente sicura dell'impostazione prospettica e per la squisita raffinatezza della finitura ad acquerello. Nei cartigli presenti nella parte alta del foglio sono già predisposte le iscrizioni nelle forme che appariranno poi nell'incisione realizzata da Vincenzo Mariotti; tali iscrizioni sono state poi modificate nella seconda edizione della raccolta, pubblicata nel 1761 a opera di Antonio Zatta.

 


Filippo Pedrocco

 

ARTE Documento N°16                                                  2002 © Edizioni della Laguna