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Francesco Guardi (Venezia 1712 – 1793) - lo stile pittorico
Francesco Guardi, Pittore della contrada dÈ S:ti Apostoli su le Fondamente Nove buon Scolaro del rinomato Canaletto, essendo molto riuscito per via della Camera Optica dipingere sopra due non picciole tele, ordinate da' un Forestiere Inglese, le vedute della Piazza di S.Marco verso la Chiesa, e l'Orologio, e del Ponte di Rialto, e sinistre Fabbriche verso Canareggio, oggi le rese esposte su laterali delle Procurati e Nove, mediante che si procacciò l 'universale applauso " (Gradenigo, Notatori, 25 aprile 1764). Francesco Guardi "spiritoso nell'inventare, esperto nell'architettura, nel contraffare i tereni, nel'espresione del'aria e del'orizonte [ .. ] lavora eziandio nel'età sua senile in Venezia, ch'ebbe per Patria fortunatamente (Catalogo di quadri esistenti in casa del signor Don GiovaniVianeli [..],1790, p.42). "Francesco Guardi si è riputato un altro Canaletto in questi ultimi anni; e le sue vedute di Venezia hanno desta ammirazione in Italia e oltremonti; ma presso coloro soltanto che si sono appagati di quel brio, di quel gusto, di quel bello effetto che cercò sempre: perciocché nella esattezza delle proporzioni e nella ragion dell'arte non può stare a fronte del maestro" (Lanzi 1795-1796, p . 180). "Nel dipingere d'Architettura, che fu la precipua sua professione, andò sulle traccie del famoso Antonio Canal [ . . .] . Le sue vedute di Venezia hanno svegliato in Italia e oltramonti l'ammirazione di tutti coloro che, senza guardar troppo addentro, si lasciano vincere gradevolmente dal brio, dal gusto e dall'effetto vivace che spirano le sue pitture" (Aglietti, Giornale, 1798) . "L'acquisto delle vedute è ancora più difficile. Per quelle di Canaletto non se ne discorre più; anzi non si parla quasi neppur di quelle del suo nipote Bellotto, quantunque non fossero meraviglie, e per la maggior parte fossero copie tratte dagli originali del Zio. Di Marieschi o non si vede cos'alcuna, o solo qualche pezzo annerito per l'eccesso nel partito di sua macchia. Del Vicentini, del Joli, e del Battaglioli sono quasi tutte invenzioni di capriccio, o vedute alterate di terraferma. Restano le cose del Guardi, scorrette quanto mai, ma spiritosissime, e di queste vi è adesso molta ricerca, forse perché non si trova di meglio. Ella sa però che questo Pittore lavorava per la pagnotta giornaliera; comprava telaccie da scarto con imprimiture scelleratissime; e per tirar avanti il lavoro usava colori molto ogliosi, e dipingeva bene spesso alla prima. Chi acquista de suo i quadri deve rassegnarsi a perderli in poco tempo; ed io non mi farei mallevadore della loro durata per altri dieci ani. Sula scoperta fatane dal Sig.r Tonioli tratai l'acquisto di due quadretti per V.S., ma non ci siamo potuti aggiustare col venditore. Erano graziosetti, e nient'altro . Il Sig.r Orsetti procurò alle mie istanze di farmene vedere alcuni altri di terza persona, tutta roba da bottega, anzi di rifiuto" (lettera del 23 giugno 1804 di Pietro Edwards ad Antonio Canova). "Francesco Guardi, nativo di Venezia, dove morì ottuagenario nell'anno 1793, fu pittore di prospettiva. Egli era contemporaneo ad Antonio Canal, e ne camminava sulle tracce; ma non aveva né la dottrina del disegno, né la ragione dell'arte, le quali erano somme nell'intelletto e nella mano del maestro [ . . .] . Non negheremo per altro che le vedute del Guardi non abbiano magia di effetto: anzi è ciò così vero che quelle sono ricercate e pregiate sì dentro e sì fuori d'Italia. Non però si potranno mai confondere con le opere di Canaletto; questi appaga l'occhio, Guardi lo seduce" (Missaglia, Dizionario Biografico Universale, XXVI, 1826, p. 421).
