Antonio Stom (Venezia 1688 –  1734)
 
 

Antonio Stom, un anticipatore guardesco.

Nato probabilmente nel 1688 e morto a Venezia nel 1734 (de Zucco 1976, p. 49), Antonio Stom discendeva da una famiglia di pittori che fra il 1680 e ii 1700 si era affermata a Venezia specializzandosi nella produzione di battaglie. Alla prima generazione, formata dai fratelli Matteo e Giovanni ("Zuanne"), era subentrata una seconda gestita da Antonio ("Tonino") che portò avanti con uguale fortuna l'impresa familiare che aveva bottega in campo Rusolo (Orseolo). Il ruolo ricoperto da Antonio Stom nell'ambito della cultura pittorica veneziana nei primi decenni del Settecento è stato abbastanza sorprendente. Egli infatti fu autore di numerose vedute "prese dal vero" o di fantasia e di gustosi capricci architettonici con ruderi romani e obelischi ai bordi di baie marine che, pur risentendo dei modelli di Eismann e di Carlevarijs, presentano caratteristiche stilistiche spiccatamente originali. Il suo linguaggio pittorico si esprime infatti con pennellate larghe e corsive, a impasto grasso, che lasciano generalmente indefiniti i contorni e con una inusuale tavolozza cromatica a prevalenti tonalità verdi e grigio-azzurrine, mentre le spigolose "figurette" sono toccate a macchie di bianco, blu, rosso cupo. Dopo la morte di Antonio, il ricordo degli Stom svanì nell'oblio e soltanto un illuminante scritto di Antonio Morassi (1962, pp. 291-306) ha portato alla riscoperta di questo artista che «fu pittore di paesaggi, di vedute, di battaglie, di quadri di fantasia e "capricci", ma soprattutto fu un grande "compositore" di scene storiche, un evocatore incredibilmente dotato di avvenimenti, cerimonie, fatti memorabili: insomma un "reporter" pittorico ante litteram e in grande stile». Nel suo studio Morassi restituiva ad Antonio Stom alcune vedute veneziane che erano state in precedenza attribuite ad altri artisti, come Luca Carlevarijs, e gli assegnava anche l'importante serie di tele di palazzo Mocenigo a San Stae (Venezia) narranti eventi storici della famiglia. Lo studioso osservava che i dipinti di Stom si distinguono per l'originalità dei tagli vedutistici e per l'abilità nel movimentare gli spazi: «Egli ama la folla, le grandi masse di popolo, soldati, nobili, le fogge fantasiose, i costumi orientali, turcheschi, ed è felice anzi quando può inserire nelle sue composizioni spettacolari elementi esotici, o maschere, o tipi stravaganti, che ne aumentino il lato pittoresco». Esemplare in tal senso è il ciclo delle cinque grandiose tele (riprodotte in Pallucchini 1994, pp. 231-233) che l'artista eseguì per il palazzo Mocenigo a San Stac, tre delle quali - secondo l'individuazione fatta da de Zucco (1976, p. 54) - illustrano altrettanti episodi - con due suggestivi notturni - del soggiorno a Verona nel 1717 di Violante dÈ Medici "Vedova Elettorale Palatina", che fu ricevuta dal capitano della città Alvise v Mocenigo. Gli altri dipinti rievocano L'ingresso dell 'ambasciatore Advise II Mocenigo a Costantinopoli, avvenuto nel 1709, e Il ricevimento alla Torre di Londra dell'ambasciatore Alvise Mocenigo, il cui stemma di famiglia è visibile sulle sontuose carrozze in attesa sul molo a destra. Quest'ultimo dipinto, di solito menzionato con lo sconcertante titolo L'arrivo di nn principe di Svezia o Chioggia, è sorprendentemente basato, con notevoli varianti, sul dipinto di Carlevarijs raffigurante Il ricevimento degli ambasciatori Nicolò Erizzo e Alvise Pisani alla Torre di Londra, facente parte di un ciclo eseguito dal maestro friulano per la famiglia Pisani verso il 1715-1720 (Succi, Reale 1994, pp. 212-213). La serie di palazzo Mocenigo, tuttora in situ e databile - anche sulla base delle notevoli qualità stilistiche al terzo decennio del Settecento, dimostra, per l'importanza del committente e per l'impegno profuso dall'artista nell'ambizioso progetto di esaltazione di quella illustre famiglia, che