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Francesco Guardi (Venezia 1712 – 1793)

 

 

 

Francesco Guardi nacque a Venezia il 5 ottobre 1712 da Domenico Guardi (1678-1716) e da Maria Claudia Pichler (1673-1744), che misero al mondo altri cinque figli, tra cui due pittori, Gianantonio (1699-1760) e Nicolò (1715-1786). Originaria del paese di Mastellina nella Val di Sole (Trentino), la famiglia Guardi aveva ottenuto nel 1643 da Ferdinando III d'Austria, il riconoscimento del titolo nobiliare con il diritto di fregiarsi dello stemma.
Domenico Guardi si era trasferito a Vienna nel 1690 per studiare pittura su sollecitazione dello zio don Giovanni Guardi, canonico della cattedrale di Santo Stefano. Intorno al 1700 Domenico giungeva a Venezia dove allacciava rapporti di lavoro, per lo più come copista, con la famiglia Giovanelli per la quale eseguì nel 1716, per la chiesa parrocchiale di Valtrigh e nel bergamasco, una pala raffigurante San Zenone, recentemente pubblicata da Montecuccoli (1992).
Alla morte di Domenico, l'appena diciassettenne Gianantonio subentrò nella direzione della bottega operando soprattutto come copista dapprima al servizio dei Giovanelli e poi, a partire dal 1730 circa, del feldmaresciallo Matthias von der Schulenburg dal quale ricevette un regolare stipendio mensile fino al 1745.
Nel testamento del 15 dicembre 1731 di Benedetto Giovanelli si accenna ad un lascito relativo a "copie dÈ Quadri E . . . ] fatte dalli Fratelli Guardi", da cui potrebbe dedursi che anche Francesco aveva esordito come copista di poco conto al servizio dei Giovanelli .
In data 14 ottobre 1738 il parroco di Vigo d'Anaunia, Pietro Antonio Guardi, inseriva nel libro contabile della canonica l'anotazione: "Adì 14 Otobre 1738 ho consegnato i tre grandi quadri a questa chiesa parochiale posti in sagristia in adempimento del legato lasciato nel testamento per licenza di poterlo fare" . Il parroco alludeva alle tre lunette, da lui commissionate a Gianantonio, raffiguranti la Comunione sacrilega del vescovo di Magdeburgo, la Visione di San Francesco e la Lavanda dei piedi la cui suddivisione attributiva fra i tre fratelli Guardi ha costituito a lungo oggetto di discussione per gli studiosi.
Al 18 settembre 1750 risale il primo documento sicuro sull'attività pittorica di Francesco. Si tratta della lettera, pubblicata da Simonson (1904, p . 79), in cui l'artista, scrivendo all'avvocato Carlo Cordellina di Montecchio Maggiore, si dichiara sempre in attesa di ricevere la conferma della commissione "delle pitture" dopo aver consentito alla richiesta di ribasso del prezzo. Il successivo 26 novembre, in una seconda lettera allo stesso avvocato, Francesco lamenta di non aver ricevuto alcun riscontro alla sua "suplica contenente a l'afare delli miei sfortunati modelli" . Dal contenuto delle missive si arguisce che l'artista, ormai prossimo ai quarant'anni, incontrava difficoltà ad affermarsi come pittore di figura, dovendosi reputare che i "modelli "si riferissero — come d'uso — a quadri "d'historie" .
Il 15 febbraio 1757,  Francesco si sposava con Maria Mathea Pagani, dalla quale ebbe cinque figli, tra cui Giacomo (1764-1835) destinato ad ereditare la bottega paterna. Nell'atto di stato libero, compilato l'11 febbraio 1757, tra i testimoni compare, sorprendentemente, il più giovane fratello Nicolò (che si era ammogliato nel 1738), il quale rilasciò una dichiarazione di particolare interesse perché consente di stabilire che la formazione artistica di Francesco era avvenuta esclusivamente nella città lagunare e non altrove (per esempio in Austria), come talora si è ipotizzato: "Francesco è mio fratello, e siamo sempre stati insieme nella casa paterna, né mai è partito da Venezia".
Dal 1761 al 1763 il nome di Francesco Guardi compare nei registri della fraglia dei pittori veneziani e poco dopo, il 25 aprile 1764, il nobile Pietro Gradenigo annotava nel diario la famosa citazione relativa all'artista, definito "buon scolaro del rinomato Canaletto", riportata agli inizi di questo scritto. La morte della moglie, avvenuta il 27 gennaio 1769, "dovette essere una perdita ben amara per Francesco, i cui figlioletti in età tenerissima rimanevano orfani di madre. E pensabile che di essi abbia preso cura, almeno parziale, la sorella di Francesco, Cecilia, sposa del Tiepolo, a quel tempo ancora in buone condizioni di salute dona vitale 67 anni [ . . .] . Si aggiunga che Cecilia pensò di far testamento appena nel 1777, un testamento da cui si rilevano i buoni rapporti tra i fratelli, poiché essa destinava a Francesco ed a Nicolò Guardi 25 once d'argento a testa. Morì due anni più tardi, il 5 giugno del 1779" (Morassi 1973, p . 37) .
Dopo aver compiuto, nell'autunno del 1778, un viaggio nel Trentino per sbrigare questioni amministrative concernenti le proprietà in Val di Sole, nel 1782 l'artista ricevette da Pietro Edwards, ispettore delle Belle Arti, l'incarico ufficiale di dipingere quattro tele in ricordo della visita a Venezia di Pio VI, ottenendo a titolo di compenso 40 zecchini, più otto come regalo. Nello stesso anno Francesco eseguiva alcuni quadri commemorativi della visita veneziana dei Conti del Nord: tra essi spicca il celebre Concerto delle dame nella sala deiFilarmonici, oggi all'Alte Pinakothek di Monaco.
Il 12 settembre 1784 l'ormai ultrasettantenne maestro veniva eletto, con nove voti favorevoli e due contrari, membro dell'Accademia veneziana di pittura. Il 28 novembre 1789 un furioso incendio scoppiato nel deposito di oli presso San Marcuola impressionava fortemente l'artista che lo documentava in un'altra famosa tela, l'ultima databile con certezza, pure custodita all'Alte Pinakothek di Monaco.
L'estrema attività di Francesco è espressa nei bellissimi fogli rievocanti Le nozze del duca di Polignac nella villa Gradenigo a Carpenedo, celebrate il 6 settembre 1790 (Museo Correr), e nelle aeree rappresentazioni del Gran Teatro La Fenice, inaugurato la sera del 16 maggio 1792.
Con queste prove dal segno guizzante che evoca fantasiosamente, allargandolo a dismisura, il campo San Fantin nobilitato dalla nuova costruzione progettata dall'architetto Selva, Francesco Guardi sembra congedarsi — ancora al culmine delle facoltà creative ed espressive — dalla sua avventura artistica. Quella umana si chiuderà il primo gennaio 1793.
 


Dario Succi