Secondo lo storico
seicentesco Carlo Cesare Malvasia (1706), Alessandro Tiarini fu avviato
all’arte da Lavinia Fontana, che lo affidò al padre Prospero. Alla morte
di Fontana (1597), dopo aver cercato di essere ammesso all’Accademia
degli Incamminati, passò nella bottega di Bartolomeo Cesi. A seguito di
un litigio però fu costretto a riparare in Toscana, e documenti ne
attestano dal 1599 al 1606 la presenza a Firenze, dove si perfezionò
nella bottega del Passignano.
Rientrato a Bologna realizzò la sua prima opera pubblica, la Santa
Barbara per la chiesa di San Petronio. Iniziò così un’attività prolifica
e remunerativa, che gli garantì un elevato tenore di vita: "insomma egli
era nato più per fare il gentiluomo che il pittore", stando "bene
ammobiliato in casa, tenendo serve e servitori, facendo buona tavola
abbondante e squisita, e ricca di buoni vini. Vestiva nobilmente, e di
seta se stesso, la moglie ed i figli". A tal punto da offrire sontuose
cene e rinfreschi ad alti prelati o principi della Chiesa con cui era in
grande dimestichezza; e fra questi ospiti vi erano uomini di gran
cultura e collezionisti come il cardinal Giustiniani o il Ludovisi
(Malvasia 1706).
"Tiarini visse assai a lungo: alla sua morte, avvenuta dopo un periodo
di inattività a seguito della perdita della vista e poi di una paralisi
che, senza privarlo della sua lucidità, lo aveva immobilizzato a letto,
il panorama della pittura emiliana era ormai del tutto mutato rispetto a
quello che lo aveva visto brillante protagonista nel corso di ben
cinquant’anni. Sopravvissuto agli stessi suoi figli, aveva da tempo
donato la propria tavolozza e gli altri arnesi del mestiere a Giovanni
Andrea Sirani" (Benati 2002), per dedicarsi fino alla morte "alle
devozioni e spirituali esercizi" (Malvasia 1706).