Questa breve rassegna critica comprende tutti i giudizi più significativi che furono formulati sull'arte di Francesco Guardi dalla seconda metà del Settecento fino ai primi decenni del secolo successivo. Significativamente essi considerano solo la produzione vedutistica del pittore veneziano, ignorando completamente il lavoro — poco noto ed ancor meno apprezzato — di figurista. Le affinità con l'arte di Canaletto, evidenziate in quasi tutti i commenti, appaiono stemperate dal franco riconoscimento che la pittura di Guardi, pur qualificata briosa, di gusto ed effetto vivace, spiritosa e seducente, "non può star a fronte del maestro". L'osservazione conserva ancora oggi una sua validità, sol che la si intenda nel senso che il vedutismo di Antonio Canal fu una esperienza unica e irripetibile e che l'avventura artistica di Francesco, inizialmente aderente da vicino ai modelli del famoso maestro, maturò esiti sperimentali, iconografici, stilistici e lirici affatto diversi e pertanto non confrontabili. II rapporto di dipendenza di Guardi da Canaletto, che appariva scontato agli occhi dei contemporanei, venne sostanzialmente negato nella seconda metà dell'Ottocento quando, sull'onda dell'affermarsi della nuova sensibilità impressionistica, Canaletto — nella cui smagliante pittura di vedute il razionalismo illuminato aveva trovato un interprete d'eccezione — sembrava "un artista freddo e sbiadito", mentre Guardi veniva considerato — annotava Charles Yriarte nel 1878 — "molto più vivo del Canaletto; è un colorista più originale e nessuno è superiore a lui nel suo genere quando segue e realizza il suo pensiero [ . . .] . La sua prodigiosa facilità e la vivacità spiritosa dell'esecuzione, la grazia piccante, unite alle qualità atmosferiche di trasparenza e di luce rimaste insuperate, fanno di lui un pittore a sé [ . . .]". La Venezia di Canaletto, scriveva a sua volta Paul Leroy nello stesso 1878, è sicuramente più puntuale ed inequivocabile, ma quella di Guardi è altra. Dopo la pubblicazione della prima monografia curata da Simonson (1904) e di quelle successive di Panizza e Damerini (1912), Giuseppe Fiocco nel 1923 iniziava quell'operazione filologica di discriminazione delle fisionomie dei due fratelli Guardi, Francesco e Gianantonio, quali pittori di figura, che doveva costituire negli anni a venire uno dei problemi più dibattuti ed ingarbugliati nella storia della pittura veneziana del Settecento. Già nel 1919 Fiocco aveva rivendicato a Francesco, lanciato sulla ribalta nella inedita qualità di figurista, lo splendido ciclo delle Storie di Tobiolo nella chiesa veneziana dell'Angelo Raffaele, la cui attribuzione all'uno o all'altro dei due fratelli Guardi doveva assurgere a elemento nodale di un discorso critico altalenante che avrebbe trovato, non senza accese polemiche, uno sbocco liberatorio nella memorabile rassegna guardesca del 1965 organizzata da Pietro Zampetti. In precedenza il ruolo protagonistico di Gianantonio nell'ambito della bottega Guardi era stato sostenuto da Fernanda De Maffei (autrice di un documentato volumetto che aveva suscitato le sarcastiche reazioni di Fiocco e di Pallucchini per la proposta di drastico ridimensionamento dell'attività figuristica di Francesco Guardi) e da Antonio Morassi, scopritore del prezioso archivio del feldmaresciallo Matthias von der Schulenburg. I puntigliosi libri-cassa e gli accurati inventari della grandiosa quadreria del comandante in capo delle armate della Serenissima, datosi ad un frenetico collezionismo all'età di sessanta anni, documentando tre lustri (1730-1745) di attività di Gianantonio al servizio dell 'illustre personaggio, portavano un contributo probatorio inequivocabile e decisivo per il dissolvimento delle cortine fumogene che avvolgevano la figura di Guardi senior. Con la mostra veneziana del 1965 Zampetti riuscì a far emergere con chiarezza i contorni dei due pittori come figuristi: l'arte di Gianantonio nasce da una condizione culturale portata a trascurare la realtà e si esprime nelle forme di una pittura gaia, rarefatta, evanescente, tipica del più leggiadro rococò. A lui dunque andavano restituite senza più incertezze le immagini incantatrici delle Storie di Tobiolo, le Storie romane di Oslo, i soffitti di proprietà Cini, le Storie della Gerusalemme Liberata, le pale della chiesa di Belvedere presso Aquileia e di Ceret e Basso, eccetera eccetera, cioè tutta una serie di capolavori toccati con quelle pennellate guizzanti, sfrangiate e "incendiarie" che avevano suscitato l'entusiasmo degli studiosi. Altra cosa sono le tele a grandi figure eseguite da Francesco Guardi, pervase da una forza drammatica e patetica inesistente in Gianantonio — che si esprime faticosamente in pose impacciate e ineleganti, gravate da un peso che "la bellezza del colore non