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Alessandro Turchi detto l'Orbetto (Verona 1578 - Roma 1649) - lo stile pittorico

 

   

Alessandro Turchi si formò a Verona presso Felice Brusasorci, dal quale apprese l’uso della pittura su lavagna (i “paragoni” menzionati dalle fonti), “diventando allora il pittore più raffinato ed esclusivo delle pietre di paragone, dei sofisticati dipinti mitologici di più o meno scoperto erotismo, delle opere di collezione aristocratica che lo porteranno quasi subito a Roma, con questa fama da specialista, da Scipione Borghese” (Marinelli 2000). “Se per certi versi si può dire che dalle pale giovanili di Turchi scompare rapidamente ogni traccia di Felice, un elemento importante rimane: il paesaggio. Retaggio della lunga frequentazione col maestro, si ridurrà a elemento accessorio nelle opere romane. [...] Ma il nucleo presto evidente e saldo della sua poetica, totalmente nuovo a quelle date, è un precoce classicismo, già pienamente maturo. È un ritornare alla tradizione di patrio purismo formale, che aveva caratterizzato un filone della pittura veronese del Cinquecento con Gianfarcesco Caroto, con Cavazzola, con India. [...] Ma certamente Turchi entrò in contatto precoce anche con la cultura bolognese: le incisioni dei Carracci circolavano come patrimonio comune negli studi dei pittori, e nelle quadrerie veronesi non mancavano opere emiliane. Già Magagnato ha suggerito acutamente possibili puntate nelle botteghe bolognesi” (Scaglietti Kelescian 1999).

L’Assunta con San Nicolò e Santa Cecilia della chiesa veronese di Sant’Anastasia è uno dei dipinti giovanili dell’artista più classicamente impostati, come si deduce dalla struttura compositiva, che dichiara riferimenti culturali ancora “cinquecenteschi”.

Poco prima del suo trasferimento a Roma, l'artista esegue la grande Vittoria dei veronesi sui vicentini a Ponte Alto per la sala del Consiglio Civico dei Cinquanta in Verona (1613). L'opera muove da "un'orchestrazione di forme non scontate e l'approccio storico è veicolato da una ricercatissima casistica di costumi e apparati medioevali da lasciar intendere, a fianco dell'intento inventivo, una profonda e specifica cultura. Il brulicare di squilli cromatici corrisponde agli araldi delle due città che si scontrano: i potenti timbri di rosso e di bianco, di azzurro e di giallo, che rimbalzano per tutto il telero, richiamando i vessilli di Vicenza e di Verona, ma sembrano evocare anche gli astratti combattimenti dipinti nel XV secolo, nei quali erano le forme solide e i puri colori a fronteggiarsi" (Pulini 2001).    

A Roma il suo gusto, oltre agli indiscutibili apporti del linguaggio caravaggesco, si richiama a certa pittura bolognese, soprattutto quella di Lanfranco. Nell’affresco con la Caduta della manna della Sala Regia, Roberto Longhi (1959) osserva come l’artista sia “già così pienamente formato che non è fatica riconoscerlo nella sua maniera accarezzata di carni tenere, nell’ ‘embonpoint’ delle sue femmine affabili, nei suoi panneggi a piega svolante, ma lenta. Una tale maturità mostra di essersi lasciata alle spalle i ricordi della ‘maniera’ veronese e di averne assimilato in tono molto personale non soltanto il dato naturale, ma anche le varie accomodanti dottrine propugnate a Roma da toscani e bolognesi”.

Nell’Incoronazione della Vergine con San Carlo Borromeo e Sant’Ubaldo della basilica di San Venanzio di Camerino, infatti, gli apporti della cultura bolognese si equilibrano con quelli caravaggeschi. La sapiente regia luministica sottolinea la ritmica lenta e compassata che regola i rapporti fra le figure armoniosamente cadenzate. Nell’Urbe inoltre, per la chiesa di “Santo Stefano di Verona il Turchi dipinse la Passione de’ Quaranta Martiri; opera che nell’impasto de’ colori e negli scorti ha molto della scuola lombarda; nel disegno e nella espressione sente della romana; nel colorito della veneta” (Lanzi 1809).

Zannandreis (ed. 1891) esaminando la “maniera” dell’artista afferma che “se nella prima si mostra d’un tono assai più forte nelle ombre, sul gusto veneto, nelle posteriori fa conoscere quanto siasi addolcito ed allontanato dal primiero tinteggiare fosco e la diversità eziando della freschezza del suo bel colorire, forte sì, ma lucido insieme e naturale”.  

 

 

 

Daniele D'Anza

 

 

settembre 2005