Francesco Tironi (Venezia 1745 – 1797) - lo stile pittorico

 

 

 

L'unica opera certa di Francesco Tironi era costituita dalla serie di bellissimi disegni preparatori per la raccolta di stampe raffiguranti le isole della laguna di Venezia, che furono incise da Antonio Sandi e vennero pubblicate dall’editore Ludovico Furlanetto in epoca imprecisata, ma comunque successiva al 1779 (e quindi molto probabilmente tra il 1780 e il 1785) perché la raccolta non figura nel catalogo editoriale di Furlanetto uscito in quell’anno (Succi, Da Carlevarijs ai Tiepolo, Venezia 1983, pp. 344-349). Della serie di disegni lagunari sono conosciuti dieci fogli conservati in istituzioni pubbliche, di cui sei al Museo dell’Albertina a Vienna (Pignatti 1974, nn. 36-41), due nella Robert Lehman Collection di New York (Pignatti 1974, nn. 25, 42), uno nella Withworth Art Gallery di Manchester (Pignatti 1974, n. 43), uno nella National Gallery of Art di Washington (Pignatti 1974, nn. 46, 47). Altri cinque disegni della stessa serie si trovano in collezioni private. Sono noti altri disegni di Tironi raffiguranti vedute di Venezia: sei sono conservati nel Victoria and Albert Museum di Londra (Pignatti 1974, nn. 52-57), uno nella National Gallery of Art di Washington, due nella Pierpont Morgan Library di New York (Pignatti 1974, nn. 52-57, 47-49), altri ancora in varie collezioni private.

Mentre la grafica tironiana è stata oggetto di un accurato studio da parte di Terisio Pignatti, che ha pubblicato in una preziosa cartella la serie completa in fac-simile delle stampe di Sandi, riproducendo altresì molti disegni autografi di Tironi (Ventiquattro isole della Laguna / Disegnate da Francesco Tironi / Incise da Antonio Sandi, Venezia, Cassa di Risparmio, 1974), era mancata finora un’indagine critica che gettasse luce sulla genuina produzione pittorica dell’artista. Eppure i disegni di Tironi, stilisticamente ben caratterizzati, costituiscono una solida base di partenza per la ricostruzione della produzione di vedute su tela. Si ricordi che anche di Michele Marieschi, di cui non si conosce neanche un disegno, non era noto nemmeno un dipinto firmato e che la sua produzione pittorica, rimasta avvolta nella nebbia fino alla mostra monografica curata dallo scrivente (Marieschi tra Canaletto e Guardi, Castello di Gorizia, 1989), è stata ricostruita partendo dalla raccolta di ventuno stampe Urbis Venetiarum Prospectus Celebriores pubblicata nel 1741.

Come risulta dalla documentazione grafica lo stile di Tironi è contraddistinto dalla fusione di elementi canalettiani e guardeschi. Tali caratteristiche compaiono in varie vedute, che ho avuto modo di studiare nel corso degli anni, che presentano evidenti affinità stilistiche con i disegni e che sono tutte databili, sulla base della specifica materia pittorica e di oggettivi elementi tipografici, alla seconda metà del diciottesimo secolo.

Un vero capolavoro, notevole anche per le dimensioni (cm 67 x 144; collezione privata), è la Veduta del molo dal bacino di San Marco che offre una spettacolare visione panoramica della città lagunare. La veduta (che reca sul verso del telaio un’antica attribuzione a Canaletto) dimostra che a quell’epoca l’artista aveva maturato una notevolissima abilità espressiva esemplata sul gusto prospettico canalettiano, mentre il movimentato gioco delle imbarcazioni testimonia l’influenza dei modelli di Francesco Guardi.

Caratteri stilistici analoghi compaiono in una eccezionale serie – la più ampia che si conosca – di quattro bellissime vedute sicuramente autografe di Tironi (cm 58 x 75 ciascuna, collezione privata), anch’esse recanti sul verso dei telai antiche etichette inventariali con titoli in francese e l’attribuzione a Canaletto. Esse raffigurano Il molo con il Palazzo Ducale visti dal bacino di San Marco, Piazza San Marco verso la basilica, La chiesa di San Giorgio Maggiore, Il Canal Grande con la basilica della Salute. Databile intorno al 1780 questa straordinaria serie di vedute, intrise di magia atmosferica che rende con efficacia tutta l’intima poesia della città lagunare, costituisce un documento iconografico fondamentale per la ricostruzione della genuina produzione su tela del singolare artista-prelato.

Attorno a questo primo nucleo “fondante” si possono radunare altre opere di Tironi selezionando quelle vedute che presentano affinità stilistiche, iconografiche e cromatiche, cercando inoltre di porre le basi per una prima ricostruzione dell’itinerario artistico.

Dopo la morte di Francesco Guardi (1793), Tironi impresse alla sua pittura un carattere più spiccatamente guardesco, forse con l’intento di assecondare la richiesta collezionistica di opere del grande maestro scomparso. Ad ogni modo la sua produzione pittorica deve essere stata piuttosto limitata perché le sue vedute non figurano nelle principali raccolte museali e compaiono molto sporadicamente sul mercato antiquario, dove più spesso affiorano opere stilisticamente affini ma di qualità scadente, attribuibili a seguaci o imitatori. L’esistenza di questi ultimi dimostra che l’artista dovette godere ai suoi tempi di un notevole apprezzamento da parte dei contemporanei, come del resto testimoniano le parole di vivo rimpianto scritte da Giannantonio Moschini ricordando “il nostro Francesco Tironi” morto “in troppo fresca età”.

 

 

Dario Succi