riesce a riscattare del tutto", come osservava Edoardo Arslan in un magistrale saggio risalente al 1944, in cui evidenziava il vicolo cieco in cui s'era messa la critica "seguitando a ritener di Francesco le storie di Tobiuzzo". Un esame spregiudicato di quelle pitture avrebbe dovuto portare ad affermare la loro estraneità al figurismo di Francesco, caratterizzato da una particolare configurazione a massa, bloccata da una linea a salienti, di origine veronese-tridentina. In definitiva lo scontro, qui rievocato in maniera troppo sintetica, tra le opposte "fazioni " di studiosi si concludeva con la vittoria dei "panantoniani", cioè dei sostenitori della preminenza della statura di Gianantonio figurista rispetto a Francesco, venendo messa alle corde la teoria "panfranceschiana" che aveva trovato in Fiocco ed in Pallucchini i sostenitori più convinti. Il chiarimento di questo problema consentiva finalmente di far convergere l'attenzione su un altro dilemma collocato all'interno dell'itinerario artistico di Francesco, quello degli inizi e dell'evolversi dell'affascinante esperienza vedutistica. L'argomento veniva affrontato in vari articoli su riviste specializzate e soprattutto negli interessanti, ma sullo specifico punto sostanzialmente inconcludenti, dibattiti di un convegno di studi svoltosi nel 1965, poi raccolti nel volume Problemi guardeschi (1967). Il fervore delle discussioni, cui parteciparono Arslan, Mahon, Muraro, Morasi, Pignati e altri, si spense con l'aparizione, tra il 1973 ed il 1975, della monumentale monografia di Morassi sui Guardi: i tre ponderosi volumi dedicati ai dipinti ed ai disegni dissuasero chiunque dall'affrontare l'argomento "Guardi" disseccando per alcuni lustri il filone dei relativi studi. Eppure alcuni dei problemi fondamentali del vedutismo franceschiano erano rimasti irrisolti. Lo stesso Morassi, il più autorevole degli specialisti, era stato costretto a prendere atto del sostanziale fallimento delle indagini volte a chiarire l'iter cronologico di Francesco, cioè uno degli aspetti fondamentali per la comprensione dell'opera di un artista . "Il problema più grave — scriveva lo studioso quasi con angoscia — è questo: quando cominciò Francesco Guardi a dipingere vedute? E proprio il quesito cui non siamo in grado di rispondere con precisione; è proprio questo, su cui non v'è alcuna testimonianza probante, alcun documento storico. V'è quasi una specie di 'congiura del silenzio ' a mantenere il segreto su questo punto, che pur è tanto importante per la conoscenza dell'artista". La totale incertezza sugli esordi vedutistici di Francesco si ripercuoteva sull'impossibilità di delineare una coerente evoluzione dell'itinerario artistico, con la conseguenza di sconcertanti oscillazioni, misurabili addirittura a svariati decenni, nella datazione di moltissimi dipinti, fossero vedute, capricci o quadri di figura. Alla confusione cronologica si sommava l'incertezza attributiva che induceva autorevoli studiosi a negare la genuinità di una larga serie di stupende vedute, addirittura pienamente firmate da Francesco Guardi, sol perché presentavano caratteri stilistici di un'accuratezza quasi canalettiana e perciò ritenute incompatibili con il segno compendiario universalmente noto dell'artista. Valga per tutte l'esempio delle incantevoli, poeticissime vedute lagunari che Hermann Voss attribuì, del tutto arbitrariamente, ad un artista minore come Francesco Tironi del quale non si conosce neanche un dipinto sicuro. Per converso si confermavano a Francesco centinaia di tele il cui miserabile livello qualitativo diventava pretesto per esaltare, con parole struggenti, la cialtroneria espressiva letta con l'ottica deformante del tocco sintetico "impressionistico" o, con riferimento ai paesaggi fantastici, "preromantico" : così veramente contribuendo a degradare l'immagine del grande maestro. Né accenna a diminuire il flusso degli squallidi capricci in miniatura che incontrano l'incontenibile favore di troppi collezionisti illusi di possedere deliziose opericciole del Settecento veneziano invece di autentiche croste, quelle stesse che non di rado suggestionarono Antonio Morassi il quale, molto generosamente, le definiva "opere squisite del periodo tardo": talmente tardo che nemmeno Francesco era riuscito a vederle . Chi fu veramente Francesco Guardi e attraverso quali passaggi maturò la sua esperienza figurativa? È stato detto che la conoscenza dell'opera di un artista resta imperfetta fino a quando non ne è chiara la cronologia. Morassi (1973, p . 208) fu costretto ad ammettere di provare un senso di disagio di fronte all'esistenza di un diaframma nelle ricerche guardesche "e che dopo tanti anni di studio non siamo riusciti ancora ad infrangere del tutto" .
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