la fama di cui godeva Stom era tale da farlo preferire non solo all'ormai vecchio Carlevarijs ma anche all'esordiente Canaletto. Nel ricordare l'esistenza di un gruppo di sei scene di vita veneziana (la Regata, il Parlatorio, il Ridotto, il Ponte dei pugni, la Caccia dei tori, la Festa della Sensa in Piazzetta), di cui alcune firmate a tergo, Pallucchini (1960, p. 42) ne sottolineava il grande interesse perché in esse la tradizione vedutistica di Heintz e il nuovo gusto macchiettistico di Carlevarijs confluivano in brani gustosissimi «per l'estro indiavolato della pennellata di tocco, per la mise en page prospetticamente anacolutica, ma fantasiosa e bizzarra, per la caratterizzazione estrosa delle macchiette. Insomma un brio narrativo, una spigliatezza nell'abbozzare situazioni inventive [...] da costituire precedenti essenziali per il gusto guardesco». Stom intuì genialmente che la vita veneziana e ogni luogo della città lagunare, con i suoi traffici e le sue feste, costituiva di per sé un quadro affascinante. L'artista era indotto a esaltare il lato spettacolare e dinamico della veduta sospingendo gli elementi architettonici in secondo piano per fare spazio al pittoresco affollamento delle imbarcazioni o della gente, che costituisce quasi sempre l'elemento caratterizzante e captante dei suoi quadri. Un esempio notevole di questo nuovo modo di intendere la veduta, espressa in modo sommario e riassuntivo, è offerto dal dipinto raffigurante La caccia dei tori in campo Santo Stefano (fig. 52), forse risalente allo stesso periodo delle sei scene di vita veneziana ricordate da Pallucchini. La tela, medita, raffigura il campo Morosini, cioè una parte della città che era priva di tradizione iconografica, se si eccettua l'incisione con la Caccia dell'orso a Santo Stefano contenuta nella raccolta di stampe edita da Domenico Lovisa nel 1717 (Franzoi 1993, pp. 238-239). II punto di stazione, posto verso il centro del campo, avendo alle spalle la chiesa di Santo Stefano, consente all'artista di riprendere il momento culminante della singolare festa, la cui proibizione venne decretata solo nel 1802, quando il rovinoso crollo di un'impalcatura, causato dal panico suscitato negli spettatori da un toro imbizzarrito, causò numerosi morti e feriti. Stom coniuga la novità del taglio vedutistico con l'assoluta originalità della trasposizione pittorica dell'episodio, descritto con un gusto cronachistico che focalizza l'attenzione sulle graziose figure in maschera e sui tiratori, abbigliati in camice bianco e che reggono le lunghe funi legate alle corna dei tori aggrediti dai cani. Nella produzione di Tonino, prevalentemente dedicata al capriccio rovinistico, i paesaggi "puri" sono rari e quasi tutti risalgono all'ultimo periodo, quando l'artista subì la suggestione delle opere di Marco Ricci. Esemplari in proposito sono i dipinti esposti in mostra, raffiguranti ampie visioni prealpine, in cui l'occhio spazia tra fluenti riviere e deliziosi borghi. Le rade macchiette, toccate a squillanti tasselli cromatici secondo il particolare gusto dell'artista, partecipano senza gesti eccessivi allo spettacolo di una natura grandiosa e solenne, poeticamente evocata. La disomogenea qualità dei dipinti attribuiti a Stom che continuano ad apparire con una certa frequenza sul mercato antiquario, è probabilmente ascrivibile agli interventi della bottega in cui quasi certamente operava insieme ai fratelli. I modi approssimativi e sommari della sua pittura non hanno sempre entusiasmato gli studiosi, che hanno espresso giudizi contrastanti: mentre Morassi (1962, p. 298) ha qualificato Stom come «artista di gran valore che ebbe una visione precorritrice del mondo pittorico a venire«, Pallucchini (1994, p. 234), lo ha relegato nella schiera dei piccoli maestri, pur riconoscendogli «un particolare significato« nel quadro della cultura pittorica veneta del primo trentennio del Settecento.

Dario Succi